RUBRICA “BENI COMUNI”, 46. EBBREZZA DELLA PISTA. SE ORMEGGIARE NON SIGNIFICA SEGUIR LE ORME…

di FRANCESCO CORRENTI

«Pazienza. Lo studio richiede pazienza. La ricerca richiede pazienza. Quindi tempo. Tempo da perdere? No, tempo da trovare. Quindi ricerca. Quindi studio… e così via, sempre daccapo. La mia “Cronotabella JBL-JHW” ha raggiunto le 23 pagine. Scritte fitte, in corpo 10. Con dati e date dal 1416 al 2021 (devo aggiornarla alle cose più recenti). D’altra parte, come si fa a tenere il bandolo di una storia vera e d’una di fantasia, mantenendo la coerenza e la verosimiglianza storica, senza un quadro complessivo e dettagliato dei fatti, degli avvenimenti reali e delle vicende immaginate, come le indagini del Provicario Labat e del suo assistente (qualche amabile lettrice e qualche cortese lettore ne ricorderanno gli intrecci pluridirezionali e le intersezioni a molteplici livelli)?!» Ho ripreso questo discorsetto e le due immagini qui sotto dal messaggio che ho pubblicato ieri sul mio “profilo” social (Facebook), dato che potevano rappresentare bene quella “ebbrezza” del titolo. 

In effetti, così, ho cambiato sostanzialmente l’inizio – OK! Scusate, l’incipit! – pensato per questa puntata della rubrica, che volevo giostrare sui temi evocati dalle immagini di copertina. Compongo sempre per prima cosa quella specie di “manifesto”, proprio perché mi aiuta molto a ordinare lo svolgimento del “compito” ed a mantenerlo entro binari non divergenti e dispersivi.

L’ispirazione tratta dalla nota opera di Umberto Eco Vertigine della lista (Bompiani 2009) è dichiarata in maniera evidente, come pure la parafrasi con assonanze, appunto il titolo della puntata: Ebbrezza della pista. Quindi, la lista è il tema, mentre la pista è il percorso che intendo seguire, seguendo la traccia, le tracce, il solco, la via, il cammino indicato, anzi segnato, no, proprio tracciato dal Maestro. Mi torna alla memoria la laboriosa traduzione dal greco dell’inizio delle Eumenidi di Eschilo, al liceo, con i “costruttori di strade figli di Efesto”, ma questo sarebbe davvero uscire dai binari e scantonare. E quindi torno alle tracce, passi, orme da seguire. Con l’escamotage dell’ormeggio, che mi ri=porta in porto (il solito), consentendomi anche di citare “IL Vanvitelli” (vedi qui su SpazioLiberoBlog l’articolo del 1° luglio 2021, ma attualissimo in questi giorni per le nostre iniziative dei 280), ormeggiando in copertina il suo disegno d’una galera proveniente da Ancona. Senza chiedermi cosa si vede in coperta e non si vede sotto coperta, ma completando gli altri spazi con immagini piuttosto “scoperte” di liste, elenchi, inventari: una (“Schema materialium”) ripresa dal libro di Eco, un’altra dalla Storia dell’Annovazzi su cui torneremo subito e la terza riproducente uno dei miei “cataloghi illustrati”, quello sulle tipologie della ceramica vascolare greca con la relativa nomenclatura, dall’hydria al rhyton (in ordine di disegno) ossia dall’alabastron allo stamno (in ordine alfabetico).

Passo quindi a trascrivere la prima “lista” del libro di monsignor Vincenzo Annovazzi. Anche se non unisco la veduta su cui sono segnati i numeri di riferimento della legenda riportata nella mia tabella, credo che i lettori riescano facilmente a cogliere le differenze e le persistenze nel confronto con la situazione attuale. La grande tavola fuori testo inserita in quel volume, edito postumo nel 1853, è datata al 1848.

Fu disegnata, lo dico nei miei scritti e lo ricordo senza dubbi, con il contributo diretto del celebre ammiraglio Alessandro Cialdi. Al momento non ho modo di controllare questa reminiscenza né quale sia stato l’apporto concreto del grande civitavecchiese. Lo farò quanto prima e ne riferirò in una prossima puntata della rubrica. Ma intanto devo dire che la veduta ha dei particolari che ci sono molto utili per ricostruire con esattezza l’aspetto della città all’epoca, dalle facciate e dalle coperture degli edifici allo stato della viabilità, degli spazi aperti, della campagna, delle alberature. Proprio per la novità rappresentata nella veduta dell’Annovazzi, costituita dal grande viale lungo il mare realizzato nel 1836 dall’ingegner Provinciali come arrivo della via Aurelia – ne abbiamo scritto nella puntata del 20 giugno – e disegnato con precisione, pianta per pianta, possiamo costatare come anche a Civitavecchia, per la prima volta, si introduce quel modello che abbiamo visto applicato altrove già da secoli, con «… viali, dove fila ininterrotte di platani, di olmi e di ippocastani proteggevano d’ombra il passo dei viandanti» (ripeto la bella frase di Pietro Citati, Requiem per gli alberi in città, “la Repubblica”, 6 giugno 2001).

