ALLOCRAZIA ovvero la dittatura degli altri
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Leggendo una Amaca di Michele Serra su La Repubblica di qualche giorno fa, non ho potuto far a meno di andarmi a ricercare una bella inchiesta sui jumper estremi, scritta da Giampaolo Visetti e pubblicata sullo stesso giornale di Serra. Racconta le esperienze di persone che si lanciano da montagne , grattacieli e ponti, protetti esclusivamente da una tuta alare, una specie di muta da sub con una sorta di ali. Solo quest’anno ne sono morti 37. Ma, nell’articolo, la cosa che mi ha davvero colpito è stata l’affermazione fatta dal jumper italiano Di Palma: «Se non ci fossero i social, il 90 per cento di noi farebbe altro». E cioè, come commenta Serra: ci si lancia solo a patto che questa esperienza estrema (e solitaria) possa avere un pubblico. Solo se la webcam è accesa. Tralasciando il – a quanto pare – notevole successo su YouTube dei video che mostrano le morti degli spericolati saltatori, quello su cui mi preme riflettere è proprio la motivazione per la quale costoro mettono a rischio, e spesso perdono, la vita. Cioè il consenso, le visualizzazioni, i click, i likes sui social network. Quella che, spesso, viene definita visibilità e che , allargandone il nesso, il “mio guru” Michele Serra definisce, per l’appunto, Allocrazia, cioè la dittatura degli altri. Ciò che sta accadendo, o forse ciò che è già accaduto, è che molte persone scelgono di fare ( o non fare ) qualcosa nella loro vita non per loro scelta, o perché gli è imposto da condizionamenti famigliari o lavorativi. Bensì lo fanno ( o non lo fanno ) per ricercare la benevolenza, l’accettazione, il consenso di una comunità dai contorni assai fumosi. Possono essere gli amici di Facebook , o i followers di Twitter o di Instagram. Insomma costoro sottostanno alla imprevedibile e bizzosa volontà di non troppo identificati altri, dei quali è indispensabile ottenere l’approvazione.
Forse perché sono figlio di una generazione che , qualche volta in modo ipocrita, asseriva di volersi liberare dai condizionamenti della società borghese , ma davvero mi risulta assai difficile, accettare supinamente un mondo in cui la mia felicità debba dipendere dall’approvazione di gente che non conosco ( e che non conosce me). Siamo davvero assai lontani dai tempi di David Cooper e delle sue riflessioni sulla liberazione individuale ( Quel che possiamo fare di meglio per la liberazione degli altri è quello che faremo in più per liberare noi stessi ) e sul perpetrarsi della struttura alienante della famiglia in tutte le altre compagini sociali: ufficio, scuola, università, chiesa, partito, esercito, ospedale. A loro volta, queste strutture sociali proseguono l’opera intrapresa della famiglia, che mira a produrre la “normalità” e le basi del conformismo. Parlo, come molti lettori avranno già capito, del saggio dello psichiatra sud-africano David Cooper La morte della famiglia , divenuto un autentico classico per le generazioni post-sessantottine. Pensate quanto può essere cambiato il mondo se l’imposizione del conformismo non è più originata da strutture sociali solide , come la famiglia, la chiesa, la scuola, bensì dal flusso mutevole e liquido dei likes sui social network. E’ davvero sorprendente assistere allo sgretolamento progressivo di tutte quelle storiche e un tempo solidissime strutture sociali, additate da Cooper come nemici dell’autoaffermazione, e dal sorgere impetuoso di una forma di condizionamento altrettanto potente, ma probabilmente più difficile da battere , a causa della sua imprevedibilità, che è rappresentata dalla necessità della propria rappresentazione.Se nessuno sa cosa facciamo non ha alcun senso che lo facciamo. E più: se quello che facciamo non è conosciuto da molti il nostro valore è considerabile molto scarso. Ed ancora: se quello che facciamo non è conosciuto da molti e non è apprezzato, accettato ( ovvero non piace ) noi falliamo. Non è più la famiglia, la scuola , il lavoro, il metro del nostro successo. O meglio: non solo. Perché questo tipo di condizionamenti sono ben lontani dall’essere stati sconfitti. Ad essi, piuttosto, si è un unito un altro grande condizionamento: la necessità di essere visti, visti da molti ed approvati. Chi siano costoro che ci devono conoscere ed approvare non lo sappiamo. Ma non importa. Sono gli altri. Ed abbiamo bisogno del loro consenso.
