RAPPORTO SULLA POPOLAZIONE ITALIANA

di CORRADO BONIFAZI

L’ Associazione italiana per gli studi di popolazione (Aisp) pubblica ogni due anni un rapporto sulla situazione demografica italiana dedicato a un tema specifico. L’ultima edizione, presentata in occasione delle Giornate di studio sulla popolazione tenutesi a febbraio di quest’anno presso l’Università di Roma 3, è intitolata Rapporto sulla popolazione. Le famiglie in Italia. Forme, ostacoli, sfide, ed è stata pubblicata dal Mulino. La famiglia rappresenta un punto di osservazione centrale e imprescindibile negli studi demografici, specie nei periodi, come quello attuale, caratterizzati da profondi cambiamenti nei modi e nei tempi del fare famiglia e da tendenze demografiche che stanno modificando radicalmente dimensioni e caratteristiche di questo aggregato. Il risultato è qualcosa di totalmente nuovo, con famiglie di dimensioni sempre più ridotte, a causa della bassa fecondità, ma in cui sono compresenti, per effetto dell’invecchiamento, tre e anche quattro generazioni. Famiglie lunghe e strette, quindi, in cui si sviluppano e sperimentano nuove forme di relazione e di rapporto tra individui, generazioni e generi.     

Lo studio, curato da Cecilia Tomassini e Daniele Vignoli, è il frutto delle analisi di un nutrito gruppo di studiosi di diverse università italiane, dell’Istat e del Cnr. Come recita il sottotitolo, l’obiettivo del volume è stato quello di esaminare le forme che la famiglia italiana ha assunto in questi anni e gli ostacoli e le sfide che si trova a dover affrontare. Una scelta che, in molti casi, ha posto gli autori dei diversi contributi su percorsi di ricerca tutt’altro che consueti e consolidati, in cui è stato fondamentale l’utilizzo dei dati statistici raccolti dall’Istat nelle diverse indagini condotte in questi anni sulla realtà sociale del paese e che hanno permesso di quantificare dimensioni e caratteristiche di gran parte dei complessi processi di trasformazione in atto nelle famiglie.

Nell’introduzione, i due curatori delineano le principali dinamiche che hanno caratterizzato la famiglia italiana negli ultimi decenni: l’aumento nel numero delle famiglie, arrivate a superare i 25 milioni di unità, con una crescita di quasi 4 milioni rispetto al 2000; la riduzione nel numero medio di componenti, passato nello stesso intervallo di tempo da 2,7 a 2,3; la diminuzione delle percentuali di famiglie con 4 e più membri a vantaggio di quelle unipersonali, passate dal 22 al 33% del totale. Processi che sono il frutto dell’invecchiamento della popolazione e della bassa fecondità, ma anche il risultato di percorsi di vita e di scelte individuali e di coppia sempre più articolate. Come dimostrano, del resto, l’aumento dei matrimoni civili, delle nascite da coppie non sposate, delle convivenze giovanili e delle unioni tra persone dello stesso sesso. Tutte dinamiche partite nel nostro paese con qualche ritardo rispetto a molti nostri vicini europei, ma che si stanno ormai consolidando e prendendo forza anche nella penisola.

Nel primo capitolo vengono descritti i cambiamenti in quella che, secondo la definizione dell’Istat, è “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”. Tra le trasformazioni più significative emerge la perdita di peso della famiglia nucleare (composta dai genitori e dai figli) a vantaggio di altre forme, legate ai processi messi in moto dalla seconda transizione demografica. Le coppie con figli sono infatti diventate meno di un terzo del totale e sono ormai superate da quelle unipersonali. Netto appare il rinvio dell’uscita dalla famiglia d’origine tra le generazioni nate negli anni ottanta rispetto a quelle degli anni cinquanta, anche per effetto di una crisi economica che ha colpito soprattutto i giovani. Come appare chiara la diminuzione dei primi matrimoni e lo spostamento di questo evento verso età sempre più elevate. Sono aumentate le coppie in cui la donna è più istruita dell’uomo, come è cresciuto il numero di sposi che sceglie la separazione dei beni: dal 20% degli anni settanta al 72% del 2020. La famiglia rispecchia la profondità dei cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni. Le convivenze non matrimoniali, ad esempio, sono state sperimentate dal 37% dei nati tra il 1977 e il 1981 ma solo dal 14,4% della generazione 1957-61. E hanno riguardato il 34,2% dei laureati e il 21,8% delle persone con la scuola dell’obbligo. Dai risultati dello studio emergono anche nuovi fenomeni, come i divorzi tra persone anziane, frutto della crescente instabilità coniugale che, per altro, favorisce anche l’aumento delle famiglie ricostituite e lo sviluppo di relazioni e forme familiari sempre più complesse. Situazioni che sarebbero meritevoli di forme specifiche di tutela, in un quadro legislativo che, nonostante la legge Cirinnà del 2016, appare ancora in grosso ritardo soprattutto nella protezione dei soggetti più deboli. 

