UOMINI E LUPI
di GIORGIO LEONARDI ♦
In una mia raccolta di racconti pubblicata qualche anno fa ce n’era uno in cui il narratore riferisce che lui e un manipolo di uomini armati si erano messi a caccia di un branco di lupi, nella tormenta antartica, decisi a sterminarli. Dopo un complicato inseguimento li avvistano, li raggiungono e, muso contro muso, i due schieramenti si affrontano in un inferno di neve, di spari e di zanne sanguinanti. Nello scontro frontale alcuni muoiono, uomini e lupi, altri restano feriti. I superstiti tornano nelle loro case e nelle loro tane. Il narratore svela però alla fine che lui e i suoi amici erano avvezzi al consumo di stupefacenti, e che in realtà in quella notte polare non c’era alcun lupo, l’allucinazione collettiva aveva creato l’inganno: si erano uccisi e sbranati tra loro. I veri lupi erano loro stessi. «Homo homini lupus» sentenziava, del resto, Thomas Hobbes che sull’argomento aveva capito qualcosa.
I lupi sono animali feroci, dicono. Sì, ma l’uomo lo è di più. Anzi no: “ferox”, da “ferus” nell’etimo latino vira verso il significato di “fiero”, “indomito”. Il lupo è quindi feroce, l’uomo invece è semplicemente cattivo: da “captivus (diaboli)”, “prigioniero del diavolo”, dunque da lui posseduto. Ed è ben diverso.
Stiamo in definitiva parlando di uno degli animali più calunniati della storia. La sua natura tenebrosa e selvaggia ne ha fatto spesso icona e archetipo del male supremo, specie nell’Occidente cristianizzato in cui Gesù, il Buon Pastore, ha cura di tenere il suo gregge di pecore al riparo dalle grinfie del lupo-demonio. L’apice della demonizzazione occidentale si raggiunge probabilmente con i devotissimi fratelli Grimm, i quali, riprendendo storie e tradizioni folcloriche del passato, plagiandole e rimaneggiandole, si divertirono a generare un universo fiabesco terrorizzante. Dopotutto la favola, scrive opportunamente Leonard Louis Levinson, è «una storia dell’orrore per preparare i bambini alla lettura dei giornali». Bisognerà pure che i nostri figli comincino a capire fin da subito che razza di mondo si troveranno davanti. E furono proprio i Grimm a confezionare la versione più nota della storia di Cappuccetto Rosso, che imprime a fuoco nell’immaginario infantile la paura primordiale nei confronti del lupo cattivo, le cui interpretazioni simboliche oggi si sprecano. Eravamo nel cuore dell’Ottocento, anni in cui il perturbante scorreva impetuoso nelle vene dei letterati.
Un secolo dopo, Hélène Grimaud (il cui cognome ricorda solo casualmente quello dei celebri favolisti tedeschi) diventerà una famosa pianista. Una tra le migliori dei nostri tempi, con una passione quasi insana per Chopin e Rachmaninov. Suona nelle più grandi orchestre del pianeta, e con i direttori più rinomati. Hélène è bella quanto brava ma, a un certo punto della sua esistenza, l’animo inquieto e smanioso di cui è dotata stava per consegnarla al tritacarne del successo, nella morsa delle ambizioni umane, tra gli artigli delle aspettative. Però, in un giorno del 1999, dalle parti di Tallahassee, nel nord della Florida, si trovò di fronte un lupo. Non è una favola, questa è la realtà. Un lupo vero, e non fu sbranata. Piuttosto, nel magico incrocio dei loro sguardi, si accese in lei la scintilla della consapevolezza. Trovò in quell’incontro il giusto rimedio per l’inquietudine interiore che l’assillava, e placò il suo spirito dedicandosi alla causa di questo magnifico mammifero. Il totem, per i Nativi americani, della guida, della libertà e dell’indipendenza. Con i proventi del suo talento musicale, la Grimaud acquistò un ampio appezzamento di terra nello stato di New York, e vi fondò il “Wolf Conservation Center” per la salvaguardia di quest’animale, che in fondo somiglia tanto ai nostri cani. Somiglia… però non è addomesticabile, non si fa comandare da stupidi bipedi tendenzialmente glabri e, anzi, se questi ultimi vanno a rompergli le scatole, lui reagisce, difende sé stesso, il suo gruppo e il suo territorio. Perché ha capito che con gli esseri umani è bene non avere troppo a che fare, meglio tenerli alla larga: sono animali infidi.
Certo, nei secoli l’uomo ha dato mostra di essere una creatura superiore, ideando sistemi di pensiero, creando opere d’arte immortali, invenzioni che hanno dato vita al vero progresso, libri che sono uno scandaglio nella sensibilità più nobile e profonda, componimenti musicali che evocano atmosfere sublimi. Certo. Ma l’uomo è anche l’animale più cattivo esistente sulla Terra, l’unico che può commettere crimini e uccidere senza alcun motivo o scopo reale, non per istinto di sopravvivenza ma per il puro e semplice gusto di farlo. Dai vertici della sua mente è uscita la Bellezza, ma i suoi abissi partoriscono di continuo il Male assoluto.
