I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.
Il 28 giugno Ezio Calderai ci ha lasciato. Spazioliberoblog continuerà a pubblicare settimanalmente I cantastorie traditi.
Ezio ci aveva consegnato il suo lavoro completo, diviso in capitoli. Con lui avevamo anche convenuto che una volta conclusa la pubblicazione sul blog, avremmo valutato la possibilità di raccoglierlo integralmente in volume.
Grazie Ezio, è stato un privilegio averti con noi.
di EZIO CALDERAI ♦
Capitolo 30 : Preludio con biopic (il secondo) imprevisto
Anche se erano rimasti quattro gatti, il Quirinale era in subbuglio. L’ultimo dell’anno, quando il Presidente Mattarella doveva leggere il tradizionale messaggio di auguri agli italiani, era sempre così.
Nessuna ritualità questa volta: era il 2035 e sarebbe stato l’ultimo. La riforma costituzionale aveva rimosso il divieto di rielezione dopo il secondo mandato, quindi, il Presidente poteva essere eletto per la quarta volta e tutti stavano insistendo perché continuasse la sua preziosa missione.
I più arditi sostenevano che la Regina Elisabetta era stata sul trono per oltre 70 anni e nessuno in Gran Bretagna aveva detto niente. I funzionari del Quirinale avevano dovuto spiegare la differenza tra le due situazioni.
Sergio Mattarella non ne voleva sapere. Ancora energico, nella Sala degli Specchi, colpevolmente impolverati, riceveva l’ennesima delegazione che tentava di convincerlo. All’improvviso alzò la voce: «ma che volete da me, ho quasi cent’anni, non ne posso più e non ce la faccio più, ma ci pensate tre o quattro volte all’anno a salire la scalinata dell’Altare della Patria? Tutto il giorno con la mascherina, almeno a casa mia me la levo, e poi non conosco più nessuno, i deputati non so neppure come siano usciti dalle ultime elezioni, anche Draghi cinque anni fa se ne è andato, con lui mi avete fatto fare i salti mortali per mantenerlo al Governo. Stasera sarà il mio ultimo discorso. Basta. Ci pensi qualcun altro».
Ormai erano anni che giorno e notte percorreva, assorto, i corridoi del Palazzo, con i Corazzieri contati, chiedendosi come era potuto accadere quel disastro in pochi anni. Recentemente gli avevano messo a disposizione una carrozzina elettrica.
Nel 2019, era al primo mandato, i suoi consiglieri gli avevano detto che gli europei, quelli con uno status economico e culturale medio–alto, circa il 30-40% della popolazione, non erano mai stato così bene, avevano realizzato il loro sogno: lavoro ridotto all’osso, cielo pulito tutti i giorni, macchine elettriche, welfare da rivedere profondamente, dalla culla alla tomba non basta più, bisogna andare oltre, la tutela deve precedere la nascita, per il dopo vita, sempre che Google o Amazon non ci mettano le mani, si vedrà.
La risposta gli era venuta spontanea. Scusate, aveva detto, ma, con l’aria che tira, che ne sarà del residuo 60-70%, il lavoro glielo darà l’algoritmo? Come scalderanno e illumineranno le loro case, con la carbonella? Gli risposero che non doveva preoccuparsi, tutto era stato messo in conto, con i bonus se la sarebbero cavata. Già, disse tra sé e sé, mi pare tanto la soluzione di Maria Antonietta, che, alla vigilia della Rivoluzione Francese, ai sudditi, che erano andati a chiederle il pane, ormai sparito dalle tavole, saggiamente ordinò ai servitori di dargli le brioches.
Sentiva che era tempo di bilanci. Nelle sue passeggiate solitarie non poteva mentire a sé stesso: a parte il Covid e la maledetta guerra in Ucraina, di errori ne aveva commessi, come, del resto, tutta la classe dirigente di cui era espressione.
Giravano libelli feroci, che parlavano addirittura di rovina della civiltà occidentale, con l’Italia in prima fila, attribuendone la colpa agli alfieri del pensiero unico, a chi aveva fatto sparire dalla lotta politica pluralismo e confronto, a chi predicava di elevare a sistema l’uniformità dei comportamenti.
