I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 37: L’egemonia virtuale o dichiarata.

Scenari e sipario

Nessuno ci impedisce di dare la colpa a Putin, ma i giochi erano già fatti da tempo, da quando, sono passati almeno trent’anni, abbiamo permesso che l’occidente venisse guidato dalla peggiore classe    dirigente che abbia mai guidato i popoli con gli strumenti, all’apparenza, della democrazia liberale.

In verità dire che «avremmo permesso» è supponente e sbagliato dal momento che i cittadini, in Italia come negli Stati Uniti e, in genere, in tutti i paesi occidentali, non contano nulla. Le forme di democrazia diretta sono rare e fortemente condizionate dalle sovrastrutture istituzionali, In Italia, ad es., la Corte costituzionale ha potere sovrano sull’ammissibilità dei quesiti referendari, mentre, come è già accaduto più volte, quando una legge è abrogata dalla volontà popolare, il Parlamento trova il modo di reintrodurla.

Queste, però, sono inezie, rispetto all’ordine mondiale, che si sta sbriciolando sotto i nostri occhi.

La guerra in Ucraina ne è stato l’acceleratore.

Il pensiero unico, autoidentificatosi con gli Stati Uniti, ci ha fatto credere che la Russia di Putin sia isolata e che il mondo intero l’abbia condannata senza appello, con una sentenza definitiva, che non potrà non condurla alla rovina.

Non era così. Lasciando da parte giudizi moralistici, che nei rapporti internazionali non hanno mai contato una cicca, in rapporto alle popolazioni, i paesi che non hanno approvato le sanzioni contro la Russia sono maggioritari. Per converso gli Stati Uniti e i loro alleati sono minoritari.

A parte l’esito contrastato e in bilico delle votazioni all’Assemblea Generale dell’ONU sul cessate  il fuoco in Ucraina, l’evidenza l’abbiamo avuta a giugno 2022 nel corso di una importante sessione di lavoro tra i paesi in via di sviluppo, Brics[1], di cui fanno parte India, Cina, Russia, Brasile, Sud Africa, dove, in primo luogo è stata confermata la piena legittimazione internazionale della Russia e in secondo luogo è stato avviato un progetto per la costituzione di un paniere di diverse monete per regolare, sostituendo il dollaro, i pagamenti internazionali.

L’attacco al dollaro, in quanto espressione dell’egemonia americana nel mondo, è rivoluzionario.

I tempi probabilmente non sono maturi, ma il solo fatto che si sia iniziato a parlarne la dice lunga sulle difficoltà degli Stati Uniti d’America, che trascinano con sé il mondo occidentale.

Lo dico con amarezza, sentendomi un innamorato tradito della democrazia americana.

La grandezza degli Stati Uniti, da Jefferson a Lincoln a Roosevelt, è annegata nella mediocrità e in una serie incredibile di errori. Dopo la fallimentare guerra in Vietnam gli americani hanno perduto la leadership di quello che un tempo si chiamava «il mondo libero». Pochi grandi presidenti come Lyndon Johnson, che, insieme a Martin Luther King, ha creato le condizioni per il riconoscimento dei diritti degli afroamericani, e di Ronald Reagan, che ha chiuso la pagina tragica della guerra fredda, non hanno invertito la tendenza, fino a farci assistere nel 2021 allo sfregio di Capitol Hill, il Campidoglio, cuore materiale e simbolico della grande nazione americana, che non avremmo mai creduto di poter vedere.

La lezione del Vietnam non servì a niente, ne seguì, infatti, un dissennato, continuo, invadente interventismo, come se quel paese straordinario fosse alla ricerca perenne di una rivincita, mai ottenuta e troppo spesso pagata con nuove ostilità e col sangue.

Il cosiddetto «mondo libero» ha le sue colossali responsabilità. Per non pagare i costi della difesa comune, della NATO per intenderci, oggi sugli altari di case e chiese, si è appiattito sulle scelte anche le più infelici e sbagliate degli Stati Uniti. L’Europa non ha svolto il ruolo di alleato consapevole di un destino comune, anzi spesso e volentieri ha strizzato l’occhio ai dittatori più infami in giro per il mondo pur di fare affari magari da quattro soldi, dimenticando che, senza lo sbarco in Normandia, sarebbe stata cancellata dalle carte geografiche come entità politica.

C’è qualcosa di surreale, di andato a male, in questo amore ritrovato per gli USA e per la NATO, nei tempi più bui della loro esistenza. Nel 2019 il Presidente francese Macron diceva che la Nato era in fase di «morte cerebrale»; non rilasciò giudizi sugli USA, ma credo non sarebbero stati dissimili.

In Afghanistan sarebbe venuta la conferma.

Cos’è accaduto, allora, per trasformare Biden in un Goffredo di Buglione e il suo scudiero Stoltenberg in un condottiero forte con i deboli e debole con i forti, senza saper distinguere gli uni dagli altri? Qualcuno dubita della lucidità dell’uomo più potente del mondo, è certo, però, che quando gli Stati Uniti attraversano una difficile congiuntura economica, ridanno fiato all’industria delle armi.

