Il summit SCO di Tianjin: tra simbolismo geopolitico e nuove architetture globali
di PAOLO POLETTI ♦
Abstract
Il 25° vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), svoltosi a Tianjin il 31 agosto – 1° settembre 2025, ha offerto un’immagine potente dell’asse tra Cina, Russia e India. Sul piano operativo, le conclusioni restano modeste, ma l’evento si carica di forte valore politico e mediatico. Il summit può essere analizzato da quattro prospettive: il simbolismo geopolitico; la proiezione cinese come voce del Sud globale; gli strumenti istituzionali messi in campo; e le differenti interpretazioni internazionali. Più che un nuovo ordine mondiale, Tianjin ha messo in scena un “disordine gestito”, in cui Cina, Russia e India convergono pragmaticamente senza dar vita a un’alleanza organica.
- Il simbolismo geopolitico
Le immagini arrivate da Tianjin hanno avuto un forte impatto: Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi che si stringono la mano e sorridono insieme. Una foto che i media internazionali hanno subito letto come un messaggio a Washington e a un Occidente diviso.
- il Wall Street Journal ha parlato di un segnale diretto agli Stati Uniti;
- The Guardian ha messo in rilievo la parata militare del 3 settembre come prova muscolare cinese;
- The Week ha evocato un “axis of upheaval”, un asse del disordine.
Il contesto non è neutro: i dazi del 50% imposti da Donald Trump alle esportazioni indiane hanno spinto Nuova Delhi a cercare una sponda pragmatica con Pechino, segnando un disgelo che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile.
Per analisti come Jeremy Chan (Eurasia Group), paradossalmente è proprio la politica tariffaria di Trump ad avere offerto a Xi l’occasione di presentarsi come partner più affidabile, costruendo l’immagine di una Cina garante di stabilità contro un’America percepita come imprevedibile.
La proiezione cinese e il Sud globale
Per Qinduo Xu (Pangoal Institution), il summit ha segnalato il rafforzamento del multilateralismo e di modelli di governance non occidentali. La SCO si propone come voce del Sud globale, unendo Paesi con sistemi politici e interessi diversi attorno a priorità comuni: sviluppo, sicurezza, sovranità.
Nel suo discorso, Xi Jinping ha invitato a respingere la “mentalità da Guerra fredda” e i blocchi contrapposti, annunciando 2 miliardi di yuan in aiuti a fondo perduto e 10 miliardi in prestiti nei prossimi tre anni, oltre a nuove iniziative su energia, digitale, intelligenza artificiale e Belt and Road Initiative[1].
Il Corriere della Sera ha visto nella Global Governance Initiative (GGI)[2] lo strumento per colmare il divario Nord–Sud, mentre il Financial Times l’ha interpretata come un tentativo di mascherare un progetto autoritario sotto il velo di un multilateralismo inclusivo. Analisti del Center for Strategic and International Studies (CSIS)[3] hanno collocato questa mossa in una cornice di competizione sistemica più ampia.
Xi non mira solo a consolidare la SCO e i forum paralleli: uno dei suoi veri obiettivi è acquisire maggiore influenza all’interno dell’ONU, specie nelle agenzie e nell’Assemblea generale, dove il voto del Sud globale può pesare molto.
Un primo test di questa strategia è proprio l’annuale assemblea generale che si tiene al Palazzo di Vetro dal 9 al 29 settembre. Assemblea di grande valore simbolico perché celebra l’80° anniversario delle Nazioni Unite. Ma soprattutto perché tratterà la questione Israele – Palestina. È un’occasione, per la Cina, di mettere in minoranza Washington e quei Paesi che intendono stare dalla parte d’Israele, Netanyahu o no: la maggioranza sarà schierata contro Gerusalemme. Occasione anche per dividere gli occidentali tra quelli che chiedono da subito il riconoscimento di uno Stato di Palestina e quelli contrari. La guerra di Gaza e la condanna di Israele saranno l’opportunità di grande rilievo che Pechino non vuole perdere per sottolineare la caduta di egemonia dell’Occidente.