Questo scenario, in cui permangono i condizionamenti di strutture sociali tradizionali, ormai deboli ma ancora presenti, e si affacciano prepotentemente i condizionamenti degli inafferrabili umori del web, racconta una società che, oggi più che mai, ha bisogno di rispolverare, attualizzandole, certe riflessioni sulla libertà degli anni ’70. Diventa necessario provare a mettere insieme un pacchetto di antidoti alle vecchie e nuove paure, a costruire un percorso ontologico di valori per il terzo millennio, per far si che le grandi opportunità della Rete e della Modernità diano vita ad un nuovo Umanesimo e non a nuove schiavitù.
ROBERTO FIORENTINI
La lettura mi suggerisce che anche il “branco” si è trasferito nel web, o meglio è nato credo un nuovo tipo di branco, anzi due. C’è il branco che riconosce una sorta di capo ed il branco senza capo, quello che si crea e si dissolve in continuazione ad ogni lancio di notizia, basta l’articolo, e il branco si scatena, dura il tempo di uno o due giorni, il web è liquido, un liquido infiammabile che accende incendi che si spengono spesso con la velocità con la quale si accendono. Più duraturo è invece il branco che si riconosce in un “capo”. Gli adepti abbaiano e ringhiano come lupi ogni volta che viene dato il via. Va beh, come al solito Roberto è capace di stimolare le mie riflessioni e divagazioni. Mi consola il fatto che a differenza delle vere dittature nessuno mi farà bere dell’olio di ricino o mi obbligherà a fare una qualsivoglia tessera i sudditi di questa nuova inafferrabile dittatura non sono “coscritti” bensì incoscienti volontari. Insomma un tema ben corposo, da approfondire. Ma, per restare nel tema specifico, mi verrebbe da pensare che ci sono persone che sono in realtà libere ed altre che liberatesi ad esempio dell’obbligo di dover piacere alla “famiglia” si sono fatte vittima di un altro obbligo quello di piacere alla gente del web. Credo che sia qualcosa che attiene alla capacità singola di essere realmente libero. La famiglia te la trovi e non puoi farne a meno, il leader del web, che sia un singolo o una idea, te la vai a cercare. Buona giornata.
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Aggiungo una domanda: “Questa società è capace di produrre uomini liberi?”
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Bella domanda. No non credo, siamo noi che la formiamo, siamo noi a “produrre” una societa’ libera.
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Riflessioni importanti. Io credo tutto ciò si colleghi bene al voyeurismo sempre più dilagante: ormai non è più pensabile vivere una vita senza gli occhi di qualcun altro addosso, senza la ricerca del plauso generale. Con l’avvento dei social network, si è affermata la società delle apparenze – o meglio, quella c’è sempre stata; quello che è diverso e quasi parodistico, secondo me, è il mezzo attraverso cui si manifesta il proprio dissenso. Lo si fa urlandolo sui Social e raccogliendo seguaci allo stesso modo, in una nuova declinazione di questa allarmante società dell’apparenza.
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Condivido e nel momento che qualche mese fa ne presi coscienza ho notevolmente rarefatto le mie esternazioni su facebook che mi possano personalmente riguardare
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Bravissimo, ottimo articolo.
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Condivido in toto le riflessioni di Roberto e di altri amici. Forse varrà la pena di interrogarsi anche su un fenomeno di voyeurismo sociale come i reality televisivi, esemplari per completare la prospettiva d’insieme. Foucault aveva analizzato la nascita della prigione: la pena rapportata alla privazione del tempo e al confinamento nello spazio, dove i pochi (i carcerieri) osservano i molti (i detenuti). Nella filosofia del reality i tanti (i telespettatori) si nutrono dell’intimità dei pochi (i concorrenti). Altro che società liquida: è l’universo delle catene telematiche costruite nella sfera dell’alienazione che si fa spettacolo. Sugli sport estremi ci sarebbe anche da aggiungere qualcosa, ma ill blog non scappa…
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