Alcuni scrittori, più avvelenati, ricordavano che negli anni ’90 in Italia un movimento politico, di cui lo stesso Mattarella aveva fatto parte, aveva nel suo logo un magnifico Ulivo; vinse due volte le elezioni e alcuni dei suoi dirigenti, sfidando il ridicolo, pensarono di lanciare «L’Ulivo mondiale».
Il Presidente conosceva bene quella storia, ma ricordava altrettanto bene che i governi dell’Ulivo non vissero giorni memorabili, troppo raccogliticce le maggioranze che li sostenevano. All’epoca nessuno immaginava che quel disegno, o qualcosa di simile, potesse realizzarsi, vent’anni dopo.
Invece proprio quello è accaduto, riconobbe, più sconsolato che incredulo.
Le critiche erano violente. Un coro. Si sosteneva che il politicamente corretto, negli anni in cui il disastro prendeva forma, dominava la politica, aperta soltanto agli eletti, a coloro che si auto- consideravano dalla parte giusta della storia, per i quali gli avversari erano nemici, che debbono essere privati del diritto all’immagine e alla parola. Una élite che si era fatta potere, riservato a magistrati, burocrati, professori, clientes, famigli, ai quali veniva garantito status sociale, favori e protezione; conosceva bene quel sistema e le tecniche di reclutamento. Oggi, con il senno del poi, poteva dire che ne facevano parte cinici opportunisti, che avevano capito che, se stai dalla parte giusta della storia, nessuno può toccarti o, se proprio devono, lo faranno delicatamente. «»
Uno degli critici più scalmanati ricordava di aver fatto 10 anni prima una profezia: «avete governato l’occidente, il mondo delle democrazie liberali, sostituendo la propaganda all’autorevolezza, il conformismo alla responsabilità, con la convinzione di essere i governanti più buoni della storia dell’umanità – vi chiamavano il clan della ‘pornografia della virtù’-, quando vi accorgerete dei guasti che avete provocato, sopprimendo la dialettica e la libertà di pensiero, per quanto scomoda possa essere, sarà troppo tardi».
Mattarella non era d’accordo, le parole violente non gli piacevano, tuttavia, se il suo palazzo, quelli del Parlamento e degli altri organi costituzionali erano presidiati da blindati, come si poteva affermare che tutto avesse funzionato per il meglio? I Tribunali si erano trasformate in cittadelle inaccessibili da quando, causa covid, era stato limitato ai minimi termini l’accesso del pubblico e degli stessi avvocati; da allora le restrizioni era rimaste, anzi aumentate.
Ricordava la battaglia ideale di Marco Pannella[1] contro le leggi speciali nel periodo del terrorismo, diceva che quelle leggi sarebbero rimaste anche al ritorno della normalità, limitando la libertà dei cittadini per sempre. Gli avvenimenti successivi gli avrebbero dato ragione.
Anche gli Ospedali erano protetti a causa del contingentamento dei posti nei pronto soccorso, seguito a un’incredibile penuria di medici.
Non poteva pensare che la vita degli italiani fosse ristretta alle città medio-grandi sotto la vigilanza di forze dell’ordine sempre più agguerrite e invasive, mentre le meravigliose cittadine, i piccoli paesi, i borghi della sua giovinezza si erano spopolati, privati di tutti i servizi, erano rimasti i vecchi, riforniti di cose essenziali, ogni 15 giorni, se andava bene, affidandosi alla provvidenza perché le ambulanze, se chiamate, arrivassero in tempo e non si rompessero per strada.
Venne preso da un accesso d’ira contro sé stesso, non smetteva di rimproverarsi: come abbiamo fatto a non capire che la denatalità sarebbe stata la fine dell’Italia, perché non abbiamo fatto politiche per l’infanzia e per la famiglia come in Francia, perché abbiamo fatto redditi di cittadinanza per tutti, per i poveri e per gli imbroglioni, a volte li chiamavamo Cassa integrazione, di lusso per i dipendenti Alitalia, poco più modeste per i dipendenti di aziende decotte di ogni ordine e grado. Ah, con la Cassa abbiamo inondato il Paese, come i torrenti intubati regolarmente inondano le dolci colline di Liguria in primavera e in autunno. Un circuito perverso, che ha impedito di investire sui giovani e su imprese ad alto valore aggiunto.