Di recente nei dibattiti pubblici è stato evocato il pericolo sociale di imbattersi in qualche “lupo”, rinnovando implicitamente il nostro retaggio di paure ancestrali. Ma se ci si aggira nottetempo in luoghi isolati (o molto affollati), il pericolo maggiore non si corre incontrando un branco di lupi ma incontrando un branco di uomini. E credo proprio che sia giunto il momento di riscrivere la favola di Cappuccetto Rosso. I Grimm se ne faranno una ragione.
GIORGIO LEONARDI
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Immagine di copertina tratta da: https://picryl.com/media/the-devil-fills-the-human-heart-with-lust-for-riches-power-and-pleasure-e51cc6

Il libro della Grimaud è molto suggestivo per quell’intreccio di arte/disciplina musicale e natura che attraversa tutto il testo, tra realta biografica e immaginario potente, come il tocco della pianista(la sua Ciaccona bachiana è superba). La prospettiva rovesciata sul lupo crea un nuovo mito. Grazie Giorgio per averlo ricordato..
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Livia, tre anni, dice:”Il lupo è buono, è amico mio”!
Grazie Giorgio.
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Grazie Paola, i bambini ritrovano spesso naturalmente quell’istinto primigenio che si è deteriorato e degradato nell’adulto. Mi fai venire in mente il suggestivo saggio della psicanalista Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”. La piccola Livia non l’ha letto, ma forse ce l’ha già dentro!
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Grazie Paola, i bambini hanno spesso quell’istinto primigenio che negli adulti si è deteriorato e degradato. Mi fai venire in mente il bel saggio della psicanalista Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”. La piccola Livia non l’ha letto, ma forse ce l’ha già dentro!
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Hai fatto bene, Caterina, a ricordare anche i libri della Grimaud, che sono il distillato della sua esperienza di vita. Grazie.
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Solo ora ho potuto leggere e, dunque, il mio commento.
La simbologia non può passare inosservata. Il Bestiario, poi, è uno stimolo troppo forte.
Il lupo è il mediatore tra il divino cosmico e l’uomo. Roma insegna: i due antagonisti gemelli sono legati dalla lupa “marziale”.
Il lupo, ancora, è lo psicopompo nel cuore dell’antica Europa.
Con il trionfo monoteista cristiano il Bestiario di Cristo ha cessato la sua carica simbolica. Molti animali da simboli, dunque dotati di un surplus di significato, sono stati degradati a semplici segni. Il lupo da simbolo energetico (ho solo citato qualcosa in merito ma non posso più di tanto) è finito per acquisire il solo significato di essere malvagio, compagno di Satana. (la lupa dantesca, le fiabe che tu citi…).
Ma nel nostro mondo contemporaneo c’è di più.
Un animale a-sociale, un cane ribelle, un ladro non può che essere posto all’indice in un mondo “conformista”, il mondo dell’inautenticità, del “si dice”, un mondo dell’ovile zeppo di pecore belanti. Il lupo è il nemico dell’ovile, dunque minaccia il consenso dell’ovile (Bernard Marillier, IL LUPO).
L’autore citato pone in risalto come il volgare materialismo ed il conformismo non possono coesistere con la libertà. Il lupo è il “libero” ovvero il “domesticabile” che non si addomestica (come il cane, il leone, la tigre….).
Mi fermo.
Quanto alla belva umana rispetto all’animale ho detto ciò che penso varie volte. Sarebbe interessante approfondire perchè l’uomo è belva mentre l’animale è solo istinto. Ho detto di fermarmi!
Grazie del tuo ottimo contributo.
PS. l’altro anno un lupo mi ha “mangiato” qualche pecorella. Ma mia la colpa avendo scarsa la rete di protezione. Sull’istante non ero tanto disposto con quel simbolo. Ma tutto passa!!
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Grazie Carlo, per l’integrazione erudita. Certo, si potevano aggiungere molte cose, dalla simbologia alle agiografie, storie di santi al cospetto di lupi (da Francesco a Guglielmo da Vercelli, e altri ancora), la cui presenza è connotante in tante leggende e tradizioni popolari. Poi la sedimentazione di quest’animale nell’onomastica, da Lupus a Wolfgang. Persino l’alchimia lo chiama in causa. Inizialmente avevo pensato a una divagazione sul caso freudiano del cosiddetto “uomo dei lupi” e a una digressione sulla bivalenza umana, traendo spunto dal “Lupo della steppa” di Hesse. Per qualche minuto ho tenuto in mano il saggio “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés, ma avrebbe aperto un fronte troppo vasto sul concetto/archetipo di “donna selvaggia”. E davvero, come dici tu, si rischiava di andare troppo in là. La cosa che mi ha tentato maggiormente, però, lo confesso, è stato il riferimento al nobile e coraggioso lupo Akela, del “Libro della giungla” di Kipling. Ma poi mi sono detto che, per fortuna, era solo un articolo e non un saggio. La cosa bella è che però altri possono aggiungere e impreziosirlo, come hai fatto tu.
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