“CHE AMBIENTE CHE FA” DI LUCIANO DAMIANI – IL RIPRISTINO DELLA NATURA

di LUCIANO DAMIANI

In questi giorni lo scontro fra sinistre e destre, ambientalisti e non, europeisti e non, si é arricchito di un altro argomento, la legge sul “Ripristino della natura” (Nature Restauration Law). Si tratta di un ‘regolamento’ che, se andasse in porto, obbligherebbe ogni stato dell’Unione a compiere un compito che appare davvero arduo. L’Europa si sta dando un obiettivo particolarmente ardito nella consapevolezza che quanto fatto finora non é stato sufficiente a mantenere un accettabile stato naturale del territorio. L’80% degli “habitat” della UE risulta degradato e la Commissione s’é posta l’obbiettivo di “contribuire alla ripresa continua, a lungo termine e duratura della biodiversità e della resilienza della natura in tutte le zone terrestri e marine dell’UE mediante il ripristino degli ecosistemi,…

Per partire si punta inizialmente al ripristino di almeno il 20% degli habitat degradati o comunque in non buone condizioni. L’obiettivo finale é il 90% per il 2050. Il Regolamento é particolarmente dettagliato nel definire gli ‘habitat’ oggetto degli interventi e le specie da reintrodurre e proteggere. Particolare attenzione pone per gli insetti impollinatori per i quali va garantita e protetta la biodiversità, cosa che però si scontra con l’approvazione, nella seduta del Parlamento Europeo, di un emendamento che esclude i terreni agricoli.

Questo emendamento é un bel punto a favore segnato dagli oppositori di questa legge, oppositori che non sono riusciti a bloccarla per un ‘pari’ in sede di commissione ambiente (44 a 44). In sede di Consiglio si sono opposti solo pochissimi paesi, fra questi il nostro… e come poteva essere diversamente? Di certo le aziende agricole d’Italia ringrazieranno il governo che li ha “salvati”. Una delle motivazioni utilizzate nei dibattiti dai ‘conservatori’ italici, era appunto la perversa volontà della UE di attaccare la produzione agricola del paese. In realtà il regolamento tende a favorire le produzioni di qualità o meglio, la qualità delle produzioni intervenendo sull’uso eccessivo e pesante di diserbanti e pesticidi che, impattano fortemente sulla biodiversità specie degli insetti impollinatori, oltre che, ovviamente sulla salubrità dei prodotti agricoli, del suolo e delle acque.

La destra da ad intendere che non nega l’evidenza, né la necessità d’intervenire, ma richiede, come sempre in queste questioni, misure ridotte “non ideologiche” che privilegino le motivazioni del lavoro e della produzione, lo fa agitando lo spettro della disoccupazione del crollo della produzione e della penalizzazione delle aziende agricole italiane. Sono più o meno le stesse obiezioni rispetto a qualsiasi provvedimento di tipo ambientale della UE. Disconosce, la destra, la capacità del Green New Deal di produrre lavoro, ricchezza e benessere. E non mancano pretesti per tirare il freno, uno di questi, assai in voga, é quello, evidenziato anche in un articolo di questo blog, che noi europei poco abbiamo da fustigarci per l’inquinamento del mondo, per i cambiamenti climatici, si guardasse invece alla Cina e company, loro si che riempiono l’atmosfera di CO2 ed altre schifezze. Come se i comportamenti altrui potessero giustificare o autorizzare la UE ad essere poco attenta all’ambiente in genere. Come per le auto elettriche anche per l’agricoltura si paventa la sopraffazione dei nostri produttori da parte di chi produce fuori dai confini europei e, non può mancare, l’allarme disoccupazione.

L’elettore di destra é il cittadino conservatore, negazionista per vocazione, nega anche il caldo torrido di questi giorni: “siamo in estate é normale che fa caldo” oppure ”il clima nel mondo é sempre cambiato”, “questo é terrorismo climatico”… senza mai mostrare lo straccio di una statistica minimamente credibile ed intellettualmente onesta, prende dati qua e la e slegati gli uni dagli altri mentre gli allarmi climatici hanno invece origine proprio dalla considerazione dell’andamento climatico medio del pianeta, dal filo logico che lega gli eventi e le misure. Il negazionista pesca uno scienziato, un giornalista o un politico anch’egli negazionista, lo cita e ne diffonde il verbo come se tutto il resto del mondo scientifico e tecnico fosse composto da deficienti esponenti del fanatismo ambientale o peggio esponenti di interessi multinazionali, quelli dei ‘poteri forti’. “Vogliono mandare il paese alla rovina”.

