RUBRICA “BENI COMUNI”, 47. SULLA ROTTA DI JEAN WATTEAU VELEGGIANDO DA PALO ALLA FRASCA
di FRANCESCO CORRENTI ♦
Vittima del mio saccheggio per dare inizio in modo adeguato a questa puntata, stavolta, è il massimo… il più… insomma, addirittura «quel tal Sandro» (e la rapina si amplia)… il lettore ha capito. Copio, dunque, dal Capitolo XXXVIII del «romanzetto», la frase che mi è sembrata adatta al tema di oggi, premettendo solo che si tratta dell’«assalto» al padre curato tentato da Agnese, Lucia e «la mercantessa», per convincerlo a celebrare quel matrimonio, trovando però la solita reazione, tipica del personaggio: «Don Abbondio era sordo da quell’orecchio. Non che dicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo serpeggiare, volteggiare e saltar di palo in frasca».
L’ho detto. Ma qui devo aggiungere che, diversamente da Alessandro Manzoni, Umberto Eco e quanti altri grandi e “veri” scrittori hanno utilizzato il dialogo con i lettori come meccanismo narrativo, io i miei li conosco davvero, quasi tutti, sono persone amiche e gentili ed ho con loro quel vero dialogo che il blog ci consente ad ogni pubblicazione dei nostri scritti, leggendo io, a mia volta, i loro. Ed è per questo – conoscendo la loro generosa indulgenza – che mi permetto questi bassi espedienti. Per cui non scendo neppure nella ovvia giustificazione di tutto questo preambolo, per dire che – con quello che da ragazzi, a scuola dai “preti”, chiamavamo “spirito di patata” (forse usando mentalmente termini meno infantili) – mi sono servito della frase idiomatica del Manzoni per “inventare” il titolo della puntata. Arrossisco, ma da qualcosa dovevo pur partire.
Par chi non fosse a conoscenza del mio “manoscritto ritrovato” (altro plurimo plagio), devo precisare che il Watteau della rotta “di Palo in Frasca” non è il noto pittore Jean-Antoine (nato a Valenciennes il 10 ottobre 1684 e morto a Nogent-sur-Marne il 18 luglio 1721), ma il dottor Jean H. Watteau, dell’altro lontanissimo parente di fantasia, che io ho fatto nascere a Carpentras il 28 gennaio 1677 ed ho identificato con il giovane assistente (e chirurgo di professione) del padre domenicano Jean-Baptiste Labat, nato (veramente) a Parigi il 5 settembre 1663 e attivo in Italia dal 1709 al 1716. Anni nei quali sono ambientate le autentiche vicende narrate dal frate nei suoi volumi dei Voyages en Espagne et en Italie, editi a Parigi nel 1730 e ad Amsterdam nel 1731, nonché i miei racconti un po’ “gialli” sulle indagini del Provicario del Sant’Uffizio e del suo aiuto, minimamente diffusi qui su SLB, che io ho detto di aver dedotto da Le manuscrit du Magnifique Docteur et Noble Citoyen Jean Watteau dit Gianvattò (come secondo me era stato italianizzato il nome del tizio).
La rotta è quella che io faccio percorrere a Gianvattò al seguito del suo Maestro, che la percorse effettivamente dal 25 al 30 novembre 1715 sulla Feluca dal gentiluomo napoletano don Gaetano Capece, munifico anfitrione. Partiti in realtà da Roma sul torbido Tevere, la sera del 25 cenano e dormono a bordo. La mattina dopo, salpano un’ora prima del giorno e verso le 7 sono all’Isola Sacra, formata dal fiume aprendosi un altro canale a occidente rispetto al braccio antico (la Foce di Levante o della Fiumara), chiamato Bocca di Ponente o Fiumicino, pur essendo ben più grande e comodo per Barche e Tartane.
Poco oltre, sostano ad Ostia e visitano le rovine ed il borgo con l’antica Chiesa Cattedrale, che ha un Prete che non vi risiede quasi mai e ci va solo nelle Feste e Domeniche per dire la Messa e amministrare i Sacramenti ai Pastori, Guardiani di bufali, Pescatori, Salinai e altra gente poco numerosa, che si radunano lì e assomigliano più a spettri usciti dai sepolcri che a uomini vivi, tanto sono gialli, lividi, magri e scheletrici.
