RUBRICA “BENI COMUNI”, 57. COME ET IN CHÉ MANIERA QUESTO SIA PERUENUTO AL CONUENTO… (1)

di FRANCESCO CORRENTI

Il Padre Lettore e Predicator Generale del Conuento di S. Maria di Firenze, Natiuo di Ciuita Vecchia e Figliolo di questo Conuento in età di 64. Anni, Fratel Gioseppe Maria Fatij, nel compilare quelle che potremmo definire le “schede illustrative” dei «Beni Stabili» appartenenti nel 1710 all’Ordine dei Frati Predicatori in Civitavecchia, dopo una breve descrizione del bene e della sua ubicazione, inizia con la frase del titolo di questa puntata il paragrafo destinato a precisare l’origine di quella proprietà. Generalmente, il paragrafo è ricco di spiegazioni – senza dubbio frutto di attente ricerche, riscontri e ricostruzioni – che presuppongono l’esistenza di una documentazione dettagliata, certa, risalente alla prima organizzazione dei registri patrimoniali, corredata degli atti formali, ben ordinata e aggiornata continuamente. L’interesse di queste informazioni è grande e molteplice, perché sono annotati date di atti e fatti, dati economici, notizie su persone e famiglie, memorie di avvenimenti storici e di vicende private, con l’annotazione dei lasciti, dei debiti e dei crediti dei singoli, da cui si rivelano aspetti altrimenti inconoscibili e si possono trarre deduzioni sociologiche e testimonianze puntuali sulla vita e sulla società dell’epoca.

Non è però infrequente, ed è una caratteristica proprio di questo cabreo di padre Fazi (uso per semplicità la forma moderna del cognome Fati, derivante dal latino Bonifatius, essendo appunto quella mantenutasi attualmente anche nella variante De Fazi), che la nostra frase sia conclusa in un modo molto particolare. Abbiamo già avuto occasione di parlarne nei racconti fantasiosi sulle indagini del provicario Labat ma con assoluta fedeltà al manoscritto autentico: in alcuni casi particolari, invece di sciorinare come di regola la genealogia del bene, di elencare il come, il perché, il quando, il dove e il chi (i famosi cinque punti della completezza informativa), il nostro ineffabile Padre Lettore e Predicator Generale se ne esce con un finale a sorpresa: «…non se n’è trouata l’origine, stante che i megliori Libri del Conuento furono gittati in mare da un Matto, come si è detto più uolte…»

E quando è costretto a scrivere queste parole, sembra di vedere il viso addolorato, anzi crucciato, e toccare con mano il rammarico e il disappunto dell’anziano religioso, estensore meticoloso, assolutamente scrupoloso, di quel suo resoconto completo, oggi lo chiameremmo un “report” – un lavoro di molti mesi, con la consultazione di quei “libri del Convento” ancora custoditi nella “Libraria” – sul cui frontespizio scrive quella raccomandazione che ne testimonia tutta la cura messa nel suo imponente e magistrale riordino e la conseguente apprensione per eventuali, future manomissioni dovute alle disattenzioni di sprovveduti che ne scompigliassero la duplice opera sistematica, l’accatastamento rigoroso nel volume del catalogo e la corrispondente “tabellazione” dei numeri e segni di proprietà sulle facciate: «Auertendo alli Posteri di n~ [non] mutar mai i Numeri assegnati e posti Casa par Casa acciò n~ si confonda la Scrittura e n~ resti pregiudicato il Conuento con n~ haver le sue Cose in Chiaro» [trascrivo qui e in altre parti il manoscritto con segni e caratteri particolari per indicare le abbreviazioni e i modi calligrafici dell’originale].

Le gentili Lettrici e i cortesi Lettori di questa rubrica – persone ben note per autorevolezza e cultura, cui sono sinceramente grato di confortarmi e incoraggiarmi con i loro affettuosi e preziosi commenti, dandomi l’impressione che queste divagazioni settimanali abbiano ancora qualche interesse e utilità – hanno certamente compreso che questa puntata riprende il tema di quella precedente, richiamandone anche altre analoghe e la serie di quattro “gialli” delle “Indagini segretate del provicario Labat”, uscite tra agosto e ottobre del 2021. In quelle pagine, “un misto di storia e invenzione a tratti esilarante” a detta d’una delle Lettrici più generose, ho dato sufficienti informazioni sui diversi personaggi della “Civitavecchia del Settecento” per non doverle ripetere qui oggi.

