Il pesciolino d’oro.
di CLAUDIA SFILLI ♦
“Ci vediamo Al Cappello, davanti all’ex Mercato Del Pesce così, bevendo un taglio, chiariamo tutto”.
Chiariamo tutto, aveva detto. Troppo facile…
Le osterie di Udine sembrano fatte apposta per quelli come Mattia e me che non riescono a far passare un giorno senza scontrarsi: sono un centro recupero rapporti difficili.
Mi siedo all’aperto, dove i tavolini sono circondati da piante che abbelliscono lo spazio riservato all’osteria. Mattia arriverà in ritardo, lo so, tutto trafelato, dicendo “scusa, scusa…”, incapace di smettere di correre anche dopo essere arrivato.
Devo distrarmi.
Davanti a me c’è una costruzione Liberty giallo ocra con una grande scritta: MERCATO DEL PESCE. Un paradosso.
“Bella la ex pescheria di Udine, vero?”
A parlare è una donna un bel po’ anziana, ma bellissima, con un’infinità di rughe sul viso, i capelli bianchi raccolti morbidamente dietro la nuca e un vestito azzurro di cotone leggero che sfiora appena il suo corpo esile.
“Davvero,” rispondo. “Generalmente le pescherie hanno un altro aspetto”.
La donna, in piedi accanto a me, guarda l’edificio.
“I palazzi qui a Udine sono prevalentemente in stile veneziano, ma questo è diverso. Lo stile è Liberty, con un tocco di Rinascimento Toscano. Osservi l’eleganza del portone d’ingresso e la bella vetrata, lassù; è una pentafora – vede? -, divisa in cinque parti da quattro colonnine”.
Ci guardiamo; sorridiamo.
“Si sieda, prego. Posso offrirle qualcosa?”
Con movimenti delicati la donna si siede sulla sedia accanto a me.
“Non vorrei scandalizzarla, ma berrei del vino”.
“Scandalizzarmi? Dioniso, dio del vino, simboleggia la gioia e l’elevazione spirituale, quindi… due bianchi per noi”.
La donna annuisce soddisfatta.
“Ne ho novanta, sa? Ma non è un problema: io sono eterna. Davvero. Per questo non vedo l’ombra della fine in quello che faccio… È la filosofia del come se.”.
La filosofia del come se: penso a Mattia, a me, ai nostri giorni complicati… Poi la donna inizia a parlare e quel pensiero svanisce.
“L’edificio fu costruito nel Seicento. Era di proprietà della Confraternita del SS. Sacramento e nel 1691 fu acquistato da un uomo molto influente della città, Antonio Someda”.
Arrivano i nostri due calici che facciamo incontrare in un delicato cin cin.
“Mi piace sentire la storia dei luoghi antichi. È come entrare in contatto con la loro anima…”
Un commento forse un po’ troppo poetico, e lei sorride.
“Ne ha passate un po’ quell’edificio. All’inizio del XIX secolo, ospitò una guarnigione napoleonica e poi fu sede della prima loggia della massoneria friulana chiamata Vendetta, importata, si dice, dallo stesso Napoleone”.
La donna sorseggia piano il suo vino e poi riprende.
“Nel 1927, in via Valvason” dice, indicando la strada che fiancheggia l’ex pescheria, “vennero abbattute alcune case per costruire nuovi edifici e trasformare quelli preesistenti. In quell’occasione l’ingegnere comunale Baldini diede all’edificio i caratteri del Rinascimento Toscano e del Liberty. Vera bizzarria, sapendo che sarebbe diventato un Ittiomercato; non le pare?”
“Ben vengano queste bizzarrie! E poi?”
“Il Mercato fu importante centro di commercio fino agli anni ’90. Poi dicono che ci siano state forti lamentele: per l’odore, capisce? Il mercato chiuse e il palazzo fu lasciato per lungo tempo in uno stato di parziale abbandono”.
“E ora?”
“Dal 2009 è diventato Galleria d’Arte intitolata a Tina Modotti, celebre fotografa friulana. Espongono opere fotografiche provenienti dal patrimonio conservato nei musei cittadini e da fuori città. Sono sempre eventi importanti: venga qualche volta”.
“Non sono di Udine, ma lo potrei diventare. Dipende da certe situazioni che devo risolvere”.
“La vita sentimentale, immagino”.
Sorrido e cambio argomento.
“Com’è che sa tante cose su questo posto?”
“Mio marito abitava qua sopra. Sapeva tutto sui palazzi di Udine e quando mi lamentavo dell’odore che arrivava fino in casa, mi raccontava la storia della pescheria. Voleva capissi quanto quel particolare fosse in realtà insignificante”.
Porta delicatamente una mano sul cuore.
“Mio marito e io ci siamo conosciuti davanti a uno dei banchi del pesce, sa? Entrambi avevamo puntato lo stesso dentice e abbiamo finito col mangiarlo insieme, a casa sua”.
“Una bella storia”.
“Lavorava l’oro per un ricco gioielliere, ma lui non era ricco. Me l’ha portato via il gelo di un inverno come non ce ne sono più, in una casa fredda come non ce ne sono più. Prima di salire in cielo mi ha dato questo…”
La donna mi mostra la catenina che porta al collo, a cui è appeso un pesciolino d’oro. “Era la sua passione farli…”
“Come Aureliano Buendia!”
“Già… Cent’anni di solitudine: la mia vita senza di lui”.
Quanta dolcezza in quello sguardo. Quanta tristezza.
Finisce piano il suo calice.
“Grazie della chiacchierata e del vino”.
“Grazie a lei, signora. È stato un vero piacere”.
Le nostre mani si stringono forte.
Arriva Mattia.
“Scusa, scusa,” dice, “ma… un casino!”
Si siede accanto a me.
“Dunque, per ottenere il perdono delle mie malefatte, ti ho portato un regalo”.
Mi porge un sacchettino rosso con un bel fiocchetto che slego, perplessa.
“Sai, ti ho dato appuntamento qui non a caso. In questa bella pescheria si sono conosciuti i miei nonni. Può essere di buon auspicio, no?”
Infilo la mano nel sacchettino e mi trovo fra le dita un piccolo oggetto. È un pesciolino d’oro.
Guardo Mattia. I suoi occhi brillano.
“Ce la faremo a stare bene insieme, vedrai”.
…
“Ce la faremo, sì”.
CLAUDIA SFILLI