Gli strumenti istituzionali
Al di là delle immagini simboliche, Tianjin ha prodotto alcune decisioni formali che meritano attenzione. Il vertice ha approvato 24 documenti, tra cui la Dichiarazione di Tianjin e la Strategia di sviluppo SCO al 2035
Sono stati inoltre istituiti:
- un Centro antidroga SCO;
- un Centro universale per contrastare le minacce alla sicurezza;
- il conferimento dello status di Partner di dialogo al Laos e di Osservatore alla CSI.
Sul piano economico, oltre al rilancio della Belt and Road Initiative [4], la proposta più significativa è stata la creazione di una Banca di sviluppo SCO, che dovrebbe costituire un’alternativa parziale ai circuiti finanziari basati sul dollaro. In parallelo, Pechino ha annunciato 2 miliardi di yuan in aiuti a fondo perduto e 10 miliardi in prestiti agevolati nei prossimi tre anni, rafforzando la capacità della Cina di posizionarsi come “donatore globale”.
Un altro dossier centrale è l’intelligenza artificiale (AI): la Dichiarazione di Tianjin ha riaffermato l’impegno a cooperare per lo sviluppo responsabile dell’AI, con l’elaborazione di una roadmap comune e la creazione di un centro di collaborazione multilaterale. L’accento sull’open source riflette la strategia cinese di presentare l’AI come un bene pubblico globale e di attrarre partner tecnologici anche tra i Paesi in via di sviluppo.
Infine, sono stati previste 10 mila borse di studio e centri di formazione tecnica per consolidare l’influenza culturale.
Le interpretazioni italiane
La stampa italiana ha offerto letture diverse dell’evento.
- La Repubblica ha parlato di un “asse del caos”, una coalizione di regimi post-democratici e autoritari che si propone come alternativa al sistema occidentale;
- Il Sole 24 Ore ha scelto un approccio tecnico-economico, sottolineando come il PIL aggregato dei Paesi SCO superi quello dell’Unione Europea, pur restando indietro negli investimenti in ricerca e sviluppo.
Un’analisi più equilibrata è arrivata dall’Ambasciatore Giampiero Massolo [4]. Sul Corriere della Sera, Massolo ha avvertito che Tianjin non rappresenta un nuovo asse strutturato, ma piuttosto una convergenza contingente di interessi. Si tratta, nelle sue parole, di una “disordinata ricerca del meno peggio”: gli Stati partecipanti cercano di massimizzare i vantaggi senza stringere alleanze vincolanti. Ignorare questi segnali, tuttavia, sarebbe un errore strategico tanto per gli Stati Uniti quanto per l’Europa.
Conclusioni
Il summit SCO di Tianjin non ha prodotto un vero ordine mondiale alternativo, ma ha generato tre risultati chiave:
- un messaggio simbolico di unità antioccidentale, enfatizzato dalla stretta di mano Xi – Putin – Modi;
- primi strumenti istituzionali concreti (Banca di sviluppo SCO, roadmap sull’AI, centri tematici);
- convergenze pragmatiche, più che alleanze organiche, tra attori che rimangono divisi da interessi geopolitici divergenti.
In questo quadro:
- la Cina si accredita come architetto di un nuovo ordine multipolare;
- la Russia ottiene visibilità e legittimazione in un contesto di isolamento occidentale;
- l’India ribadisce la propria autonomia strategica, oscillando tra Pechino e Washington;
- il Global South trova nella SCO una piattaforma per far sentire la propria voce, pur senza una coesione strutturale.
Come ha sintetizzato l’Ambasciatore Massolo, non siamo di fronte a un nuovo ordine, ma a un “disordine gestito”. Un equilibrio instabile che Stati Uniti ed Europa devono osservare con lucidità strategica: l’errore più grave sarebbe quello di sottovalutarlo.
- L’India tra autonomia strategica e pragmatismo geopolitico
La presenza del premier Narendra Modi a Tianjin, la prima visita ufficiale in Cina dopo sette anni, è stata uno dei passaggi più significativi del vertice. Per un Paese che si definisce democrazia emergente e pilastro del “Quad” indo-pacifico insieme a Stati Uniti, Giappone e Australia, la partecipazione indiana ha assunto un valore simbolico di equilibrio strategico.