I nostri pranzano sulla riva del fiume e risalgono a bordo, arrivando a Porto alle tre del pomeriggio, osservando e meditando sulle secolari vicende di quei luoghi e sui grandi cambiamenti avvenuti, dato che le rovine della Città e dei Porti di Claudio e di Traiano sono a quasi due miglia dal mare. Quindi passeggiano a lungo, cercando di riconoscere le antiche strutture imperiali, partecipano ad una battuta di caccia e tornano di nuovo a bordo per la cena e la notte. Il 27, levano l’ancora appena il giorno è abbastanza chiaro da permettere alla guardia della Torre Alessandrina, che sta alla foce del fiume, di poterli rassicurare che la costa era sgombra da navigli sospetti. Vogano da Fiumicino fino all’imbocco dello stagno di Maccarese, dove pranzano lautamente, discutendo nel frattempo sul progetto di Cornelio Mayer, Ingegnere Olandese, per trasformare lo stagno in un porto. Da tecnico esperto, padre Labat ritiene il progetto ottimo e vantaggioso e trova miope la decisione della Reverenda Camera Apostolica di non realizzarlo – come in tante altre occasioni simili – perché ritenuto eccessivamente dispendioso.
Ripresa la rotta, sbarcano finalmente alle 22 a Palo, l’antica Alsium, questo fatidico luogo del percorso dei pellegrini romei che aveva visto un secolo prima anche il passaggio della mitica ambasceria giapponese guidata da Hasekura Tsunenaga Rokuemon, dal francescano spagnolo Luis Sotelo e dall’interprete e diarista Michele Amati. Senza che ne rimanesse alcun ricordo negli abitanti. I nostri visitano il bellissimo Castello Odescalchi e il Villaggio. Il Comandante della guarnigione pontificia verifica i biglietti sanitari e consente che scendano a terra per cenare e dormire in una osteria, ma incontrano un amico di Civitavecchia che era al servizio del Principe Don Livio Odescalchi che li ospita a casa sua.
Il 28, dopo una ottima colazione, tornano in riva al mare, si imbarcano e a vele spiegate coprono le 21 miglia per Civitavecchia in meno di 4 ore. Don Gaetano li accompagna fino al Convento e viene convinto dal Priore Canalucci a fermarsi tutto il giorno, così da visitare con loro la Città, la Fortezza, l’Arsenale, la Darsena e le Galere. Viene poi convinto da padre JBL, che vuole ricambiare le cortesie, a rimanere fino al giorno dopo per vedere una cosa interessante, assicurandolo che sarebbero tornati in tempo per farlo partire presto e arrivare di buon’ora a Porto Ercole, sua meta. Così il 29 JBL porta don Gaetano a visitare i bagni di Traiano e lo trattiene finché sono raggiunti dal Priore e da un altro religioso e con loro vanno alla Casa di San Liborio, dove lo fanno desinare, restano tutto il giorno e scendono a dormire in città. Il 30, JBL sta quasi per convincere don Gaetano a fare un’altra gita, ma dopo colazione lui parte senza altri indugi per la sua meta. Di mio, posso aggiungere che Gianvattò, per dovere “contrattuale” e per non smentire la mia enunciazione programmatica del titolo, sale a bordo della Feluca e l’accompagna fino alla Frasca, prodigandosi in ringraziamenti e buoni auspici per la sicurezza del viaggio. Scendendo poi a terra verso la Torre di Sant’Agostino, dopo i resti del “porto delle colonne”, dove trova alcuni pescatori del Regno di Napoli che ben rammentavano il precetto pasquale assolto col padre Labat e che furono ben lieti di evitargli di tornare al Convento a piedi, accogliendolo con tutti gli onori ed uno spuntino di pescato freschissimo sulla loro paranza.

A corredo del racconto ambientato nel Settecento labatiano, che in certo modo anticipa una ricognizione del territorio che diverrà prassi costante per l’Ufficio comunale preposto negli ultimi decenni del Novecento, ma anche a compenso delle divagazioni di Don Abbondio, nell’ottica di perseverare tenacemente nel continuare a proporre programmi che uniscano la cultura della rievocazione storica con la politica della partecipazione civica, pubblico la relazione inviata all’Amministrazione comunale in vista delle attività da porre in essere, di concerto tra i vari enti coinvolti ai vari livelli, per il «Grande Giubileo del 2000».
Relazione
Il rilievo e la ricostruzione storico-filologica finalizzati agli interventi di recupero degli spazi urbani e del cromatismo delle architetture nel centro storico di Civitavecchia, con particolare riferimento al porto monumentale.
