Elogio dell’analogico
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Sono un grande appassionato di musica. Sul mio notebook da un terabyte di memoria, ho 65 giga di file musicali , cioè molte migliaia di canzoni. Ho, credo, oltre 3000 cd. Insomma, ci siamo capiti. Questa estate, però, ho fatto una cosa che volevo fare da tempo. Ho ( finalmente ) comprato un giradischi. Pertanto ho recuperato i miei vecchi vinili ed ho ricominciato ad ascoltare la musica su supporto analogico. Ed ho capito una cosa. Ho fatto davvero male a stare senza giradischi per tutti questi anni. Non lo so se si tratta di una impressione, ma la qualità dell’ascolto è davvero non paragonabile. Inoltre, la differenza del supporto ( il disco è un oggetto molto più bello del cd ) , la gestualità di avviare il braccetto , la necessità di alzarsi spesso per girare la facciata, fanno dell’ascolto musicale su vinile una esperienza molto più appagante. Hai la percezione di aver fatto una scelta, mettendo sul piatto proprio quel disco. E quindi la tua attenzione è maggiore. Ti siedi sul divano, abbassi la luce e ascolti. Prima, mentre ascoltavi dal pc, magari su sistemi di diffusione gratuita come Spotify, eri distratto e la musica finiva per essere una specie di colonna sonora, appena accennata, che rimaneva sullo sfondo, buona solo per rompere il silenzio di una casa vuota. Ora no. Scegli un disco, lo spolveri per bene, ed avvii il piatto. E il suono riempie lo spazio. Hai scelto di ascoltare. E lo fai, ritrovando un piacere che pensavi perduto nei giorni della tua giovinezza.
Ma la ritrovata esperienza analogica mi ha portato a riconsiderare alcune cose che, nella vita di tutti i giorni, ormai diamo , più o meno tutti, per scontate. Tutti noi, da dieci anni o poco meno, viviamo agganciati ad una rete virtuale, che ci rende continuamente connessi ad una moltitudine di persone, sia lontane che vicinissime.
Un giro sulla metro romana. Un viaggio su un treno dei pendolari. Tanti , se non tutti, chini sul loro smartphone. Stiamo mettendo un bel like sul post di un amico su facebook. O rispondendo ad una chat su WA della squadra di calcetto. Qualche giorno fa, lo giuro, il mio vicino di posto, sul treno Roma-Civitavecchia, ha passato tutto il viaggio a cercare un comò su un sito di commercio elettronico, interrompendosi solamente per rispondere agli squilli noiosi di una chat. Un gruppo di amici, due coppie , probabilmente, comunque due ragazzi e due ragazze. Tutti digitano compulsivamente sui telefonini. Una delle ragazze mostra all’altra qualcosa sul suo schermo e le dice: leggi che gli ho risposto. Sono seduti davanti a me, mentre prendo il caffè. Per dieci minuti circa è la prima volta che uno di loro parla. Per tacere di chi consulta i social o chatta al cinema. Siamo certi che questa rete digitale di comunicazione che ci avvolge ci rende più liberi ?
Abbiamo oltre mille “ amici “ su facebook, centinaia di followers su Twitter, pubblichiamo foto su Instagram, partecipiamo a decine di chat su WhatsApp. Riceviamo decine di mail al giorno, sms e messaggi su Messenger. Tutti strumenti che servono a rimanere in contatto con gli altri. Ma che tipo di rapporto abbiamo costruito , usando i social e gli altri strumenti, con questi “ altri “ ? Non sarà che anche questa migliaia di amici, followers o come diavolo si chiamano, sono , anch’essi, qualcosa che rimane sullo sfondo, una specie di radio accesa sulle onde medie, una vecchia televisione in bianco e nero che trasmette solo rai uno, un mezzo per non sentirsi troppo soli, sono un espediente buono solamente per rompere il silenzio che ci avvolge ?
E quindi , appena avrò finito di scrivere questo pezzo, che finirà su un blog e che molti leggeranno perché lo troveranno condiviso sul mio profilo facebook, mi alzerò dal notebook, lo chiuderò e metterò sul piatto il mio bellissimo nuovo vinile da 180 gr. di Nick Drake, di un disco del 1973 ( acquistato qualche giorno fa on line su Amazon).