Disgelo con Pechino
L’incontro bilaterale tra Modi e Xi Jinping, a lungo atteso dopo le tensioni sul confine himalayano e la competizione commerciale, ha segnato un parziale disgelo. Sono stati annunciati:
- la ripresa dei voli diretti e delle procedure di visto;
- l’impegno a ridurre le tensioni di confine;
- la volontà di trasformare il rapporto tra “l’elefante e il drago” da rivalità a cooperazione.
L’ombra dei dazi americani
Un ruolo chiave l’hanno giocato le politiche protezionistiche di Donald Trump: l’imposizione di dazi del 50% sulle esportazioni indiane per la mancata rinuncia di Nuova Delhi al petrolio russo ha spinto l’India a cercare nuove sponde diplomatiche. In questo senso, la SCO ha offerto a Modi l’occasione per mostrarsi come attore indipendente, capace di dialogare sia con Mosca sia con Pechino, senza chiudere i canali con Washington.
Una partnership “privilegiata” con la Russia
Nei suoi interventi, Modi ha ribadito che l’India e la Russia hanno una partnership privilegiata, invitando Putin a visitare Nuova Delhi. Questo elemento consolida un asse energetico ed economico vitale: l’India è oggi uno dei principali acquirenti di petrolio russo a prezzi calmierati, indispensabile per garantire approvvigionamenti a una popolazione di 1,5 miliardi di persone.
Pragmatismo e diffidenze
Nonostante le aperture, rimangono diffidenze strutturali nei rapporti con la Cina: il sostegno di Pechino al Pakistan e le dispute territoriali non si risolvono con un solo vertice. Come osservano analisti indiani, la strategia di Modi appare orientata a massimizzare i benefici senza allinearsi stabilmente a nessun blocco: dialogo con la Cina, cooperazione con la Russia, ma anche mantenimento del partenariato con gli Stati Uniti e con l’UE (in particolare nei negoziati commerciali riaperti nel 2022).
- La Russia: legittimazione internazionale e dipendenza crescente dalla Cina
Per Vladimir Putin, il vertice SCO di Tianjin ha rappresentato un’occasione preziosa: un palcoscenico dove, a tre anni e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ha potuto ribadire la propria narrativa sul conflitto e mostrare al mondo di non essere affatto isolato.
La narrativa sulla guerra in Ucraina
Nel suo discorso, Putin ha accusato ancora una volta l’Occidente di aver provocato la crisi sostenendo il “colpo di Stato” di Euromaidan nel 2014 e tentando di integrare Kiev nella NATO. Ha ribadito che una pace duratura potrà arrivare solo dal riconoscimento delle “cause di fondo” del conflitto. Pur priva di elementi nuovi, la sua posizione è stata accolta con favore nella platea di Tianjin, offrendo al Cremlino un capitale simbolico di sostegno internazionale che contrasta con l’immagine di isolamento costruita a Bruxelles e Washington.
Una partnership asimmetrica con la Cina
Sul piano economico, però, la posizione russa è molto più fragile. La guerra e le sanzioni hanno spinto Mosca nelle braccia di Pechino, che oggi assorbe quote crescenti delle esportazioni energetiche russe: 47% del greggio, 44% del carbone e 30% del metano via gasdotto. Questo garantisce ossigeno finanziario al Cremlino ma al prezzo di condizioni pesantemente dettate da Pechino.
L’accordo sul gasdotto Power of Siberia 2, annunciato da Gazprom a margine del summit, ne è un esempio: il documento è stato definito in termini generali, senza impegni sui prezzi, segno che i cinesi attendono di strappare ulteriori concessioni. I dati mostrano che le entrate russe da fonti fossili nel 2025 sono già inferiori di un terzo rispetto all’anno precedente, costringendo Mosca a intaccare il proprio fondo sovrano.
L’asse con l’India e il Sud globale
Accanto al rafforzamento del legame con Pechino, Putin ha cercato visibilità attraverso la partnership con Modi. Il premier indiano ha ribadito che India e Russia restano legate da una “partnership privilegiata”, un sostegno vitale per Mosca che oggi vede Delhi tra i principali acquirenti di petrolio a prezzi calmierati.