Gravemente colpito dai bombardamenti aerei del 1943-44, malamente riedificato nell’affrettata ricostruzione del primo dopoguerra, impoverito di alcuni monumenti tra i più significativi e poi alterato nelle sue caratteristiche volumetriche da brutali inserimenti di edilizia squalificata, il centro storico di Civitavecchia – di cui il porto è una componente essenziale – è giunto ai nostri giorni in uno stato di estremo degrado urbanistico, dovuto all’assenza di sostanziali interventi di recupero.
Queste situazioni determinate da iniziali carenze normative e dalla scarsa attenzione degli organi di tutela e delle amministrazioni centrali incaricate di localizzare i finanziamenti (che si sono indirizzate verso altre località della regione, ritenute, superficialmente, di maggiore interesse storico- artistico), ha impedito l’attuazione dei piani e dei progetti di riqualificazione urbanistico-ambientale che pure l’ente locale ha predisposto a partire dal 1970.
Gli studi sui monumenti scomparsi e superstiti, compiuti dal sottoscritto con il prezioso apporto delle ricerche e delle tesi degli architetti Paola Moretti e Rossella Foschi, hanno posto in luce l’entità delle perdite subite dal patrimonio architettonico della città, ma hanno anche evidenziato la possibilità di restituire al centro storico e al porto significati spaziali e funzioni culturali e sociali capaci di riscattare il generale squallore che caratterizza l’aspetto della città laziale.
Oggi, il porto di Civitavecchia, primo scalo italiano per numero di passeggeri in transito, è al centro dell’attenzione in relazione alla sua funzione di “terza porta” di Roma, di “cuore” dell’Italia centrale, di “polo di mobilità” per un ampio bacino d’utenza che comprende mete turistiche oltre a Roma, come l’Etruria meridionale, la costa toscana, la Sardegna e la Corsica, in collegamento con i porti francesi e spagnoli del Mediterraneo e in relazione ai programmi per il Giubileo 2000, Roma Capitale e l’Area metropolitana di Roma.
Sia localmente sia presso le istituzioni e amministrazioni centrali, anche ai massimi livelli governativi, si è avvertita l’esigenza e l’urgenza di finanziare interventi di recupero, riqualificazione e valorizzazione del patrimonio architettonico di Civitavecchia e, in vista delle imminenti scadenze, sono stati firmati i protocolli d’intesa e varati programmi di potenziamento infrastrutturale e di rilancio turistico, prevedendo – dopo un cinquantennio di totale disinteresse per la qualità urbana e ambientale – addirittura la demolizione di tutti i manufatti, le strutture e gli impianti del porto che ne hanno deturpato il contesto spaziale.
In tali circostanze, che vedono presente il carattere dell’emergenza nelle diverse fasi temporali per i tempi ristretti concessi dalla necessità di operare con grande rapidità, risulta essenziale un lavoro scientifico di ricerca e di elaborazione che renda disponibili dati rigorosi e conoscenze storico-filologiche da porre a base degli interventi. Il rilievo degli spazi urbani e portuali, la ricostruzione delle emergenze monumentali, la definizione dei caratteri tipologici e cromatici delle architetture deve precedere e accompagnare la progettazione delle nuove sistemazioni urbanistiche.
Promossa dall’Ufficio Speciale per il Territorio e i Beni Culturali e Ambientali del Comune di Civitavecchia, la collaborazione tra gli enti competenti nella realizzazione di tali sistemazioni e le istituzioni culturali che possono fornire il supporto scientifico indispensabile ad assicurare la coerenza e la validità degli interventi dal punto di vista storico, urbanistico e architettonico, assume una valenza prioritaria e ineludibile.
In quest’ottica, la ricerca sarà indirizzata al rilevamento architettonico e cromatico e alla ricostruzione grafica delle strutture urbane e portuali ed alle ricerche d’archivio, proseguendo quelle già svolte presso l’Archivio di Stato di Roma e la Biblioteca Apostolica Vaticana. Il materiale documentario elaborato sarà messo a disposizione del Comune di Civitavecchia e della locale Autorità Portuale, per essere utilizzato nella progettazione e attuazione degli interventi di recupero e, contemporaneamente, per costituire il primo nucleo di una esposizione permanente da allestire nei locali della Fortezza bramantesca del porto. Questa, come altri luoghi significativi dello stesso porto e della città da caratterizzare con specifiche caratteristiche, sarà attrezzata e sistemata per ospitare un centro polifunzionale di accoglienza turistica di alto livello culturale ma con la finalità di stimolare il dialogo con i visitatori e con gli stessi cittadini, mettendo in atto un processo di partecipazione emotiva che ne faciliti la comprensione e la valorizzazione.