ROBERTO FIORENTINI
Io invece ho fatto bene a non liberarmi del mio bel mucchio di vinili, all’ultimo mio compleanno mio figlio mi ha regalato il giradischi. Fino a quel giorno avevo dello “spazio inutilmente occupato”. Come d’incanto è divenuto uno spazio occupato da un tesoro. Fra questi un disco russo comprato al mercatino di porta portese, quando c’erano i russi che vendevano dischi, sigari, lini ecc.. era un poco ondulato e, ricordo, dovevo regolare il peso del braccetto per poterlo sentire, ma la musicalità della lingua russa era qualcosa di incredibile, e chi se ne frega della perfezione. Riappropriarsi dei tempi giusti per compiere dei gesti e ritrovarne il gusto. Ultimamente ho preso a farmi la barba con il rasoio a mano, mi sono riappropriato del tempo che occorre a insaponarsi il viso, mi sono riappropriato del tempo per radermi raccogliendo la sfida del rasoio che vorrebbe fare della mia faccia una cartina geografica. Ho tolto il tempo alla fretta. Ora comprendo la lama che incontra il pelo e lo taglia perchè è ben affilata ed il gesto è fermo e sicuro. Con il giradischi la musica si sceglie, ci devi pensare, scorri le copertine in cerca di quella che ti stimola. Nella vita digitale si schiaccia un bottone, si fa un click ed in genere si ascolta senza scegliere, come dice Roberto ascoltare musica è come accendere un “sottofondo”. Anche la comunicazione sui social sta diventando un sottofondo, arriva rapida e rapida se ne va persa fra mille post senza concederti il tempo di riflettere di comprendere, e i tuoi commenti sono buttati li al volo prima che il treno passi, bisogna essere rapidi. Non mi piace più preferisco impiegare mezz’ora del mio tempo per leggere l’articolo di Roberto e commentare con tutto l tempo che ci vuole. Per gli altri articoli, troverò il tempo giusto di leggerli come si deve. Qualcuno mi ha suggerito di alzarmi prima, non è detto che non lo faccia.
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Vedi che non mi dai retta? Affidandoti al rasoio elettrico (non credo ne esista già uno elettronico, ci arriveremo) e radendoti con le cuffie in modo da smaltire subito un po’ di tempo dedicato a frivoli piaceri acustici, libereresti un sacco di tempo da dedicare alla lettura mattutina del blog. Come diceva Hegel, spazio libero è l’orazione quotidiana dell’uomo moderno…
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No no, lungi da me il rasoio elettrico….. mi irrita 🙂 e poi non posso rinunciare al piacere del crepitio dei peli sotto l’urto della lama.. 🙂
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Roberto: sollevi in maniera brillante e discorsiva una questione di rilevanza epocale. L’immagine che ne ricavo è quella, terrificante come nella profezia del Grande Fratello orwelliano, di un’umanità autoreferenziale, di un’afasia sociale di massa, di una politica che prima ci ha trasformato in audience e poi in followers, cancellandoci come popolo e come cittadini. Confidiamo nel vinile, nel rasoio di Luciano, in tutto quello che può restituirci la dimensione umana della comunicazione sociale nel tempo della dittatura digitale.
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Per quelle remote conoscenze di musica ( ho dtudiato chitarra classica ) l’ascolto della musica in vinile è più bella rispetto al digitale perchè non vengono tagliati gli armonici che conferiscono ai pezzi maggiore corpo.Quanto al fatto che passiamo e perdiamo molte ore della notta giornata chini su computer i pad e smartphone sono convinta che con il tempo ci stuferemo e scopriremo un nuovo modo di chattare che si chiama:?vieni a prendere un caffè da me?
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Come credo sia ovvio ( anche dal mio pezzo ) la tecnologia è sicuramente un grandissimo aiuto per molti aspetti della nostra vita. Il commercio elettronico, ad esempio, ci permette di avere qualsiasi bene noi vogliamo, anche se prodotto all’estero ed introvabile in Italia. L’uso compulsivo e – spesso – l’abuso di questi strumenti , specie per la comunicazione , è frutto di una cattiva educazione all’uso stesso del mezzo ed anche di una cattiva educazione tout court, come nell’esempio di chi chatta al cinema. Probabilmente è necessaria una etichetta, una regolamentazione , un galateo, un limite legato al buon gusto ed al senso della misura. Ma questo sarà oggetto del mio prossimo pezzo. 😉
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Si il problema non è il mezzo ma l’educazione all’uso dello stesso. O meglio, il cattivo uso che se ne fa. O meglio ancora l’uso speculativo più o meno cosciente, più o meno voluto e/o cercato. Comunque oggi ho aperto il contenitore dei vinili, mi andava della buona musica che mi accompagnasse durante la preparazione del pranzo, ho cercato un po’ e scorrendo i dischi mi è passato davanti Apollon Musagete e l’Oisaux de fois (perdonate gli errori, il francese lo mastico poco) due balletti che vidi decenni fa all’Opera di Roma e non ho potuto fare a meno di ricordare la differenza che c’è fra sentire la musica dal vivo e dal vinile, figuriamoci in digitale pensando ad altro. Va beh, oggi è toccato a Wagner con le sue ouvertures. Credo che se ne sia accorto tutto il condominio.. 🙂
Ripensando alla musica sentita dal vivo mi viene da dire che dovremmo imparare ad ottimizzare il tempo, ma non rispetto alla quantità di cose che potremmo riuscire a fare ma nella qualità. Cercare di fare le cose nel modo migliore utilizzando il giusto tempo, ovvero non sprecarlo utilizzandolo male, è una questione di negentropia, ci farò un articolo.
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