Biden, inoltre, ha pensato bene di annullare, peggio di mortificare, l’indipendenza dei suoi alleati europei. Mai come oggi l’Europa è stata tanto debole, ed è tutto dire, rispetto ai decenni precedenti davvero non esaltanti. Mai è stata tanto disunita, incerta, impaurita. La sudditanza della UE a Biden è rivoltante, per gli stessi Stati Uniti, che nella loro storia hanno imparato che gli alleati leali sono quelli consapevoli di avere un comune destino, Oggi, in comune hanno una sala d’attesa e dobbiamo sperare di non essere chiamati a condividere una prigione, magari di lusso.

Le strategie geo-politiche di Biden fanno rabbrividire, commerci solo con gli stati autenticamente democratici, annientamento della Russia per poi passare, subito dopo, all’annientamento della Cina, imitando la tattica dell’Orazio superstite nella leggendaria sfida tra Orazi e Curiazi.

Temo che, a dispetto delle recenti adesioni alla Nato di Svezia e Finlandia, i paesi occidentali stiano creando una fortezza, nell’illusione di mettersi al riparo dalle turbolenze del Mondo.

Gli ci vorrebbero Omero o Virgilio per capire la sorte delle fortezze e delle città dalle alte mura, ma si debbono accontentare del solista di un complesso rock o di un rapper. Da caffè di terz’ordine.

***

Le (fragili) cornici spezzate.

Le grandi organizzazioni internazionali, speranza di grandi e generosi uomini nell’immediato dopo guerra, si sono sciolte come neve al sole. L’ONU è diventata un’inutile arena per prove muscolari tra le grandi potenze. D’altra parte, come avrebbe potuto esercitare un ruolo autorevole sui destini del mondo, affidando ai paesi islamici i programmi per la promozione dei diritti delle donne, o invitando alla Assemblea Generale Greta Thunberg per farsi prendere a pesci in faccia.

L’Unione Europea è un costosissimo ologramma dove gli stati membri mandano le terze scelte, fermo restando che le prime e le seconde sono di tale mediocrità che non farebbero la differenza.

L’abbiamo visto anche recentemente prima con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina. Ci fosse stato Churchill o la Thatcher o Mitterand, Putin si sarebbe messo sull’attenti e ancor di più l’avrebbe fatto l’eclettico Zelensky, che a Putin, disposto a rinunciare all’invasione se l’Ucraina avesse rinunciato a entrare nella Nato e avesse approvato uno statuto speciale per il Donbass, mettendo fine a una guerra che durava da otto anni, rispose sprezzantemente che il suo Paese era libero di entrare in Europa e nella Nato e che il Donbass poteva continuare a stare come stava.

Certo, la hybris sconsiderata di un uomo, ma anche il sostegno che gli avevano garantito inglesi e americani, che volevano punire la Russia, perché poi? Non si capisce.

L’ennesimo errore, che gli Stati Uniti non avrebbero fatto se avessero avuto un leader degno di questo nome e interlocutori di analogo spessore. Il convento, però, passava Biden e la von der Leyen, eccitata di non discutere, per una volta, della circonferenza delle zucchine e di mettere via il dossier sul cambio di nome delle feste di fine dicembre, da Feste di Natale a Feste degli alberi e delle renne, o ramadan speciale di fine anno.

Anche le innumerevoli organizzazioni internazionali, che rendono a volte servizi essenziali ai popoli in difficoltà esistenziali, vivono una vita stentata, sia per l’endemica mancanza di soldi[2], che per la diffidenza tra le nazioni che ormai si è diffusa come un virus malefico.

***

Con la rinascita della politica di potenza, per la verità mai morta, dunque, le cornici sono andate in pezzi e quasi mai i dipinti, che, all’interno, vi trovavano riparo, si sono salvati.

Nessuno, ormai, ragiona su scala planetaria e di grande respiro, la sopravvivenza e il potere si giocano giorno per giorno. Le grandi potenze impegnano i propri bilanci colossali negli armamenti, nel consolidamento dei territori, anche spaziali, nello sviluppo malsano di alleanze in ogni angolo della terra, alla ricerca di truppe buone per il futuro. Il processo d’imitazione contagia anche gli stati più minuscoli, come San Marino o Andorra.

Lo stesso commercio diventa strumento della politica di potenza. La Cina –non ne ha fatto mistero- non vuole più concorrere sul mercato globale dell’auto elettrica, ad es., ma vuole esserne monopolista.

[1] Acronimo, composto dalle iniziali dei paesi membri, del cartello degli Stati che pretende uno sviluppo mondiale non egemonizzato dagli USA.

[2] Agli Stati Uniti possiamo rimproverare tutto, ma non di non concorrere in modo prevalente ai costi degli organismi internazionali.

EZIO CALDERAI                                                                       (continua)

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