Più in generale, il vertice ha consentito a Putin di presentarsi come interlocutore ascoltato nel Sud globale, beneficiando delle tensioni tra Washington e partner come India e Turchia. L’incontro con Recep Tayyip Erdogan a margine del summit ha ricordato il ruolo della Turchia nei negoziati di Istanbul e la possibilità di spazi di mediazione extra-occidentali.
Valutazione complessiva
La posizione russa a Tianjin si muove su due binari paralleli:
- legittimazione politica e simbolica, grazie alla presenza in un forum multilaterale che ha dato visibilità a Mosca come attore non marginale;
- fragilità economica crescente, con una dipendenza strutturale da Pechino che priva il Cremlino di margini negoziali e lo costringe ad accettare sconti su gas e petrolio.
In sintesi, Putin ha guadagnato visibilità e sostegno diplomatico, ma al prezzo di un’asimmetria sempre più marcata nei rapporti con la Cina. Un equilibrio instabile, che rende la Russia un partner necessario per Pechino, ma sempre più subordinato.
- La Cina: architetto di un nuovo multilateralismo
Per Pechino, ospitare il 25° vertice SCO a Tianjin è stato soprattutto un esercizio di proiezione strategica. Xi Jinping ha colto l’occasione per rafforzare l’immagine della Cina come architetto di un ordine multipolare alternativo a quello guidato dall’Occidente.
La retorica del “vero multilateralismo”
Nel suo discorso, Xi ha chiesto ai Paesi membri di respingere la “mentalità da guerra fredda e blocchi contrapposti”, ponendo la SCO come piattaforma di dialogo e cooperazione. Ha insistito sul concetto di “spirito di Tianjin”, cioè un multilateralismo inclusivo e paritario, contrapposto a quello percepito come egemonico dell’Occidente
Una leadership culturale e storica
Xi ha legato queste iniziative a una visione di lungo periodo, richiamando la “comunità dal destino condiviso” e valori sinici di pace e armonia. Nel comunicato finale, Pechino ha anche spinto per una “interpretazione corretta” della Seconda guerra mondiale, enfatizzando il ruolo di Cina e Unione Sovietica nella vittoria sui fascismi: un modo per legittimare la propria centralità anche sul piano storico.
L’asse con la Russia e il disgelo con l’India
Dal punto di vista delle relazioni bilaterali, Tianjin ha confermato la solidità del legame con Mosca, pur in un rapporto sempre più asimmetrico in favore di Pechino. Sul fronte indiano, la Cina ha colto la finestra aperta dai dazi di Trump per promuovere un disgelo: Xi e Modi hanno parlato di un partenariato possibile tra “il drago e l’elefante”, ribadendo l’intenzione di trasformare la rivalità in cooperazione.
Le sfide alla leadership cinese
Dietro l’apparente compattezza, restano tuttavia i limiti strutturali:
- la diffidenza indiana nei confronti della Cina, alimentata dalla disputa himalayana e dal sostegno di Pechino al Pakistan;
- la percezione, in Europa e negli Stati Uniti, che la SCO non sia altro che una vetrina autoritaria, priva di reale capacità di governance;
- la difficoltà di tradurre le dichiarazioni in risultati concreti.
Valutazione complessiva
La posizione cinese a Tianjin si articola su tre livelli:
- narrativo: presentare la SCO come modello alternativo di governance globale, inclusivo e non egemonico;
- istituzionale: creare strumenti (Banca di sviluppo SCO, roadmap su AI, programmi educativi) per consolidare la propria leadership;
- diplomatico: rafforzare l’asse con la Russia, promuovere il disgelo con l’India e attrarre il Sud globale attraverso incentivi finanziari e culturali.
Il risultato è un mix di ambizione e ambiguità: la Cina appare come la forza trainante del vertice, ma la reale efficacia della SCO resta ancora tutta da dimostrare.