Per ritrovare quindi quelle informazioni, rileggerle sui fogli virtuali del Blog, richiamare alla mente le figure di padre Fazi o di padre Labat, le cortesie del Cavaliere de la Mothe e i gustosi piatti di fra’ Domenico Felidonio, mi sembra coerente invitare i Lettori a voler idealmente immaginare di ritrovarsi nei luoghi del racconto, che oggi non hanno più nulla di ciò che furono, come del tutto diversa è la vista dal marciaronda sul porto, con l’unica eccezione della Fortezza, ancora lì a lato, nella sua interezza, non coperta in parte dalla mole dell’Arsenale, e tuttavia sguarnita, senza bandiere, senza bocche da fuoco nelle troniere, né garitte e tantomeno tetti volanti sui torrioni.

Trasferiamoci, dunque, anche in quei giorni d’allora e dall’ingresso del Convento rechiamoci allo scalone per salire al piano superiore, percorriamo il primo lungo corridoio dei dormitori, avendo sulla nostra destra alcune finestre aperte verso le cupolette e i lanternini delle cappelle sul fianco sinistro della chiesa e proseguiamo fino in fondo, verso il finestrone luminoso, là in fondo, che inquadra la lanterna lontana sull’antemurale. Poco prima di quella, sulla parete a mano dritta, s’apre la porta della Libreria, una sala oblunga con una sola finestra sul lato stretto, proprio accanto al campanile a vela, e anch’essa guarda sul porto e sul mare, che si allarga all’orizzonte per quanto abbraccia lo sguardo e arriva proprio fin lì sotto, a lambire la calata e la rotonda davanti al fontanone. Troppo vicino quel mare – «imminet litori» aveva detto Plinio – con quell’acqua del bacino ad anfiteatro racchiuso tra i moli gemelli che, in basso, oltre i merli di papa Urbano, luccica invitante.

Un invito non certo a tuffarsi, come fanno gli scugnizzi che raccolgono ricci e cozze da vendere ai viaggiatori forestieri e per la festa di Santa Ferma lottano ferocemente tra loro e con quella masnada di Bonavoglia e Marinai che si lanciano in acqua a loro volta per conquistare una di quelle povere bestie gettate dalla terrazza del Palazzo Apostolico. Ma a buttare in mare qualcosa da eliminare per sempre, allo stesso modo delle tante cose (senza scender in particolari) che nonostante i divieti degli Statuti e delle grida, nottetempo, vengono lanciati dalle finestre da alcuni scoscienziati, forse è un pensiero che può passare per la mente e non parlo, sia chiaro, di cose contrarie ai Sacramenti e alle Leggi.

Beni comuni 57 figura 1

Un pensiero sicuramente rimuginato a lungo, da molto tempo, nella consapevolezza delle conseguenze personali che sarebbero state certe, assolute, durissime. Ma che comunque valevano la pena per quell’opera di carità, di fratellanza, di amore per il prossimo che si voleva compiere per liberare da un terribile assillo alcune povere famiglie… Secondo il motto dell’Ordine, “contemplata aliis tradere”, e la contemplazione, il ragionamento e le sue conclusioni da riversare sugli altri era stato lungo e profondo.

Permettetemi ora, dato che ci siamo trasferiti nel luogo e nel tempo del racconto, di proseguirlo come se riportassi le parole di un testimone se non proprio diretto, almeno abbastanza vicino a coloro che quei fatti li vissero e li videro. Chi se non il caro JHW?