Davvero faceva fatica a dire, nelle occasioni ufficiali, che tutto era andato bene fino a quando non ci aveva travolto il destino cinico e baro. Una cosa, però, più di ogni altra, addolorava il Presidente, il declino della scuola. Il mito dell’eguaglianza, la facilità dei corsi dell’obbligo, i potentati nelle università avevano mortificato l’insegnamento, creando diseguaglianze indecenti. Le poche scuole di livello venivano frequentate dai figli del clan di quelli che stavano dalla parte giusta della storia, che poi completavano la formazione nelle migliori università del mondo. Così succederà – gli pareva una profezia tanto facile quanto amara – che quei rampolli privilegiati torneranno in Italia con in tasca l’ipoteca per i posti chiave nella magistratura, nella pubblica amministrazione, nell’università. Sarà loro il governo dello Stato e, dopo di loro, dei figli.
Provava vergogna quando gli rinfacciavano che i suoi figli e nipoti erano organici a quel circuito.
Come ho potuto non intervenire quando è successo che un magistrato sequestrasse uno dei forni della più grande acciaieria d’Europa nel 2012 e non concludesse la procedura nei successivi sei mesi, come ho potuto star zitto quando mi portavano le statistiche dell’abbandono della scuola da parte del 25% dei ragazzi in età scolare e constatavo che i grandi giornali e la televisione nascondevano la notizia, come ho potuto tacere quando ho capito che la forsennata corsa a fronteggiare il riscaldamento globale era l’anticamera della fine dell’Italia. Le occasioni perdute lo tormentavano.
Mattarella cominciava a vedere dietro di sé un orribile scenario. Di macerie. L’Italia, pensava, non ha materie prime, non ha industrie d’avanguardia, quelle poche rimaste di buon livello sono in difficoltà perché non trovano manodopera all’altezza dei compiti, ha sempre vissuto sull’inventiva e la trasformazione, ma oggi sei in competizione con il mondo che fa le stesse cose a prezzi stracciati.
Come potrà sopravvivere? Ci penserà l’Europa? Non riusciva a liberarsi dello scetticismo.
La sua voce rimbombava nei corridoi vuoti, sapeva che stava parlando da solo, ma non era matto, non trovava altro modo di sbattersi in faccia i rimproveri, che meritava, e che nessuno gli aveva mai fatto. Non vedeva l’ora di tornare in Sicilia, nella sua Palermo, anche se dubitava che lì avrebbe trovato consolazione.
***
Greta Thunberg non poteva credere che i suoi ideali fossero stati ricacciati indietro con perdite da una pandemia del cavolo e da una guerra demenziale.
Ancora nel 2019 era sulla cresta dell’onda. Più svelta di tutti, aveva intuito che l’innalzamento di qualche millimetro del mare nelle isole Samoa non bastava a sospingere il verbo del riscaldamento globale; ci voleva qualcosa di più. Le ci volle un attimo per confezionare le linee di una nuova enciclica (quella parola andava bene per i Papi, perché non avrebbe dovuto usarla lei?): «La crisi climatica non riguarda solo l’ambiente […]. I sistemi di oppressione coloniale, razzista e patriarcale l’hanno creata e alimentata. Dobbiamo smantellarli tutti»[2].
Conosceva i due movimenti che facevano al caso suo, «cancel culture» «wokisme». Circolavano prima che lei nascesse, ma li aveva studiati a fondo.
La «cancel culture» è figlia naturale del «politicamente corretto» e il sangue non mente.
Greta ammirava le prime campagne lanciate contro il conformismo imperante, giusto colpire gli zombi incapaci di recepire le nuove idee, giusto chiedere di mettere fuori mercato i libri degli autori accusati di comportamenti sessuali scorretti[3], giusto che sparisse dagli schermi, dai giornali, dalla faccia della terra, chiunque esprimesse concetti che potessero soltanto sembrare razzisti, critici sul gender e ancor più giusto negare il contraddittorio: l’accusa era la condanna.
Il linguaggio, poi. Greta aveva trovato geniali le tecniche che avevano condotto a imporre le parole permesse e quelle vietate. Via il maschile e il femminile nella scrittura, sostantivi, aggettivi e pronomi dovevano chiudersi con un asterisco. Solo più tardi un genio tra i geni concepì una lettera nuova, la schwa, arricchendo l’alfabeto e liberando il mondo dai pregiudizi.