Questo regolamento avrà comunque vita difficile, ha contro il PPE il più numeroso partito di Strasburgo e già alcuni emendamenti hanno fatto storcere il naso ai Verdi ed alla galassia ambientalista secondo la quale il regolamento é a volte “troppo tenero”. Però, se da una parte si prevede la ‘eccezione’ per “motivi di prevalente interesse nazionale”, dall’altra i paesi membri dovranno comunque produrre progetti in una certa quantità che raggiunga gli obiettivi temporali del 20% prima e del 90% di ripristino degli “habitat” da “ripristinare” poi. Da notare che tali percentuali si riferiscono all’intero territorio e le acque comunitarie, mari compresi, per cui non si riferiscono ai singoli paesi ma a tutto il territorio ed il mare dell’Unione. Questa caratteristica é importante poichè riconosce l’unità della UE e rifugge dall’idea di ‘insieme di stati autonomi’, l’idea di Europa della destra italiana, e forse anche di quella di altri paesi europei.

Leggendo il corposo testo del regolamento ci sono alcuni punti interessanti, forse quello che più da vicino ci interessa é quello che riconosce il verde della città come un “ecosistema”, ne prevede la tutela e l’incremento per cui potrebbe essere un problema, in futuro, cementificare ulteriore suolo urbano:

“Gli Stati membri provvedono affinché non si registri alcuna perdita netta della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani né di copertura arborea urbana nelle zone di ecosistemi urbani….”. Ed ancora: “Gli Stati membri conseguono, in ogni zona di ecosistemi urbani … una tendenza all’aumento della copertura arborea urbana, misurata ogni sei anni dopo il 31 dicembre 2030, fino al raggiungimento del livello soddisfacente stabilito…..”

Importante e davvero impegnativo è l’approccio ai sistemi idrografici, la mission dell’Unione é quella di ripristinare, allo stato naturale e “scorrimento libero” 25 mila km. di fiumi entro il 2030. Si tratta cioè di rimuovere gli ostacoli e le opere che snaturino il sistema fluviale. Fra le eccezioni anche le opere per la produzione di energia sostenibile, se ne dispone l’abbattimento di quelle non più produttive ed utili. Il pensiero va ad esempio al Vajont. 

Gli stati membri dovranno produrre progetti per definite quantità e tipologie e presentarli alla Commissione che li esamina e ne valuta gli effetti. Un emendamento ha introdotto il principio che le misure non dovranno favorire le produzioni extra UE:

“La Commissione esamina altresì l’impatto socio-economico sulle zone rurali e l’impatto del piano nazionale di ripristino in particolare sulla produzione agricola e forestale, onde assicurare che tale piano non si traduca in un trasferimento della produzione al di fuori dell’Unione europea” 

Il Regolamento non pare interdire più di tanto con i progetti riguardanti le opere necessaria alla produzione di energia sostenibile, le considera infatti di “interesse pubblico prevalente”:

“la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete, la rete stessa e gli impianti di stoccaggio sono presunti di interesse pubblico prevalente”.

Insomma, si tratta di un regolamento ambizioso, che, come tale, vincola gli stati membri a partecipare alla sua realizzazione con “spirito comunitario” poiché comunitari sono gli obiettivi. Anche i mari sono compresi nei sistemi da “ripristinare” e certo non mancheranno di produrre discussioni per le evidenti implicazioni relative all’economia della pesca.

Vedremo in seguito se manterrà la sua valenza o se verrà ‘annacquato’ nel prosieguo del suo iter, certo é che, in questo periodo storico, la destra é forte e si opporrà per tutto il suo percorso, in seconda istanza cercherà di snaturarlo azzerando la sua forza ed incisività iniziali. Del resto, come il clima che “è sempre cambiato”, anche per gli habitat si può dire la stessa cosa, l’uomo “ha sempre pescato” e… “ha sempre costruito”, ma direi che ha anche esagerato, ma vallo a far capire…

LUCIANO DAMIANI

https://spazioliberoblog.com/

SPAZIO CLICK