Da inizio secolo la situazione italiana si è sempre più avvicinata a quella degli altri paesi dell’Europa occidentale. Il declino dei matrimoni e l’aumento delle separazioni hanno reso sempre più ampia la platea delle famiglie ricostituite, stimate al 2020 in 1,6 milioni di unità pari al 18% del totale. Un soggetto sociale che pone problematiche nuove, anche per i rischi di deprivazione presenti in questo tipo di famiglie e in quelle con un solo genitore. Tali temi vengono affrontati nel secondo capitolo del volume, in cui gli autori esaminano la situazione in termini di benessere soggettivo e di esiti scolastici dei figli di queste famiglie. Su questo secondo aspetto, «i risultati mostrano chiaramente che gli svantaggi associati alle forme familiari post-separazione dipendono dalla combinazione tra tipo di esito scolastico considerato e livello di istruzione dei genitori» (p. 76). Confermando l’importanza della famiglia d’origine nei percorsi scolastici dei giovani italiani, ma anche la penalizzazione che può derivare da una separazione. Va poi considerato che anche in Italia le famiglie monogenitore sono quelle a più alto rischio di povertà e deprivazione economica.

Un’altra grande novità nel panorama delle famiglie italiane è rappresentato dalla crescita di quelle composte da stranieri, analizzate nel capitolo successivo. Secondo i dati del censimento permanente nel 2019 le famiglie con almeno un componente straniero erano diventate 2,4 milioni, quando nel 2001 si fermavano a 673 mila. Una crescita che ha introdotto nella nostra società un nuovo elemento di differenziazione, su cui pesano anche le particolari modalità di formazione di queste famiglie. Diversa è infatti la situazione di quelle che sono il risultato di una riunificazione di nuclei formatisi prima dell’emigrazione, da quelle che si sono costituite direttamente in Italia. Gli immigrati danno anche un contributo importante sia alla nuzialità che alla natalità del paese e attraverso le coppie miste danno un apporto rilevante al processo di integrazione, in un contesto per altro caratterizzato da un ben più alto livello di povertà tra le famiglie in cui sono presenti stranieri. Per queste, ai bisogni che presentano le famiglie italiane nelle stesse condizioni economiche, «va aggiunta», come notano gli autori, «la necessità di sviluppare forme efficaci di mediazione culturale per assicurare e migliorare l’accesso ai servizi sociali» (p. 112).

Nel quarto capitolo lo studio affronta il tema delle famiglie “invisibili”, analizzando alcune aree in cui la conoscenza è limitata, anche per le difficoltà del sistema statistico di seguire i multiformi cambiamenti in atto. È il caso delle unioni tra persone dello stesso sesso, riconosciute dalla legge del 2016 in cui, per altro, la parola “famiglia” non viene mai utilizzata a rimarcare la differenza con le coppie eterosessuali. Del resto, il rapporto mostra come tra le persone LGBT+ siano ancora diffusi i timori nell’esprimere i propri orientamenti sessuali e si continuino a subire offese e discriminazioni. Altro aspetto approfondito è quello delle relazioni Living Apart Together (Lat), in cui si ha un rapporto di coppia senza coabitazione. Una situazione che, secondo le stime disponibili, riguardava nel 2016 il 10% dei maggiorenni, ovvero 4,9 milioni di persone, ed era diffusa soprattutto tra i giovani ma stava aumentando anche nelle altre fasce di età. Facendo riferimento ad alcune rilevazioni specifiche dell’Istat, lo studio offre inoltre interessanti informazioni sulle condizioni di segmenti particolari della popolazione, quali i senza dimora e i rom, sinti e camminanti.

La parte successiva della ricerca è dedicata agli aspetti territoriali, mettendo anche in relazione le strutture familiari con la disponibilità di servizi sociali. Viene esaminata l’evoluzione complessiva del fenomeno, individuando le aree dove maggiore è la presenza delle famiglie unipersonali, che risultano particolarmente diffuse nelle grandi città. Nei dodici comuni con almeno 250 mila abitanti rappresentavano infatti il 43% di tutte le famiglie contro il 35% della media nazionale, arrivando a Milano al 53%. Tali dati, derivando dai registri anagrafici, risentono ovviamente delle residenze di comodo per motivi fiscali che alterano, in qualche misura, la misurazione di un fenomeno che appare strettamente legato all’invecchiamento della popolazione. Del resto, sono proprio le famiglie unipersonali composte da anziani a suscitare l’attenzione maggiore. La condizione delle persone sole in condizioni di vulnerabilità, viene approfondita attraverso l’utilizzo di alcuni archivi amministrativi che permettono di individuare la quota di queste famiglie con basso livello di istruzione, senza casa di proprietà e senza automobile. Infine, viene considerato l’utilizzo del reddito di cittadinanza in questa fascia della popolazione, le cui dimensioni, secondo le previsioni dell’Istat, nel 2040 sono destinate a superare i 10 milioni.