Quel che più affascinava Greta, tuttavia, era l’azione, anche violenta, e in effetti contro una società ottusa non si poteva fare altro. Del resto, bisognava dare senso e corpo al cuore del movimento: Cancellare. Era meraviglioso rievocare la fase in cui il movimento si trasformò in falange armata, stanavano dagli uffici, dalle istituzioni pubbliche e private, chiunque avesse fatto, detto e scritto cose inqualificabili e non mollavano l’osso finché i colpevoli non fossero stati licenziati e tornassero nelle fogne. Altro che processi.
L’attacco ai simboli della cultura razzista, patriarcale, colonialista, anti-gender, creata da uomini di razza bianca fu spettacolare. Nei luoghi pubblici migliaia di statue vennero rimosse, amputate, imbrattate, i falò di libri deviati erano all’ordine del giorno (anche Hitler amava il rogo dei libri, ma almeno le statue le aveva risparmiate).
Non ci si fermava di fronte a niente, inutili le proteste per la violazione della vita privata di persone famose, o soltanto conosciute; era giusto che quelle vite inutili venissero sconvolte, additata al pubblico ludibrio. Non si doveva arretrare neppure di fronte alle università. La cancel culture partorì – si parva licet – decine, centinaia di migliaia di agenti della polizia del pensiero[4], perché quel professor* venisse mess* alla porta.
Fu uno spettacolo: università, editori, case di produzione cinematografica, aziende, travolti da questa marea, in ginocchio davanti alle nuove idee, salvo rare eccezioni.
Riuscì a salvarsi, tra i pochi, Woody Allen[5], ma ne uscì con le ossa rotte, anche se i giudici l’avevano assolto. Come se una sentenza potesse contare di fronte all’accusa di aver violentato la figlia, gli sputarono addosso. Allen pensò di aver perso comunque.
Greta conosceva anche il “Woke”, movimento più recente, ma egualmente promettente. Ha tratti simili alla cancel culture, il suo significato sta tra l’invito a essere consapevole e lo stare in guardia.
Il suo obbiettivo sono le ingiustizie sociali, specie legate al gender e alla razza. Quando accade, le vittime debbono essere aiutate e protette. Stessa cosa per i privilegi innati, i bianchi sono privilegiati perché vengono da famiglie abbienti, studiano in scuole migliori, non conoscono l’inclusività.
Nulla di più nobile, a giudizio di Greta, anche se i nemici sono tanti e gli rimproverano soprattutto di negare i valori americani.
Il piano di Greta era preciso, ma strada facendo si accorse che pandemia e guerra avevano cambiato tutto. Non che io possedessi virtù profetiche, ma, già molto tempo prima, speravo ardentemente che il mondo si sbarazzasse di movimenti che facevano dell’ostracismo e della pubblica umiliazione armi di sterminio di massa.
Se ricordate, all’inizio del capitolo 21 facevo cenno al progressivo abbandono delle materie classiche da parte di prestigiose università, Howard University e addirittura Princeton negli Stati Uniti, Oxford e Cambridge nel Regno Unito. Di solito i Consigli degli atenei si giustificavano con la scarsa attrattiva dei corsi per gli studenti del terzo millennio. Sicuramente stava accadendo, ma solo per il fatto che quegli studi venivano scoraggiati dai licei. Per noi italiani, comunque, costituiva motivo di vanto che, negli anni ’20 del terzo millennio, l’Università la Sapienza di Roma era stata dichiarata prima nel mondo per gli studi classici.
L’abbandono, tuttavia, non dipendeva da quelle cause o almeno non soltanto da quelle.
Gruppi di studenti, minoritari – ma non diceva Lenin che la storia la fanno le minoranze? -, ma decisi a imporre la loro cultura, si fa per dire, prima della pandemia e della guerra, spadroneggiavano nelle università anglosassoni, con le intimidazioni, le minacce e talvolta con la violenza. Tra i loro obbiettivi le materie classiche, considerate razziste. Ne erano successe di tutti i colori, statue di personaggi storici o di grandi artisti e scienziati del passato rimosse, amputate, imbrattate, libri tolti dalle biblioteche (qualche università, desiderosa di avere il primato della modernità – o della stupidità? – arrivarono a togliere Shakespeare dagli scaffali e avevano messo Omero, sporco maschilista, nel mirino), condanna senza appello della storia occidentale e dei maschi bianchi, ed eterosessuali, colpevoli di colonialismo, razzismo, patriarcato, rifiuto della biologia quando si scontrava con uno dei miti del nostro tempo, la teoria del gender[6].