Ma come non di rado accade per le innovazioni, anche questa fu oggetto di qualche critica. A esporla, in modo velato e del tutto fuori tempo, fu addirittura Carlo Calisse (Storia di Civitavecchia, Firenze 1936, p. 665), che riferisce dei palazzi e del teatro sorti ad abbellimento della città, con la piazza Gregoriana, sull’ampia spianata del tratto demolito di mura con la (2^) Porta Romana, loda l’imbonimento a mare ottenuto «collo scarico dei terrapieni, con vantaggio degli abitanti, che ne acquistarono un ameno passeggio, adorno oggi di palazzi, monumenti e giardini», ma mette in evidenza gli svantaggi, attribuendo ipocritamente ad altri l’espressione dei problemi negativi: «quantunque gli antichi avrebbero osservato che alle condizioni idrografiche del porto non era utile perdere il grande arco, che con lento declivio faceva da sopravvento alla spiaggia». Lascio immaginare alle amabili lettrici ed ai cortesi lettori come il nostro sommo storico avrebbe commentato l’attuale “Marina”, i suoi vialetti ondulanti, i vari moletti e bacini, barriere soffolte e “pirgoli” emersi, privi di logici riferimenti geometrici alle preesistenze ed al contesto, di assi compositivi e di direttrici icnografiche, oltre a spazi attrezzati e volumetrie armoniche ma utilizzabili per le tante funzioni pubbliche di servizio (per tempo libero, gioco, divertimento, spettacolo, musica, vari eventi culturali) che potrebbero animare e rianimare quel rapporto mare-città poco coltivato da sempre. Forse, a mia volta, mi sono troppo immedesimato.  

Accanto a quei pregi, dati dagli interessanti dettagli (peraltro non sappiamo quanto fedeli), però, la veduta di Annovazzi-Cialdi presenta alcuni errori grossolani, come in particolare la forma planivolumetrica dell’Arsenale chigiano, che non rispecchia affatto l’elegante ventaglio delle sei navate e si direbbe simile alla sbilenca pianta militare databile al 1816 di cui ho parlato in altra sede, chiedendomi dove avessero la testa, quel giorno, gli autori (anonimi, buon per loro) di quell’assurdo rilievo. Vedrò di capire, prossimamente come ho detto, il ruolo effettivo di Alessandro Cialdi nella realizzazione della veduta.

Le sue benemerenze sono indiscutibili – a parte quelle «nella storia della marina, per le opere scritte e per le azioni compiute» (Calisse, 665) – nello studio delle caratteristiche del porto traianeo e nella formulazione di opere di adeguamento alle nuove esigenze dei traffici senza alterazioni all’impianto originario. Nella mia storia urbanistica di Civitavecchia ho illustrato i due progetti, sostanzialmente analoghi, del 1861 e del 1872, da lui studiati per creare un bacino artificiale collegato al porto con un canale nella zona corrispondente all’area compresa oggi tra la via intitolata allo stesso Cialdi, la trincea ferroviaria, la via Giordano Bruno e il Viale Garibaldi. Ma il suo merito maggiore, a mio parere, è stato quello di aver compreso – negli anni in cui si iniziava a mettere in discussione la forma del nostro “porto ideale”, proponendone ampliamenti e chiusure all’interno per la sua soggezione a venti e correnti –, che proprio questa era la caratteristica positiva del porto, una cui diversa conformazione avrebbe alterato – come avvenuto – lo stabilito naturale benefico regime delle correnti, diminuendo «quel giuoco stesso di flutti, che se da una parte rende in genere incomodo il porto, dall’altra però lo preserva in specie purgato, ciò che vuol dire perennemente utile». E infatti, egli dimostra il danno che comporterebbero al porto le «correzioni» fin da allora proposte, che poi hanno avuto attuazione alla fine dell’Ottocento ed ai primi del Novecento con il prolungamento dell’antemurale verso NO e con la chiusura della Bocca di Levante. Sulla storia dei lavori e dei progetti moderni ricordo ai lettori, l’ultima poderosa opera di Francesco Cinciari, Sic Roma Portus, edita a Civitavecchia nel 1977.

