UNA IMPOSSIBILE TRINITA’
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
La religione dell’economia. Il progetto paneconomico della pubblicità. Il mondo reso sempre più “piatto”. La mercificazione dei rapporti politici. Il delirio consumista. L’ineguaglianza in crescita.
L’economia è una grande invenzione? E se lo è si potrebbe pensare al suo crepuscolo?
Penso sia utile fare qualche passo nel dominio dell’economico.
Inizierò con il tema della “globalizzazione” e delle sue problematiche per poi continuare con il problema del “liberismo”, dell’economia civile( alternativa tra mercato e stato) ed altro. Forse potremmo anche permetterci un volo iperbolico: parlare di ciò che Serge Latouche indica come “l’invenzione dell’economia”: ovvero,la fine di un totalitarismo oggi divenuto soffocante!
Il primo tema: la globalizzazione e i suoi problemi.
La tecnologia basata sull’informatica, la deregolamentazione dei mercati, la delocalizzazione produttiva, lo spostamento pesante dall’economia reale verso quella finanziaria, il concentramento della ricchezza in una ristretta oligarchia, lo “schiacciamento” del fattore capitale nei confronti del fattore lavoro, il ruolo sempre meno presente dello stato nell’economia, il diffuso individualismo che sta minando i meccanismi creativi di identità e di solidarietà sono tutti gli elementi costituenti la nuova forma di capitalismo, il capitalismo 3, che subentra al capitalismo precedente, il capitalismo 2, che ha caratterizzato la storia dell’occidente dal dopoguerra agli anni ’80 e che si era distinto per l’ampia azione statale nella risoluzione delle crisi, nel modello di “economia del benessere” e nell’azione redistributiva del reddito. Il capitalismo 1 è stato quello che ha caratterizzato il momento aurorale della rivoluzione industriale, del fordismo, delle svalutazioni competitive.
Dunque, siamo entrati nella terza fase del sistema capitalistico che potremmo definire con il termine globalizzazione. Entrare in un nuovo sistema rende molto incerta la valutazione specie se si riconosce anche nel campo economico la validità al principio hegeliano per cui la nottola di Minerva s’invola sempre al tramonto. Il giudizio di fondo della nuova fase capitalistica non potrà che essere formulata quando gran parte del sistema avrà raggiunto la sua maturazione e già si potranno intravedere indizi del suo declino. Ma se questo attiene il giudizio sostanziale, nondimeno possiamo rilevare gli effetti immediati, certo accidentali, “congiunturali”, modificabili che la globalizzazione va esprimendo.
Il primo impatto che stiamo percependo è quello che si può esprimere attraverso il “trilemma di Rodrik”.
Tre incognite delle quali solo due possono essere risolte lasciando irrisolta la terza. Una sorta di impossible trinity . La teoria economica ha già conosciuto in passato il gioco del trilemma ma questo era ben circoscritto ad uno specifico campo: mobilità dei capitali, cambi fissi, autonomia monetaria. Non si poteva ottenere la soluzione di tutte e tre le incognite, una andava sacrificata. Se si voleva mantenere la sovranità monetaria e garantirsi l’entrata di capitali i cambi non poteva essere fissi; se si voleva mantenere la sovranità monetaria e i cambi fissi si doveva rinunciare ad attirare capitali ( era il trilemma della open economy della fine degli anni ’90).
Il trilemma di cui parliamo ha, invece, un respiro molto più vasto e potremmo denominarlo come il “ trilemma della globalizzazione” capace di interessare il dominio di tutto il sistema economico e sociale. Vediamo di cosa si tratta.
Di fronte a noi abbiamo tre dati fondamentali: la globalizzazione, la sovranità statale, il sistema sociale.
L’opzione drammatica è quella di dover scegliere: solo due possono convivere, la terza va abbandonata!
OPZIONE I. Si mantiene il livello attuale di globalizzazione o addirittura lo si incrementa con gli accordi commerciali in progettazione per l’area del Pacifico( TPP) e dell’Europa-USA (TTIP). Nel contempo, non si rinuncia alla sovranità statale, cioè, del potere di legiferare, fare trattati, intervenire nell’economia. E’ questa una opzione che potremmo definire “liberista”e che è stata perseguita sin qui dagli USA e dalla Cina. Conseguentemente, lo stato sociale subisce il costo di un indebolimento causato da un drammatico dumping sociale (i beni sono venduti nei paesi occidentale ad un prezzo inferiore a quello “normale” perché prodotti a costi del lavoro bassi, spiazzando le imprese del paese importatore e creando disoccupazione).
OPZIONEII. Si mantiene l’attuale livello di globalizzazione o addirittura lo si incrementa ma nel contempo si decide di difendere lo stato sociale (o, almeno si tenta di non farlo regredire a livelli minimali). Ciò a cui si rinuncia ( parzialmente) è la sovranità. Dosi di sovranità vengono cedute ad un organo supernazionale in modo da affrontare il mercato globalizzato su posizioni di forza perché basate su regole comuni e non su quelle “nazionali”differenti l’una dall’altra e che, per la loro diversità, intralcerebbero pericolosamente l’azione sui mercati globalizzati. E’ il modello che tenta la Comunità Europea, fra tante difficoltà. Solo un organismo internazionale dotato di ampia sovranità delegata potrebbe coniugare la globalizzazione con il mantenimento di un decoroso impianto sociale. Ma questa possibilità è pura utopia: i paesi emergenti sono tali per la loro alta produttività ma soprattutto per il basso “costo del lavoro per unità di prodotto” (rapporto fra costo del lavoro e produttività). Un innalzamento del salario aumenterebbe il costo del lavoro per unità di prodotto incidendo pesantemente sulla competitività. Tuttavia, è questa la vera opzione o, almeno, è questa la grande speranza in un mondo globalizzato e sempre più neoliberista.