Frate Ambrogio, vi assicuro che non è una mia invenzione che ha preso spunto dal nome, era giunto a Civitavecchia, parecchi anni prima del nostro soggiorno, inviato dalla casa generalizia della Minerva provenendo dal Convento milanese di Santa Maria delle Grazie, di cui era figliolo. Non mancava occasione, quando il discorso, per un motivo o per l’altro, cadeva sul bel sole di cui gode la Provincia Romana rispetto alle nebbie e al maltempo di lassù o sul mare che qui c’è e là no, di rimarcare quanto fosse piccolo e disadorno il nostro refettorio, per giunta affacciato sul triste marciaronda della muraglia, e quanto fosse immenso, davvero grandioso, quello “loro”, per giunta impreziosito da quel miracolo di Fede e di Arte che è il Cenacolo di Leonardo da Vinci! Ma quello che era il suo ritornello più frequente era il vantare la mirabile istituzione della Biblioteca Ambrosiana (con il suo stesso nome e poi tanto assonante con la suprema Biblioteca Apostolica Vaticana!) fondata dal Cardinale Federico Borromeo giusto un secolo addietro, e di contro la commiserazione da lui riservata alla nostra Libreria, misera, angusta e povera di volumi preziosi, con tutti quei faldoni, rotoli, messali e libri prevalentemente dedicati alle certo necessarie annotazioni parrocchiali dei Battesimi, degli Sponsali, dei Morti, delle Messe, dei Precetti pasquali e tanto altro, ma soprattutto a serbar memoria (con severa e inesorabile precisione) ai lasciti dei benefattori, alla raccolta di elemosine e più ancora ai prestiti di tanti poveri padri e madri di famiglia, costretti a ricorrere al Convento, tutt’altro che indulgente e tollerante alla loro scadenza. D’altra parte, come altre comunità religiose della città, il Convento trae i redditi per il suo sostentamento e per le altre numerose erogazioni caritative dalla locazione dei tanti immobili e terreni di proprietà, dalle offerte per le varie funzioni e cerimonie e in parte non piccola dalle attività di prestito, che in qualche caso divengono veri e propri finanziamenti di opere e intraprese.

Ecco quindi che quella benedetta finestra sul lato stretto della nostra misera, angusta e povera Libreria, che guarda sul porto e sul mare, ed illumina gli scaffali con tanti libri dedicati a serbar memoria di mille fatti, deve aver fatto nascere un pensiero nel buon Ambrogio, figliolo del Convento milanese di Santa Maria delle Grazie, dopo che aveva visto e toccato con mano la povertà di quei miseri debitori e sentito i loro pianti. Un pensiero, appunto, contemplato e meditato, tanto quanto ha considerato e previsto la pena, la punizione esemplare e inflessibile che ne conseguirà, benché considerato non tanto un colpevole ma piuttosto un “Matto”, un folle che getta in mare i libri migliori del Convento!

«Quelli dove erano annotati, con tutti i riferimenti del caso, gli aventi e danti causa, i censi più importanti, le obbligazioni più vincolanti, i fatti più riservati e alcune questioni segrete (alcune sotto il vincolo della confessione), ma adesso non è possibile più rinvenire l’origine, l’obietto, i nomi, l’anno, il rogito di notaro, perché sono ora mancanti dal nostro archivio, nell’armario corazzato di blinde della Libraria, per esser stati gittati in mare dalla finestra del corridore – o piuttosto della stessa Libreria – che affaccia sul porto da frate Ambrogio che impazzì!» Nel mio racconto di quanto avevo appreso, ho enfatizzato alquanto la mia reazione: «Mi sono spiegato? Il libro delle Ricordanze, quello in cui c’era notizia, forsanche una relazione precisa, dei fatti riguardanti il Colosso, bene, quel libro era tra quelli gettati a mare da fra’ Come-si-chiama… che era impazzito?! Gettati a mare!? Eliminate le prove?! A mare! come il braccio colossale… Gli occhi sbarrati, la fronte aggrottata, la bocca aperta, le mani congiunte con forza in un battito sonoro, scuotendole poi più volte a dire il mio stupore e sconforto, incredulo, sbalordito, costernato, esterrefatto, io ho avuto improvvisa contezza dell’enormità della rivelazione.»

Avevo però concluso l’episodio riferendo le parole del saggio Pro-vicario, che poi erano anche le mie deduzioni e – credetemi – il mio pensiero ammirato su frate Ambrogio: allora Padre Labat, senza batter ciglio, disse soltanto: «Cancellati per sempre i debiti verso il Convento di tanta povera gente…» e non aggiunse altro.

Ma non crediate che il buon padre Giuseppe Maria Fazi, pur addolorato per la perdita di tutte quelle carte e documenti, nel raccontarmi quella storia, non mi abbia fatto capire che non considerasse affatto pazzo frate Ambrogio, ne aveva perfettamente compreso il fine caritatevole del suo gesto e – nel suo cuore – lo condivideva e lo apprezzava.

Nella prossima puntata torneremo sull’argomento. Per ora apprestiamoci a ripartire dalla piazza di Civita Vecchia. Con un’altra nostra vecchia conoscenza…

Beni comuni 57 figura 2

FRANCESCO CORRENTI                                                                                     (1 – segue alla prossima puntata)

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