E così, dati ad Alessandro i suoi meriti – anche in parziale compenso al dispiacere che, insieme agli altri Uomini Illustri e Benemeriti Figli di Civitavecchia sepolti nell’Emiciclo delle Glorie Patrie, certamente il Suo Spirito prova per le vergognose condizioni in cui sono temute le loro Tombe (Arche de’ Forti!) nel Cimitero Monumentale presso San Lorenzo alla Fiumaretta – ed in attesa di sciogliere i dubbi sugli errori della veduta più volte evocata, chiudo questa puntata con due elenchi illustrati che completano e chiariscono – penso con piacere dei lettori interessati alla materia – alcune mie recenti “conversazioni” sulle varie cinte murarie e sui toponimi del territorio. La lista qui sopra concerne i nomi delle porte e dei bastioni esistenti nel 1851, come indicati nelle carte Extravagantes dell’ASR, in cui ho posto tra parentesi quadre quelli che all’epoca erano già stati demoliti. Ho posto i numeretti di richiamo sulla pianta della città che un quarto di secolo fa, quando ho redatto il piano di recupero del “Pincio”, ho disegnato con la grafica e la simbologia d’un moderno Piano Regolatore ed ho chiamato La Città degli architetti, perché conforme ai piani e progetti ideati nel tempo, senza le distruzioni e le improvvide demolizioni: una rimpianta utopia.

Non sfuggiranno agli amici lettori i nomi dei santi cui sono affidati i bastioni (piuttosto modesti) del nuovo circuito dell’ampliamento francese di metà Ottocento. Per alcuni si tratta di riparare al torto della demolizione di quelli della cinta cinquecentesca o di tenere conto di preesistenze in quei pressi; per la nuova Porta verso Roma, all’altezza delle Quattro Porte della ferrovia, di rendere omaggio al regnante Pio IX. Per gli ultimi tre, Giacomo, Vittore e Oscarre, non mi attardo a fare ipotesi, se non azzardare che il santo monaco benedettino Oscar, chiamato anche Anscario od Ansgario, missionario in Scandinavia e arcivescovo di Amburgo, essendo nato ad Amiens (l’8 settembre 801) potrebbe aver avuto qualche devoto fedele tra i militari del Genio francese d’occupazione, forse lo stesso generale De Goyon che firma il decreto di approvazione del progetto e della spesa totale di 80mila scudi. In breve il nuovo giro delle mura è attuato e la rete viaria tracciata.

Di questa intelligente soluzione urbanistica, tipicamente nordeuropea, poco rispettata per quanto riguarda l’ampiezza di piazze e spazi pubblici dalla Civitavecchia italiana (postunitaria), anche Carlo Calisse non sembra entusiasta: «Così fu sciolta col fatto la questione che s’agitava se l’ingrandimento della città dovesse avvenire, come avvenne, lungo la via Aurelia, ovvero a tramontana, verso le colline». E biasima, giustamente, le demolizioni successive di tutte le cinte, compresi i “fianchi rinforzati” inventati dal Sangallo. «E colle mura – conclude con dolore – caddero le porte: la Romana nel 1874, quella detta Campanella nel 1871, l’altra di Corneto nel 1884».

L’ultima tavola riproduce una mia vecchia trascrizione grafica dei fogli del Catasto Gregoriano di Civitavecchia del 1818, con l’indicazione di alcune opere più tarde e con i vari toponimi. L’elenco, invece, riporta i toponimi riscontrabili sui 31 fogli delle mappe catastali del XX secolo, con le denominazioni delle località, dei casali e degli edifici storici. In basso, quale riferimento visivo di alcune osservazioni fatte nel testo, ho posto una foto tratta da Google Earth website della fronte urbana tra la Fortezza di San Michele Angelo e Borgo Odescalchi, con le sistemazioni della cosiddetta “Marina”.

FRANCESCO CORRENTI

https://spazioliberoblog.com/

N.B.: Sulle Tombe degli uomini illustri che hanno meritato la riconoscenza della patria (Calamatta, Guglielmotti, Cialdi, Laurenti), del profugo Hoffer e di un casato ben noto, oltre ai Caduti in guerra ed agli “sconosciuti” “estumulati”, molti sono stati gli appelli in varie sedi. Cito quelli su SpazioLiberoBlog, a ritroso. Del 21 giugno 2021 l’articolo di Cristina Rocchetti “Il cimitero monumentale di Civitavecchia: dal luogo del ricordo al luogo dell’oblio”. Del 12 maggio 2021 quello di Enrico Ciancarini, “Un romantico cimitero in riva al mare – 1”. Del 3 aprile 2019 il mio (“Sul tempietto del Bramante”, terza parte) con il post “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”, corredato dalle micidiali foto di Francesco Cristini, terribilmente eloquenti, già commentate su un post del mio profilo su Facebook del 27 giugno 2016, a proposito della pregevole pubblicazione dedicata alla memoria del rimpianto Giovanni Massarelli, sindaco in anni lontani ma fino all’ultimo esempio di instancabile dedizione alla sua città, con prefazioni di rito delle Autorità, ma senza una parola sullo stato denunciato da quelle foto e sui provvedimenti da prendere