OPZIONE III. Si riduce pesantemente la globalizzazioni ritornando al protezionismo. Ogni Stato tenta di salvare la sue sovranità e il suo stato sociale. Di fronte ai paesi emergenti si oppone una serie di dazi protettivi. Si rinuncia al libero scambio tradendo uno dei grandi principi dell’economia classica: la teoria dei “vantaggi comparati”che recita come ogni paese si debba specializzare in quelle produzioni dove è più efficiente, dove, cioè, la sua competenza distintiva può, se ben manovrata, convertirsi in un vantaggio competitivo (si pensi al patrimonio culturale italiano, ai suoi prodotti di nicchia, alla capacità di invettiva, al design, alla tradizioni qualitativa).
E’ questo che Trump ha promesso in campagna elettorale. Ma non potrà essere questo che farà da Presidente perché le multinazionali sono, ovviamente, schierate da sempre sul fronte della piena globalizzazione e della delocalizzazione. Dunque, è questa una opzione da usare solo come minaccia a cui nessuno dei potenti crede, mentre si lascia liberi di credere a ciò tutto il resto della massa popolare!
Riassumendo possiamo dire quanto segue. L’opzione I (Globalizzazione+Sovranità) è la via della realpolitik, temperata da una speranza di riuscire, almeno in Europa, a difendere qualche porzione della opzione II (Globalizzazione+ Stato Sociale). Infine, un ottimo argomento per intrattenere ascoltatori nei comizi elettorali di tutto il mondo può essere egregiamente fornita dalla opzione III.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Alla fine della lettura verrebbe da dire “amen” oppure “speriamo che me la cavo”. Ad essere sincero considerare come ottica dell’analisi il “trilemma” mi pare un attimino insufficiente. Al trilemma aggiungere un quarto elemento. Più che elemento sarebbe più corretto indicarlo come vero e proprio attore, ovvero sia colui che è in grado di agire nel contesto. Mi riferisco alla “politica” in senso lato, ovvero a quella cosa che è capace di governare le cose del mondo. E’ ben evidente che le cose vanno a seconda di come sono governate, di solito le scelte non sono mai del tutto nette, nel caso si scegliesse di perseguire il liberismo, non si fa certo a meno di intervenire anche negli altri aspetti, non foss’altro che per mantenere un “minimo equilibrio” che permeta al sistema di rimanere in piedi. La stessa globalizzazione non è qualcosa che si autoregola ma è comunque governata. Tempo fa, ad esempio, interessandomi del WTO mi sono imbattuto in un documento che definiva alcune “tariffe” da applicare nelle transazioni internazionali. Una sorta di dazio applicato dall’organizzazione mondiale del commercio. Una tariffa, ad esempio, viene applicata per i produttori di cacao alla esportazione di prodotti lavorati dal cacao. In altre parole, l’applicazione di questa “tariffa” impedisce ai produttori di cacao la lavorazione in proprio, con buona pace della globalizzazione. Sono recenti ad esempio gli accordi per le arance tunisini che mettono in crisi, se ce ne fosse bisogno, i produttori di agrumi siciliani. Tutto ciò per dire che considerare la “globalizzazione” una scelta in qualche modo inevitabile ed ingovernabile, mi pare sbagliato. Nel trilemma manca il quarto attore che è capace di regolare e governare. Limitare le capacità della politica alla mera scelta, mi pare piuttosto riduttivo, riduttivo perchè la politica è capace ad esempio di porre condizioni al “libero mercato”. Ad esempio: “tolgo i dazi se dall’altra parte sono vigenti le stesse regole sul lavoro”.
Ma il vero problema è che non è la politica in senso stretto a governare le cose del mondo, pare invece che queste vengano governate da organismi che rispondono ad esigenze diverse. Se non erro fu già Cavour a privatizzare quella che ora si chiama “Banca d’Italia”, e non è forse vero che negli USA sono proprio le grandi lobbies a finanziare pubblicamente le campagne elettorali? Non è forse vero che basta una dichiarazione di una società di rating per condizionare interi paesi? E che dire della influenza delle multinazionali sui governi del mondo?
La mission della politica non è “scegliere” due elementi su tre del trilemma, la mission è quella di governare le cose del mondo, al momento pare che la politica abbia invece delegato ad altri questo compito, limitandosi a dire, a propria discolpa, che nulla può fare, che tutto è piuttosto inevitabile in questo mondo moderno. Ecco, questo è il vero nodo da sciogliere. Il trilemma pare usato a mo’ di scusa a giustificare la incapacità della politica, che, secondo me, ha invece delegato ad altri il compito di governare le cose del mondo.
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