- Cina – India – Russia: un equilibrio fragile
Il vertice SCO di Tianjin ha proiettato al mondo l’immagine di un solido asse fra Cina, Russia e India. La stretta di mano e i sorrisi tra Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi hanno avuto un forte valore simbolico, ma dietro quella fotografia si nasconde una realtà più complessa.
Per la Cina, il summit è stato soprattutto un’occasione per consolidare la propria ambizione di architetto di un nuovo multilateralismo. Xi ha ribadito la necessità di superare la “mentalità da guerra fredda”, presentando la SCO come piattaforma inclusiva e alternativa all’Occidente. Gli annunci su banca di sviluppo, prestiti agevolati e programmi culturali hanno rafforzato il messaggio che Pechino intende porsi come guida, in grado di fornire risorse e stabilità a un Sud globale in cerca di riferimenti.
Per l’India, invece, Tianjin è servita a riaffermare la propria autonomia strategica. Modi ha colto l’occasione per mostrare che Nuova Delhi non intende cedere agli aut aut americani, né subire l’egemonia cinese. Da un lato ha confermato la “partnership privilegiata” con Mosca, vitale sul piano energetico; dall’altro ha avviato un disgelo tattico con Pechino, favorito dalle tensioni con Washington sui dazi. Ma questa apertura non cancella la diffidenza di fondo verso la Cina, percepita come rivale strutturale.
Per la Russia, infine, il vertice ha rappresentato soprattutto una vetrina di legittimazione. Putin ha potuto ribadire la propria narrativa sulla guerra in Ucraina davanti a una platea non ostile, dimostrando di non essere isolato. Ma dietro la facciata di sostegno, il Cremlino si trova sempre più dipendente dalla Cina, che assorbe gran parte delle esportazioni energetiche russe dettandone le condizioni, e al tempo stesso non può rinunciare al sostegno indiano per mantenere aperti sbocchi alternativi.
Quindi:
- l’India resta lontana dall’accettare un ordine a guida cinese: la sua assenza dalla parata militare di Xi lo dimostra;
- la Russia non può accettare indefinitamente la subordinazione a Pechino, e cercherà sempre margini di manovra per riequilibrare;
- la stessa Cina non rinuncerà all’espansionismo della Belt and Road per fare spazio agli alleati.
In sintesi, Tianjin ha mostrato convergenze tattiche fra i tre attori, ma non ha sciolto le loro divergenze strategiche. La Cina guida e detta i tempi, l’India coopera senza legarsi, la Russia cerca spazio per non restare marginale. Più che un nuovo ordine, si delinea così un equilibrio fragile, un “disordine gestito” che serve a tutti e tre, ma che difficilmente potrà trasformarsi in un’alleanza stabile.
- Focus – La partecipazione di Robert Fico
La presenza del premier slovacco Robert Fico al vertice SCO di Tianjin ha fatto discutere. È stato l’unico leader europeo a sedere accanto a Xi Jinping, Vladimir Putin e Narendra Modi.
In un post sui social, Fico ha giustificato così la sua scelta:
“Si sta creando un nuovo ordine mondiale, nuove regole per un mondo multipolare, un nuovo equilibrio di potere, il che è estremamente importante per la stabilità nel mondo. Essere parte di tali discussioni significa sostenere il dialogo e non comportarsi come un bambino offeso. Questo è in qualche modo il comportamento attuale dell’UE e dei suoi rappresentanti”.
Fico ha precisato di aver informato l’Unione Europea in tempo utile della sua partecipazione e ha insistito sulla necessità di mantenere aperti i canali di dialogo con tutti gli attori globali. Dietro questa retorica di “ponte diplomatico”, però, si intravede una postura ambigua: la Slovacchia resta fortemente dipendente dal gas russo e la partecipazione al summit serve anche a consolidare rapporti con Mosca e Pechino.
Sul piano interno, la mossa appare come un tentativo di rafforzare la propria narrativa sovranista in vista delle elezioni del 2027, in un contesto di governo fragile e segnato da proteste contro derive illiberali. Sul piano europeo, invece, il gesto ha alimentato la frattura tra il fronte “pragmatico” (con Slovacchia e Ungheria) e quello più atlantista (Polonia, Baltici, Nord Europa).
