“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Radici campane, evoluzione civitavecchiese: …
Radici campane, evoluzione civitavecchiese: la pesca marittima nell’Alto Lazio
di GIORGIO CORATI ♦
L’attività di pesca marittima condotta nel corso di secoli lungo le coste dell’Alto Lazio ha assicurato un futuro a interi nuclei familiari di pescatori, anche se le loro condizioni di vita sono state caratterizzate da precarietà e da innumerevoli difficoltà, a partire dalle quelle relative alla sistemazione nei luoghi di pesca. Tra loro, i pescatori di origine campana sono stati maggioritari in quei luoghi. Dapprima Civitavecchia e Santa Marinella e poi Marina di Montalto di Castro e Ladispoli si sono rivelati “approdi sicuri” per molti di loro, per lo più originari di Pozzuoli, i quali dapprima vi hanno indirizzato i propri sforzi alla ricerca della migliore zona di pesca e poi vi si sono trasferiti.
Nel corso di secoli, conducendo un’attività “iniziale”, definibile di pesca da “migrazione stagionale” e comunque senza alcuna connotazione che oggi si definirebbe professionale, i pescatori puteolani hanno vissuto a bordo delle imbarcazioni in comunità come “nomadi del mare”, fino al momento in cui la loro attività ha assunto la connotazione di “pesca stanziale”. Con il passare delle generazioni, intere famiglie di pescatori si sono dunque trasferite definitivamente, organizzandosi in piccole comunità a terra, dando un contributo in termini di incremento di popolazione in quei luoghi e contribuendo alla nascita di una comunità più ampia e certamente dando vita a “scambi stabili”, tipici di mercato, con altri inizialmente sparuti residenti. La pesca man mano ha assunto sempre più rilievo come mestiere, nonché quel carattere di professionalità che oggi assicurano quotidianamente buon cibo, rappresentato dai prodotti della pesca di origine o da cattura locale.
Le espressioni linguistiche e le forme dialettali campane si sono imposte nel linguaggio comune locale, soprattutto in quello civitavecchiese. Termini legati alla pesca e non soltanto alla pesca, soprattutto nomi dialettali di una moltitudine di specie ittiche hanno un suono campano, anche se talvolta molti termini tendono ad assumere una caratterizzazione tutta propria che, in definitiva, determina il dialetto civitavecchiese.
L’attività della pesca ha anche contribuito alla conoscenza del cibo che può “restituire” benevolmente il mare. Nel corso del tempo, il lavoro dei pescatori ha sfamato intere generazioni, anche se, vale per Civitavecchia, i maggiori beneficiari sono stati soprattutto quei cittadini che potevano permettersi di sostenere il costo di acquisto del pescato. Per i ceti meno abbienti il pescato, soprattutto quello rappresentato da quelle specie maggiormente appetibili e di grande taglia, è sempre stato un cibo irraggiungibile. Tuttavia, alla base di molte tra le più interessanti pietanze tipiche della tradizione civitavecchiese si trovano specie che spesso oggigiorno sono scarsamente considerate o magari considerate poco degne di nota, loro malgrado. Su tutte spicca la zuppa di pesce civitavecchiese. Si tratta di un piatto estremamente tipico alla cui base vi è un brodo ristretto, il fumetto, preparato con un soffritto detto “marinara civitavecchiese”, in cui spicca l’alice salata, e con scarti di pesce e piccoli pesci detti mazzumaja in dialetto civitavecchiese. Mazzumaja che deriva da mazzamma che è un termine campano. Ecco il suono campano che si trasforma in dialetto civitavecchiese.
Viene dunque con sé, immaginare che la gastronomia civitavecchiese derivi anche dai costumi e dalla cultura campana. Certamente nel corso del tempo la gastronomia locale ha beneficiato anche dei saperi di tutti coloro che vi si sono trasferiti, giungendo da innumerevoli località italiane e oggi anche estere. Culture, saperi e arte gastronomica si sono fusi assieme, evolvendosi e dando i “natali” ai piatti della tradizione e tra questi, ovviamente, a quelli interessantissimi a base di pescato locale. Tali trasferimenti di genti hanno dato vita ed impulso ad una comunità via via sempre più ampia, ma non di grandi dimensioni in termini di popolazione, considerando che nella metà dell’Ottocento Civitavecchia era ancora una città scarsamente popolata; occorrerà attendere ancora molto tempo prima che la popolazione civitavecchiese cresca numericamente. Pertanto, è possibile pensare che la capacità e l’abilità nella preparazione di un piatto della tradizione locale sia prerogativa di chi sappia interpretarne la ricetta nel migliore dei modi a prescindere dal luogo di nascita e dal proprio vissuto di cittadino. D’altronde, come città sul mare, Civitavecchia è un approdo per tutti coloro che vi giungono e un “approdo sicuro” per coloro che decidono di rimanervi.
GIORGIO CORATI
