“AGORA’ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – CALCIO E TENNIS: LE CONTRADDIZIONI DELL’ITALIA

di STEFANO CERVARELLI ♦

Domenica 16 novembre 2025 sette milioni di spettatori sono stati quasi cinque ore davanti alla TV per assistere a due avvenimenti sportivi dall’importanza molto  diversa: nel primo c’era in palio il titolo, seppure virtuale, morale, dite come volete, di numero uno al mondo del Tennis.

Avvenimento quindi che rivestiva un’importanza oggettiva senz’altro superiore al secondo avvenimento: una partita di calcio, dove si affrontavano due nazionali “immerse” in realtà completamente differenti: una appagata dalla raggiunta qualificazione alla fase finale del mondiale, mentre all’altra si chiedeva una prova d’orgoglio che, libera da impellenti necessità di successo, desse l’esatta misura del suo valore, soprattutto in prospettiva della “roulette russa” alla quale dovrà sottoporsi in primavera nel tentativo di raggiungere la qualificazione ai mondiali dopo averla già fallita nelle due ultime edizioni.

Sette milioni di spettatori dicevo, ai quali, per la verità, all’incontro Italia Norvegia mancavano gli spettatori di Sky sui quali, invece, potevano contare i due fuoriclasse della racchetta.

La contemporaneità degli avvenimenti ed il loro possibile, seppur breve, accavallamento, riproponeva un tema oggi abbastanza d’attualità: il tennis sta diventando più popolare del calcio? 

La diversa presenza televisiva registrata dall’indice di ascolto, avrebbe dato una mano in tal senso; si può dire che tutto sommato il confronto è finito con una leggera vittoria per il calcio.

Certo i motivi potrebbero essere diversi.

Di fatto, seppure il nostro sport nazionale (o perlomeno ancora tale) naviga in acque molto agitate, nella speranza di raggiungere un porto tranquillo (leggi mondiali) che gli permetterebbe di correre ai ripari senza scavare troppo tra le macerie di un sistema definitivamente crollato, gli italiani continuano a fare del calcio lo sport preferito, se non altro per una questione sociale e culturale.

Ma già che ci si ponga l’interrogativo su quale sport tra tennis e football sia più popolare porta inevitabilmente a chiederci: che sta succedendo?

Esiste la reale possibilità che in Italia il tennis diventi più popolare del calcio?

Flaiano avrebbe risposto che gli italiani corrono sempre in soccorso dei vincitori, ma lo stare testa a testa nelle visioni televisive può raccontare anche altro: lo scontro tra un’Italia vecchia e un’Italia nuova.

Già nel 2021 tennis e football si erano “incontrati” sui canali televisivi: Berrettini giocava la finale di Wimbledon e la nazionale, quella sera, giocava la finale degli Europei. 

In quell’occasione Berrettini perse e l’Italia vinse. La nave del nostro Paese, rischiò di affondare, perché tutti corsero alla fiancata dalla quale si poteva assistere e partecipare alla vittoria degli uomini di Mancini.

Questa volta Sinner ha vinto mentre l’Italia oltre che perdere, ha deluso. Stiamo correndo verso un’altra sponda della nave? Se dovessimo continuare così ci vorrebbe un buon capitano per tenerla a galla.

Ma vediamo un po’ più da vicino alcuni dei motivi per cui il tennis, attraverso il suo positivo evolversi, ha raggiunto successi e popolarità, mentre il nostro calcio, dopo aver conseguito il titolo di campione d’Europa, non è riuscito a mantenere quelle che allora sembravano ottime promesse. 

Iniziamo da Sinner: l’altoatesino dopo la sconfitta subita da Alcaraz a New York ha messo a fuoco i sui – pochi – difetti iniziando a lavorare su questi per recuperare terreno sullo spagnolo.

Quando l’Italia perdeva o vinceva partite facili senza entusiasmare non si faceva altro che dire: va bene così, andiamo avanti così, d’accordo, ci sono dei problemi ma non sono rilevanti, non c’è assolutamente nulla da progettare, da modificare.