- Democrazie liberali in crisi, Europa ancora attrattiva
Il vertice di Tianjin si è svolto in un contesto segnato da una crisi profonda delle democrazie liberali. Da tempo, i principali osservatori internazionali – da Freedom House a V-Dem, fino all’Economist Intelligence Unit – registrano un arretramento pluriennale degli standard democratici. Sempre più Paesi scivolano verso forme ibride o autoritarie, mentre cresce la percezione diffusa che le democrazie non siano in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo: sicurezza economica, gestione delle migrazioni, cambiamento climatico, regolazione tecnologica.
Questa sfiducia trova conferma nella cronaca politica recente: la caduta del governo francese, il terremoto elettorale in Giappone con la fine del predominio del Partito liberaldemocratico, le fragilità della Spagna e della Germania, la crescita dei nazionalisti in Gran Bretagna. In tutti questi casi, l’instabilità si traduce in un aumento della domanda sociale di “guide forti”, un richiamo a modelli autoritari che si propongono come ordinati ed efficienti, pur al prezzo delle libertà fondamentali.
Eppure, in questo quadro, l’Unione Europea mantiene un potenziale attrattivo che non va sottovalutato. È innanzitutto una superpotenza normativa, capace di esportare regole su concorrenza, dati, digitale e sostenibilità. È un mercato unico integrato, con oltre 440 milioni di consumatori e un tessuto regolatorio che assicura prevedibilità agli investitori. E rimane un ancoraggio istituzionale per Paesi come i Balcani occidentali, l’Ucraina e la Moldova, che guardano a Bruxelles come garanzia di stabilità e prospettiva di crescita.
La sfida, tuttavia, è interna. Le divisioni emerse sulla guerra dei dazi con la Cina, così come le tensioni sull’allargamento e sullo Stato di diritto, mostrano la fragilità della coesione europea. È questo il nodo decisivo: senza unità e assertività, l’Europa rischia di perdere il suo vantaggio competitivo e di ridursi a semplice spettatrice degli equilibri globali.
Non è un caso che, nelle ultime settimane, due voci autorevoli abbiano lanciato un monito. Mario Draghi, dal palco del Meeting di Rimini, ha ricordato che “il tempo delle indecisioni è finito” e che l’Europa non può più permettersi la frammentazione se vuole competere con Stati Uniti e Cina. Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 10 settembre u.s., ha ribadito la necessità che l’UE “parli con una sola voce” nei grandi dossier globali, acceleri sull’integrazione energetica e digitale, e accompagni con coerenza il processo di allargamento.
In conclusione, la crisi delle democrazie è reale e crescente, ma l’Europa conserva strumenti e risorse per restare attrattiva. A condizione, però, di rafforzare la propria coesione politica e di esercitare un ruolo più assertivo sul piano internazionale. Solo così potrà essere non spettatrice, ma protagonista della transizione verso il nuovo ordine globale. In questo quadro, la SCO non sostituisce l’Occidente, ma ne evidenzia le fragilità: un avvertimento che l’Europa non può permettersi di ignorare.
[1] Belt and Road Initiative (BRI): strategia lanciata dalla Cina nel 2013 per sviluppare infrastrutture e connessioni commerciali terrestri e marittime tra Asia, Europa, Africa e oltre. Mira a rafforzare i legami economici e politici di Pechino con il resto del mondo attraverso investimenti in trasporti, energia e telecomunicazioni.
[2] GGI – Global Governance Initiative: piattaforma lanciata da Xi Jinping al vertice SCO 2025. Propone un modello di governance internazionale alternativo, basato su sovranità nazionale, inclusione del Sud globale e “vero multilateralismo”.
[3] CSIS – Center for Strategic and International Studies: think tank con sede a Washington, fondato nel 1962. È uno dei principali centri di ricerca su sicurezza, politica estera, economia e tecnologia, con l’obiettivo di fornire analisi e raccomandazioni ai decisori pubblici e privati.
[4] Giampiero Massolo: diplomatico italiano, già Segretario generale della Farnesina e direttore del DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza). È stato presidente dell’ISPI e attualmente guida il gruppo infrastrutturale Mundys.
PAOLO POLETTI