La marea sembrava definitivo e irreversibile.
Invece no. Il fenomeno iniziò a sgonfiarsi. Sempre più evidenti i limiti di movimenti ridottisi a slogan demenziali, a propositi privi di senso (eliminare corpi di polizia nelle città americane, anche le più violente, sbarazzarsi della storia, della geografia, della biologia).
L’esaltazione millenarista, tuttavia, pur tra code velenose, venne sconfitta da Rettori che restituirono alle università il ruolo che avevano mille anni fa, quando vennero fondate, e dai Tribunali, che hanno cominciato a punire e duramente le intemperanze Wokiste contro colleghi e professori.
Il destino di quei movimenti è di essere rapidamente archiviati, anche se la strada è ancora lunga, e con disappunto di Greta, che per una volta non coglierà nel segno.
Greta, però, scelse il silenzio, mostrandosi più intelligente di tutti.
Forse fu tra i pochi a ricordare che i Padri Pellegrini portavano con sé dall’Europa una cultura puritana, soggetta periodicamente a terribili fiammate, come la caccia alle streghe di Salem, gli assassini incappucciati, con lugubri vesti bianche, il maccartismo, ma la religione civile degli americani, la libertà, era più forte, come lo sarà con i demenziali movimenti del terzo millennio. Una delle poche speranze che ci restano.
***
Anche Ursula von der Leyen, nel 2019, si sentiva sulla cresta dell’onda. Si complimentava con sé stessa per aver preferito la presidenza della Commissione UE a quella del condominio sotto casa.
Dopo la fine della guerra in Ucraina non venne più bene. Sbatteva da Scilla a Cariddi, che manco Ulisse, «io ho sconfitto il Covid, io ho trattato Putin come una pezza da piedi, io ho inondato l’Ucraina di soldi e di armi, io ho reso l’Europa più forte e unita, come non era mai stata». Io, io, io, ma nessuno le dava retta. Quando raramente succedeva, davanti a lei non c’erano persone che la comprendessero, ma un plotone d’esecuzione. Neppure San Sebastiano, aveva ricevuto tanti colpi, o frecce, se preferite.
«Dovresti soltanto starti zitta, hai imbarcato l’Europa in una corsa demenziale sul riscaldamento climatico, manco fosse una gara podistica. Volevi arrivare prima? Queste cose richiedono gradualità, riflessione. A Greta Thunberg, che ti stava alle calcagna, bastava che dicessi, guarda, prima fai il giro del mondo, vai in Cina, in India, dalle tigri asiatiche e negli stessi Stati Uniti, poi torni da noi; l’Europa da trent’anni ha fatto politiche contro l’inquinamento e le emissioni nocive, mentre gli altri stanno ancora a carissimo amico; non ha senso che noi diventiamo ‘carbon free’ e tutto il mondo scarica in atmosfera tutto e di più; tu vuoi che l’Europa si suicidi, ma sei cascata male, io non permetterò che i nostri concorrenti si liberino dell’Europa, che migliaia di industrie chiudano, che milioni di lavoratori vengano messi in mezzo alla strada».
«Il covid? Lascia stare, ti sei fatta fare i contratti da un’impiegata e, quando più c’era bisogno dei vaccini, hai messo alla porta uno dei maggiori e più seri produttori per un pregiudizio, che nemmeno i cacciatori di streghe medievali».