FRANCESCO CORRENTI

In barca quel viaggio l’ho fatto anche io e per esattezza da Gaeta all’Argentario;mi sono sempre chiesta perché non si potrebbe andare a Roma per mare!!!!in seconda battuta, se in qualche modo il porto può vantare una sua riqualificazione, lo stesso non si può dire del nostro piccolo centro storico sempre più squalificato; mi chiedo quale sarà l’amministrazione che finalmente si deciderà a metterci mano; il centro storico è come non mai, attraversato da migliaia di turisti ogni settimana, costituisce l’immagine della città e potrebbe essere un gioiellino; piazza Leandra non ha nulla da invidiare a quelle piccole piazze del centro storico di Roma, ma il degrado, in parte occultato la sera dai locali, dai tavoli fuori e dalle luci, durante le ore diurne è visibilissimo. Lo stesso per altri punti del centro storico; Riusciremo a vedere una riqualificazione del centro? Presumo che non manchino i finanziamenti per potere fare qualcosa ma quella che manca è più che la volontà politica( anche), la capacità di fare in questa città
"Mi piace""Mi piace"
Commenterò il tuo commento in modo più meditato domani o dopodomani, perché anche io mi ero fatto la tua stessa domanda, rispondendomi positivamente, già nella tesi di laurea (a.a. 1965-66), in cui anche il sindaco poteva arrivare al “mio municipio” in barca (o altro mezzo galleggiante) e perché la tua supposizione finale è assolutamente veritiera. Proprio questa mattina ho avuto una riunione molto promettente da quelle parti e ne sono uscito pensando di scrivere una prossima puntata della rubrica con una bellissima frase che chiuse un caso emblematico e ben noto (di genere molto diverso, ma anche di quel genere non ci sono mancate esperienze): “Dove eravamo rimasti?”. Augurandomi di veder confermato il mio ottimismo, adesso una prima riflessione su quanto hai scritto la voglio fare semplicemente ripetendo il parere dei personaggi di cui ho raccontato le avventure: ho l’impressione che la miopia della Reverenda Camera Apostolica sia peggiorata e, purtroppo, a tutti livelli.
"Mi piace""Mi piace"
Riprendo la mia risposta-commento. Nell’Invito alla manifestazione d’interesse per l’inserimento nel nostro PRUSST di nuove proposte pubbliche e/o private d’intervento ai sensi dell’Accordo di programma sottoscritto in data 4 luglio 2012, come già nella relazione iniziale del 1999, era detto che le proposte potevano prevedere, a titolo indicativo, le seguenti tipologie d’intervento, anche combinate tra loro:
a) rimodulazione ed integrazione delle reti e del sistema dei trasporti infra ed extra territo-riali (urbanizzazioni, viabilità, sistema ferroviario, attrezzature portuali ecc.);
b) recupero e fruizione adeguata del patrimonio storico, artistico ed archeologico (centri storici, siti archeologici e monumentali ecc.), e interventi di riqualificazione urbana anche attra-verso la realizzazione ed il recupero di edilizia pubblica e privata;
c) migliore organizzazione insediativa ed infrastrutturale del sistema e delle attività produt-tive con particolare attenzione ai poli produttivi, terziari e di servizi esistenti (a- ree artigianali ed industriali, strutture commerciali ecc.) e migliore diffusione e qualificazione degli ambiti pro-duttivi relativi ai settori culturali e turistico-ricettivi (porti ed approdi turistici, sistema al-berghiero, agrituristico, sportivo-recettivo e servizi collegati), con eventuale trasferimento del-le attività produttive insediate in siti più idonei, con riuso e valorizzazione dei siti originari.
