“AGORA’ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI –SPORT E RAZZISMO: SOLO SULLE TRIBUNE? (prima parte)
di STEFANO CERVARELLI ♦
Quando si parla del problema del razzismo nel calcio ritengo che sia utile allargare il discorso al tema generale riguardante il razzismo nello sport, perché temo che ci sia tanta gente che stenta a capire di cosa effettivamente si tratti e tra queste persone non mancano quelle che fanno finta di non capire.
Era stata tirata una riga (che sembrava netta) tra istituzioni sportive e, verrebbe voglia di dire, la parte sana dell’ambiente, partendo dalla constatazione, ineluttabile, che un tipo di discriminazioni, di offese, non sono più accettabili ma oggi, sinceramente, stento a riconoscere la parte sana, firmataria dell’accordo.
E’ giunto veramente il momento di far capire che gli insulti (non certo di stampo goliardico) basati sul colore della pelle, sul paese d’origine e la conseguente provenienza geografica, sulle preferenze sessuali (sempre esistite nel mondo dello sport, come in qualunque altro settore della società) e per finire sulle differenti scelte religiose, oltre che essere puniti, “non sono uguali agli altri” dovrebbero essere banditi alla pari, permettetemi il triste paragone, delle armi nucleari, perché nel mondo dove cadono hanno lo stesso effetto deflagrante.
Perché non sono uguali agli altri? Rispondo uniformandomi a un pensiero comune alquanto retorico sullo sport. Un pensiero secondo il quale questi insulti piovono nelle arene sportive dove gli spettatori dovrebbero riconoscere negli atleti che si cimentano nelle varie manifestazioni agonistiche, figure che simboleggiano i valori autentici della società, che trovano nello sport momenti di fratellanza capaci di superare le divisioni, di vario tipo, esistenti tra i paesi che rappresentano.
“Non sono uguali agli altri” anche per un altro motivo, magari meno nobile, ma largamente usato nella “guerriglia” sportiva. Sui campi di gara si combattono spesso guerre psicologiche che non hanno bisogno di essere alimentate da ulteriori incitazioni alla sopraffazione dell’avversario.
Chiunque abbia una minima conoscenza del mondo dello sport di vertice – e in diversi casi anche di quello minore – sa quanto venga praticato con risultati devastanti il TRASH-TALKING, ovvero il condizionamento dell’avversario attraverso l’aggressione verbale che non ha certo bisogno di essere rinfocolata dalle cattiverie provenienti dagli spalti.
Gli insulti tendenti a demoralizzare o ad irritare l’avversario sono già abbastanza sufficienti. Il pubblico ha, o perlomeno dovrebbe avere, un altro ruolo; dovrebbe ricordarsi che si trova al cospetto di manifestazioni sportive dove la vittoria in palio può avere una certa importanza (incidere anche sulla carriera) e non certo sulle gradinate di un Colosseo qualsiasi, dove la sconfitta dell’avversario assume quasi sapori da rito tribale, dove la vita, non solo sportiva, dello sconfitto importa poco.
Ma quanto descritto non è certo lo specchio integrale del mondo sportivo: lo sport appartiene ancora, per fortuna, alla parte sana delle persone, che nelle “guerre” sportive cerca storie bellissime, in grado di emozionare e capaci di risollevare l’animo dalle vicende quotidiane, specialmente in un momento tenebroso come l’attuale.
Storie bellissime dicevo, in continuazione con quelle che hanno contribuito a fare la storia del nostro paese.
Questa l’idea di sport che dovrebbe prevalere ed invece…
Invece… purtroppo nella colonna sonora che accompagna gli eventi sportivi ci sono rumori esecrabili che se avessero un profumo sarebbero certamente maleodoranti e che invitano, caricano gli atleti, anche quelli che ci capita di ammirare, a praticare il Trash-talking contro l’avversario: vale a dire colpirlo nei suoi punti deboli, innervosirlo, fino al punto di fargli perdere il controllo di se stesso, spingerlo così a reagire e di conseguenza farsi espellere.
Il repertorio delle provocazioni è alquanto ricco e la hit parade vede al primo posto offese contro madri, sorelle, mogli.
A questo riguardo c’è un episodio di Trash-Talkig entrato nella storia del calcio.
Lo ricordate? Tra chi leggerà queste modeste note di un parolaio sportivo, ci sarà sicuramente chi lo ricorderà, per gli altri lo dico io: quello tra Materazzi e Zidane.
Andò così. Il francese, stanco di essere trattenuto per la maglia si rivolge all’azzurro dicendogli che se proprio la vuole a fine partita gliela darà. Materazzi, molto gentilmente risponde che sarebbe più contento se a dargliela fosse la sorella.
Zidane a questo punto ammolla una testata sul volto dell’italiano e viene espulso: noi vinciamo il titolo mondiale.
Con Zidane in campo non sarebbe mai successo.
Di premeditato ovviamente non c’era nulla, in quel momento Zidane, stava disputando una delle sue migliori partite e sicuramente con lui in campo il titolo mondiale avrebbe preso un’altra strada. Ma erano state proprio le sue parole, inconsapevolmente, ad accendere la miccia; Materazzi, astutamente, capì che il francese era arrivato al punto di rottura, bastavano poche parole: l’azzurro le trovò.
Zidane non resse: l’onore della sorella valeva più di un titolo mondiale!
Altri episodi vedono campioni, osannati e celebrati fuori dai campi di gioco, irridere gli avversari fino alle offese più pesanti, ma di questi ne parlerò la prossima volta.
STEFANO CERVARELLI
