Innocenza e giustificazione
di VALENTINA DI GENNARO ♦
L’innocenza è una colpa, l’innocenza è una colpa! Lo capisci?
E gli innocenti saranno condannati perché non hanno più il diritto di esserlo.
Io non posso perdonare chi passa con lo sguardo felice dell’innocente tra le ingiustizie e le guerre, tra gli orrori e il sangue.
Come te ci sono milioni di innocenti in tutto il mondo, che vogliono scomparire dalla storia piuttosto che perdere la loro innocenza,
e io li devo far morire.
(Pier Paolo Pasolini, da “La sequenza del fiore di carta“)
RISPOSTA DI CARLO FALZETTI
Cara Valentina,
pochi sanno che Pasolini aveva in animo di portare sullo schermo la vita di Paolo dopo il Vangelo di Matteo.
Perché questa insistenza nel parlare di Gesù e di Paolo da parte di un “sinistro” omosessuale?
Oggi, dopo che la destra è riaffiorata tracotante in baldanzosa alleanza con il fondamentalismo cattolico, sapere questi fatti su P.P.P.farebbe gridare alla indignazione: come si osa “sporcare” il sacro con mani impure?
Come poter rispondere? Inutile sforzo! Non proviamoci neppure.
Non resta, dunque, che il dialogo fra persone affini in termini di visione del mondo, non perdiamo la traccia per rincorrere il vuotosentiero.
Come ben sai l’introduzione alla sceneggiatura di Paolo è firmata da Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose: questo basti nel ritenere il testo opera di gran momento cristiano.
Dunque, procediamo. Vorrei soffermarmi, con velocità, su ciò che più hai posto in rilievo, la giustificazione.
La svolta di Paolo, giudeo -fariseo passato al giudaismo apocalittico “gesuano”( il termine cristiano non esisteva ancora)rispetto al mondo greco è imponente.
Nel mondo greco il male (la guerra, l’odio, la malattia, la morte) apparteneva all’ordine della natura. Dunque, l’unico modo per affrontare il male era agire con le proprie forze e sapere che la via era quella di affrontare il dolore pensato quale effetto assolutamente necessario. L’uomo saggio era colui capace di guardare in faccia il dolore. In tal senso, non poteva esistere alcuna redenzione, solo la conoscenza ed il pessimismo della forza (pensiamo a Socrate, alla sua lotta nell’indagare su tutto, al modo composto di affrontare la morte).
Con Paolo (e con il giudaismo in genere) il male è l’effetto di una colpa, una colpa cosmica (gli angeli corrotti) e di una colpa umana (il peccato, α͑μαρτία ). Ciò è dovuto alla “miseria” del corpo, alla carne (σάρξ). L’uomo è il “legno storto”(Kant), il terreno adatto per il trionfo del male. La conoscenza e qualsiasi sola forza dell’uomo nulla possono contro il male originato dallo stesso uomo. Di fronte a questa situazione necessita una forza esterna, un flusso che parte dall’alto, un dono, un atto di grazia (Χάρις). Ma a questa offerta di amore deve corrispondere la fiducia, il “fidarsi di”, l’accoglimento, la speranza, la fede (πίστις). Se al dono corrisponde la fede allora subentra la giustificazione(δικαιοσύνε), parola forense presa dal diritto romano che significa essere resi giusti, “capaci di”.
Se ci fermassimo qui avremmo raggiunto l’esatto punto sul quale ha tanto insistito l’animosità di Lutero, di Melantone, di Karl Barth e , naturalmente di Agostino. E’ impossibile fare il benesolo con le proprie forze (servo arbitrio), solo un atto divino del tutto “gratuito” può permettere di fare il bene (predestinazione).
Ma dobbiamo proseguire oltre questa linea, Valentina, se vogliamo intendere bene Paolo. La giustificazione da sola non corrisponde alla salvezza! Essere tutti sotto il dominio del male non significa che solo la grazia può salvare. Non è impossibile fare il bene è solo difficile, non impossibile. La giustificazione per grazia è condizione necessaria ma non sufficiente. Sono le opere, le azioni fatte qui, ora, il libero arbitrio, tutto quello che abbiamo scritto nelle due precedenti lettere che ci siamo scambiate.
Pasolini non credeva che “Cristo fosse figlio di Dio”. Dunque, era fuori della Chiesa! E’ questo lo condanna definitivamente? Ad Enzo Bianchi ebbe a dire: “ Anch’io sono caduto da cavallo come Paolo, ma un piede mi è rimasto nella staffa e continuo così a sbattere la testa qua e là…”
Ma davvero la religione è iscriversi ad un partito?. Davvero è la ritualità la sostanza ? Davvero il mito fondante deve assolutamente passare attraverso le maglie del rito per arrivare ai cuori?
Hai fatto bene Valentina ad immettere Pasolini nel nostro discorso su Paolo. In tal modo si chiariscono le distanze dai benpensanti, da chi ha solo certezze e fede incrollabile, dai moralisti, da chi pensa che un omosessuale è “impuro” alla stregua delle donne impure che circolavano per le strade di Gerusalemme ai tempi di Gesù!
Non si illuda l’uomo che scrupolosamente si attiene alle regole: non esiste garanzia di sicurezza. La storia di Abramo e di Giobbeci insegna che Dio è a-morale, è al di là del bene e del male. Il rischio sarà sempre presente. La morale retribuzionista del do ut des tanto cara all’uomo “ragionevole” è assurda pensarla come morale di Dio. Dio è a-morale! (tanto per capirci: sei omosessuale? Ergo, avrai il tuo cerchio infernale!).
Penso a tutti quei pusillanimi che parlano “in nome di Dio”, che pretendono di conoscere il pensiero di Dio. Guai all’uomo che perde, per tracotante fondamentalismo, il timore di Dio! Dio è al di là dei criteri costruiti dalla ragione umana, Dio è a-morale.
A che serve Dio dal momento che l’uomo conosce la morale con cui Egli agirà e la conosce perché è esattamente la morale umana. A che serve Dio se abbiamo per filo e per segno conosciuto il suo pensiero. A che serve Dio se sappiamo come agirà. A che serve Dio se non ha più mistero. Dio, in tal caso, non serve, è l’uomo ad essere Dio. Il fondamentalista è il vero ateo perché quando il volto di Dio è visibile, leggibile, intellegibile allora Dio è scomparso! Se l’ateo esclama: “Dio non esiste!” è un opinione su cui discutere. Ma ben più grave è colui che esclama: “Io parlo in nome di Dio!”. Il primo è solo un ateo; il secondo è oltremodo blasfemo costringendo Dio al livello del mondo, ovvero ad essere “il vitello d’oro”.
A presto.
(ho inserito i nomi in greco non per vezzo “estetico” ma solo perché nella Lettera ai Romani questi termini sono tra le “parole chiave” di tutta la teologia paolina).