Si faceva poi esplicito riferimento all’istituzione di un servizio “estivo” di cabotaggio tra i centri turistico-balneari del “Litorale Nord” della Regione Lazio (ai sensi della l.r. n° 40 del 22.12.1999) con battelli sul genere dei “vaporetti” di Venezia o meglio (per fermarci in Italia) delle motonavi pa-noramiche delle escursioni da Porto Garibaldi o da Comacchio sul Delta del Po o per le Ville Venete della Riviera del Brenta. Purtroppo, nonostante il magnifico lavoro preparatorio svolto per oltre un paio di anni (pubblicato per intero su un BUR del Lazio dalla Giunta Marrazzo nel 2005) ed il lavoro dell’intero 2007 del nostro gruppo “Tuscia 40” (con giovani tutti molto brillanti) nell’ambito dell’Ufficio Consortile Interregionale, il lavoro è rimasto senza esito. Infatti, alcuni responsabili politici regionali di allora (del centrosinistra) – certo con il contributo fondamentale dell’inerzia e dell’omissione di atti d’ufficio della (temporanea) dirigenza urbanistica del Comune di Civitavecchia per la Giunta Moscherini (dedita a curare i propri interessi economici con azioni poi ritenute illegittime dal TAR) – hanno svolto una attività di storno e distrazione, di ostacolo alle procedure di approvazione e quanto altro, così da impedire l’arrivo di oltre 140.000 Euro di contributi al Comune divenuto “nemico” e – come effetto secondario ma non irrilevante – la doverosa liquidazione dei compensi spettanti al gruppo dei giovani collaboratori (e di tutti gli altri, naturalmente).
Per quanto riguarda il centro storico, cara Rosamaria, aggiungo solo due cose. La prima riguarda la questione della viabilità e dei parcheggi, la cui realizzazione è stata combattuta con violenza e anche con mezzi “di ogni tipo” nel presupposto che non realizzando parcheggi (interrati o tipo auto-silo) non si sarebbe incentivato l’afflusso di persone al centro. Una concezione embrionale e infantile. Che ci porta a piazza Leandra ingombra delle auto degli abitanti oltre che da grossi vasi con ulivi (bastava una fioriera con un OLEANDRO).
La seconda riguarda il fatto che nel PRG il termine “Centro storico”, la sua definizione e la sua perimetrazione – si sa e lo ammetto – è solo colpa mia. Nel PRG di Piccinato, Amaturo e Di Cagno il Centro storico non esisteva. La zona centrale della città, corrispondente all’area occupata dalla “terra” di Civitavecchia, ossia quella racchiusa entro i bastioni rinascimentali, Piccinato, Amaturo e Di Cagno l’avevano vista “vuota”, totalmente spianata dopo le demolizioni di quanto rimasto dai bombardamenti e la rimozione delle macerie , forse con qualche maceria residua, la tenace facciata di Santa Maria ancora in piedi e le prime brutte case della “ricostruzione”. Per cui tutta la zona era detta “di completamento delle zone urbanizzate U”, senza alcuna attenzione per il mantenimento di eventuali preesistenze o per il rispetto dei caratteri tipologici e storico-ambientali. L’altra zona di carattere storico, quella dell’ampliamento otto-novecentesco a sud entro la “ cinta francese”, quella era addirittura detta “di ristrutturazione viaria ed edilizia delle zone urbanizzate R”, e infatti i tre urbanisti ne facevano “tabula rasa” nel loro piano del 1969-70 per il “Centro direzionale”, con un nuovo municipio su pilotis con annessa torre civica cilindrica, una viabilità “adeguata” con una grande arteria e sei corsie che si staccava da viale Baccelli al Bricchetto, correva lungo la ferrovia passando alla testata della nuova stazione “a ponte” (come la mia per la tesi di laurea) e poi immettendosi a coprire la trincea all’altezza del Pincio.
Io, assunto su concorso (1968) come urbanista ed entrato in servizio a febbraio 1969, ho avuto come primo compito quello di adeguare il PRG al sopravvenuto D.I. 2 aprile 1968, “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricanti e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.765”. Quello ho fatto e non potevo certo ignorare le zone A) cioè “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”. Ma in Val di Fassa (per citarne una), nelle Terre senesi (per citare un nome), anche in tante altre localià (anche da noi a piazza San Giovanni o Saffi se volete), chi fa e cura il Centro Storico sono gli abitanti insieme ai titolari delle attività lì insediate, in stretto contatto con il Comune e con la chiara consapevolezza che sono BENI COMUNI, di tutti noi, di ciascuno di noi, da amare e rispettare, da valorizzare con iniziative continue ma anche – credetemi – appaganti.
"Mi piace""Mi piace"
Vista la data odierna, “Allons enfants de la Patrie”, senza troppa enfasi, senza grandeur, ma con il senso ben preciso dei Diritti dell’uomo e del cittadino.
"Mi piace""Mi piace"