Quando Berrettini giocò la finale a Londra non era, quella, certo una casualità, bensì  la punta dell’iceberg di un movimento che, da lì a poco, avrebbe dato all’Italia numerosi giocatori primi 50 della classifica ATP, oltre naturalmente a Sinner.

Un risultato conseguito grazie ad un cammino ben organizzato, scientifico, e ad una crescita collettiva.

E qui dobbiamo parlare di diversa cultura, direi di cultura costruttiva.

Qualcuno dice che Sinner consegue vittorie su vittorie perché sfugge al classico modello di “italiano” nel senso che possiede una cultura costruttiva che non lascia niente all’improvvisazione. 

Di contro la vittoria dell’Italia a Londra, con la quale conquistò il titolo europeo, fu invece il frutto di una meravigliosa simbiosi, una stupefacente casualità dove tutto si combinò alla perfezione: gruppo, allenatore, atmosfera, che però ci illuse mettendo nell’ombra problemi che poi  tornarono prepotentemente alla luce.

Nel calcio è successo spesso, dandoci l’esatta fotografia del nostro paese: non riusciamo a progettare, ad organizzare, nello stesso tempo basta una vittoria per fare “guizzi”  di entusiasmo meravigliosi, facendoci intravedere capacità che non ci appartengono.

Il calcio su questa sensazione comunque ha costruito una sua epica: quando siamo in difficoltà, in crisi, riusciamo a dare il meglio.

Al contrario il tennis o, per fare un esempio, le squadre di pallavolo di Velasco. Hanno costruito, nel tempo, un terreno solido, pronto non per vincere una volta, ma molte volte.

Adesso seguiamo il tennis perché abbiamo il numero uno al mondo; in passato abbiamo trascorso notti davanti al televisore a guardare le barche a vela, senza conoscere niente di venti, perché sempre pronti a portare soccorso ai vincitori.

Se dovessimo conquistare l’accesso ai mondiali, ossia l’obiettivo minimo, per di più attraverso le forche caudine degli spareggi, che succederebbe? Scenderemmo in strada a festeggiare?

Non dimentichiamo che il tennis si è dovuto costruire una sua architettura per arrivare dove è arrivato; nel calcio l’esigenza di costruire questa architettura non c’è stata e non c’è, tanto siamo forti lo stesso, perché noi siamo ottimi improvvisatori, ma anche, dico io, grandi presuntuosi.

Perdere non significa nulla, non mette in discussione nulla, tanto vinciamo la prossima volta. 

Bene, anzi male, perché aggrappati a questa filosofia, corriamo il rischio di non partecipare ai mondiali per la terza volta di seguito. E anche perché, diciamolo, in un momento di magica combinazione astrale, abbiamo vinto gli Europei, e quindi cosa temere…?

Allora, per andare verso la conclusione, considerato quanto detto, bisogna convincerci che l’Italia, almeno quella vista fino adesso, assomiglia più alla nazionale di calcio che al tennis.

Ci siamo abituati oramai a considerare la mancanza di progettazione “non un impedimento” al raggiungimento del successo.

Non serve organizzare la crescita dei calciatori, creare un sistema virtuoso; no, a noi basta la speranza che accada qualcosa, che l’improvvisazione sconfigga il suo “nemico”: l’organizzazione. Non dimentichiamo che in condizioni tecniche e psicologiche difficili abbiamo vinto Europei e Mondiali.

Di conseguenza crediamo nel miracolo.

Quindi non bisogna fare niente, programmare, ristrutturare, organizzare, progettare: niente di tutto questo serve; soltanto sperare, ripeto, sperare di qualificarsi per i Mondiali e poi, ancora una volta tutti i problemi che attanagliano il nostro calcio saranno dimenticati alle prime note dell’inno di Mameli.

Il calcio in definitiva racconta la nostra storia, che ci può essere un’Italia come sempre è stata.

Il tennis al contrario, sta raccontando che ci può essere un’Italia nuova.

Adesso le abbiamo davanti, sulla TV, alla pari queste due Italie: vecchia quella del calcio, nuova quella del tennis.

Un proverbio dice che chi lascia la strada vecchia per quella nuova male si ritrova. Varrà anche in questo caso?

STEFANO CERVARELLI