«L’Europa più forte e unita? Non far ridere i polli. Se l’Europa fosse stata forte, dopo le minacce russe, giuste o sbagliate che fossero, tu, non qualcun altro, avresti dovuto chiamare i responsabili ucraini, li mettevi sull’attenti e a brutto muso e gli dicevi: guardate, del vostro ingresso alla NATO non se ne parla, potrete entrare nella UE e io stessa vi garantisco una procedura accelerata, siamo disposti anche a importanti aiuti economici, ma voi dovete garantire alla Russia che non entrerete nella NATO e che farete uno statuto speciale per il Donbass, dove vivono milioni di persone di prevalente lingua e cultura russa; d’altra parte sono otto anni che li bombardate sarà o no l’ora di farla finita? Invece, no, i russi non avevano ancora varcato il confine e hai impugnato le sanzioni come una scimitarra, da lacchè perfetta degli Stati Uniti e della Nato. Sanzioni ridicole, perché non valevano per le forniture di gas e petrolio, di cui i paesi europei non potevano fare a meno. Più della Russia hai messo in ginocchio gli europei».
«Ti rendi conto o no che, per guadagnarti il consenso di minoranze prepotenti, ambientalisti, cancel culture, wokisme, LGBT+, hai messo a repentaglio la liberà di opinioni e di pensiero in Europa dopo centinaia di anni?».
Queste le critiche, e neppure le più feroci, che le piovvero sulla testa quando venne costretta alle dimissioni.
Ormai erano passati anni, la guerra era finita, Russia e Ucraina erano tornate culo e camicia, le città ucraine furoreggiavano in tutto il mondo. Un’elegantissima ragazza, dalla minigonna vertiginosa, disse all’amica con la quale stava passeggiando: «Quest’anno andiamo a Kiev, a Leopoli, dovunque capiti, se siamo fortunate troviamo ancora le macerie. Al mare? Odessa non si batte, altro che Sardegna, Costa Azzurra, isole greche; vedrai che troveremo una guida che ci farà visitare le Acciaierie Azovstal di Mariupol, ci potremmo trovare un camerata con le svastiche tatuate in tutto il corpo. Dai, scherzo».
Solo Ursula non si rassegnava. Prima o poi avrebbe ottenuto la presidenza del condominio dove abitava, ma non le bastava. Voleva spiegare, chiarire, ma nessuno la cercava. Non era raro vederla passeggiare nel magnifico giardino del condominio. Parlava da sola.
***
Anche se l’ironia è il modo migliore per dire e condividere la verità, ora è tempo di mettere insieme le poche pagine che costituiscono la ragione stessa dell’intero libro.
EZIO CALDERAI (continua)
[1] Leader per decenni del Partito Radicale. Per ricordare ai più giovani che l’Italia sarebbe stata migliore se l’avesse seguito, invece di affidarsi a chi voleva fare il nostro bene, decidendo, per noi e in anticipo, quale fosse.
[2] È noto, quando c’è un caldo boia d’estate, ti salvi solo se parli di fenomeni spariti da secoli.
[3] Ne è stato bersaglio persino Philip Roth uno dei più grandi scrittori, se non il più grande, del ‘900.
[4] Più tardi si sarebbero resi conto con soddisfazione che la Polizia Morale più efficiente operava in Iran.
[5] Considerato uno dei registi più geniali della storia del cinema.
[6] La scrittrice J.K. Rowling la mamma di Harry Potter ha ricevuto decine di migliaia di minacce, anche di morte, per essere stata accusata di transfobia, dopo che, partecipando a una conferenza ed avendo notato che il relatore e gli intervenuti avevano difficoltà a definire la donna come essere, usando delle parafrasi come persona con la vagina o persona con la cervice uterina, si alzò e disse: perdonatemi, ma non è più facile dire donna?

Un pensiero radicale e conservatore che lo avvicina agli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.
Con intelligenza e simpatia.
Paola.
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Su alcune esagerazioni mi trovo d’accordo, infatti non condivido per nulla questa furia che pretende di manipolare scritti, canzoni e quanto altro perdendo completamente la capacità di inquadrarli nel loro periodo storico: il passare dei decenni ha creato una serie di sensibilità che un tempo non c’erano; basti pensare, tanto per uscire fuori dai soliti temi, alla diversa sensibilità nei confronti degli animali. Poi però si rischia l’esagerazione e così anche ti costringono a vergognarti quando si rideva su alcune battute dei film di Fantozzi o di Cohen. Ezio mancherà a tanti per la sua ironia anche a quanti magari non ne condividevano completamente il pensiero, sicuramente conservatore come fa notare Paola, ma degno del massimo rispetto perché comunicato sempre con garbo e gentilezza
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