Il sesto capitolo analizza la situazione delle famiglie dove sono presenti persone disabili. Vengono così affrontati diversi aspetti della vita familiare generalmente poco considerati e soprattutto difficili da cogliere dal punto di vista statistico. I primi problemi che vengono analizzati sono in effetti proprio quelli della definizione e della misurazione della disabilità, ampiamente discussi nel volume e affrontati dall’Istat nelle sue indagini. Lo studio mostra come la presenza di una persona disabile abbia conseguenze negative sulla salute dei familiari e sulla loro soddisfazione per la vita quotidiana, ma «sembra (anche) favorire la loro partecipazione sociale, quantomeno nel caso dei genitori di figli disabili» (p. 196). In un sistema di welfare fortemente familistico, come quello italiano, la situazione di queste famiglie appare centrale e, sotto questo aspetto, il volume offre un contributo prezioso andando ben al di là degli approcci tradizionali e affrontando temi generalmente poco considerati e che, invece, andrebbero attentamente valutati in sede politica per individuare specifiche linee di intervento.

In un paese a bassa mobilità sociale non poteva mancare un capitolo specifico su questo aspetto. Il livello di istruzione svolge, da questo punto di vista, un ruolo centrale. Non è un caso che tra le generazioni degli anni ottanta il 15% dei laureati proviene da famiglie con genitori che hanno al massimo la scuola dell’obbligo, una percentuale che sale quasi al 40% se hanno il diploma e quasi al 70% nel caso di laurea. Dati che dimostrano come la famiglia d’origine abbia in Italia un ruolo fondamentale nel determinare gli esiti dei percorsi individuali. In definitiva, secondo gli autori, «l’Italia si presenta (…) oggi come un paese con bassa mobilità sociale in cui le disuguaglianze socioeconomiche si trasmettono dai genitori ai figli attraverso il canale principale dell’istruzione e del successivo inserimento nel mercato del lavoro» (p. 226). In questo senso, pesano la mancanza di una strategia nazionale per affrontare il problema della dispersione scolastica, l’ingresso ritardato nel sistema scolastico per la scarsa diffusione degli asili nido e la presenza di un sistema di early tracking implicito che, di fatto, indirizza ben presto gli studenti verso percorsi differenziati.

L’ultimo capitolo del volume approfondisce il tema della solidarietà intergenerazionale. Le reti di solidarietà familiare vengono studiate per capirne il funzionamento e i cambiamenti, in una situazione in cui ancora 2 giovani su 3 vive a meno di 16 chilometri da almeno un genitore. Si conferma il sostegno monetario dei genitori ai figli, ma anche il contributo fattivo dei nonni. L’80% dei nonni con un nipote di meno di 14 anni se ne prende infatti cura in modo regolare. Non meno importanti appaiono le reti informali: nel 2016 il 36% delle persone ha prestato una qualche forma di aiuto a titolo gratuito a non conviventi e di questi il 24% lo ha fatto a parenti. In queste reti di solidarietà emerge una forte caratterizzazione di genere, con «le donne, che mostrano un modello di aiuto soprattutto rivolto alle esigenze della persona, mentre per gli uomini il modello di aiuto è orientato alla gestione di pratiche burocratiche o di lavoro o di tipo economico» (p. 253). In questo quadro le aree su cui intervenire appaiono secondo gli autori i congedi parentali, i servizi per l’infanzia nei primi tre anni di vita e quelli per le persone non autosufficienti.

Le conclusioni del volume si soffermano sulla necessità di sviluppare politiche familiari che siano in grado di accompagnare i cambiamenti demografici, sviluppando un approccio integrato e sistemico di cui il Familiy Act e il PNRR possono rappresentare due primi tasselli, anche se largamente insufficienti. Nel complesso, l’ultimo rapporto dell’Aisp si presenta come un utile tentativo di inquadrare le nuove dinamiche familiari. Attraverso i risultati di diverse indagini dell’Istat, i molti autori del volume hanno infatti approfondito la situazione delle famiglie italiane, cogliendo diversi aspetti che in genere sfuggono all’attenzione della statistica ufficiale. Qui sta con ogni probabilità il merito principale di un volume che offre, da questo punto di vista, una lettura non scontata della famiglia e può risultare utile anche per sviluppare analisi successive e politiche specifiche di intervento.

CORRADO BONIFAZI

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