DENTRO LA MENTE – L’arco della morale: perché l’umanità migliora quando usa la ragione
di SIMONE PAZZAGLIA ♦
Introduzione – La giustizia come traiettoria storica
Viviamo in un’epoca in cui la fiducia nel progresso morale appare fortemente incrinata. Guerre, disuguaglianze, crisi ambientali e polarizzazione ideologica sembrano contraddire ogni narrazione evolutiva del miglioramento umano. Eppure, secondo Michael Shermer, storico della scienza, fondatore della rivista Skeptic e autore di numerosi saggi sul pensiero critico, la storia dell’umanità racconta una verità più profonda: nel lungo periodo, la traiettoria morale dell’uomo si è diretta verso maggiore giustizia, libertà e inclusione. E questo progresso non è accidentale, ma il risultato cumulativo dell’espansione della ragione, della scienza e del secolarismo.
In The Moral Arc: How Science and Reason Lead Humanity Toward Truth, Justice, and Freedom, Shermer riprende e amplia una celebre frase attribuita a Martin Luther King – “l’arco dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia” – trasformandola da affermazione etica a tesi storica ed epistemologica. La sua proposta è audace: mostrare, attraverso l’evidenza empirica e l’analisi razionale, che l’umanità ha fatto reali progressi morali, e che tali progressi sono fortemente legati alla diffusione del pensiero critico, del metodo scientifico e della cultura dei diritti individuali.
Shermer si oppone tanto al cinismo moralista quanto al relativismo culturale. La sua posizione è chiara: l’etica non è un’opinione, ma può essere oggetto di indagine razionale, argomentazione pubblica e misurazione empirica. Non tutti i valori sono equivalenti; non tutte le culture si equivalgono rispetto al trattamento della dignità umana. Il libro è dunque una difesa articolata del liberalismo secolare come struttura morale adattiva, capace di ridurre la violenza, ampliare la cooperazione e proteggere le libertà fondamentali.
Nel corso delle sue pagine, Shermer affronta questioni spinose come l’abolizione della schiavitù, l’evoluzione del diritto penale, la tutela delle minoranze, il ruolo dell’istruzione e della scienza nel promuovere empatia e universalismo. La sua tesi è tanto chiara quanto impegnativa: il progresso morale non è automatico, ma possibile – e la razionalità è lo strumento più potente per guidarlo.
Il progresso morale è misurabile – Dall’abolizione della schiavitù ai diritti civili
Per Shermer, parlare di “progresso morale” non significa affidarsi a narrazioni ottimistiche o a credenze astratte. Al contrario, vuol dire analizzare con strumenti razionali e storici l’evoluzione della nostra capacità collettiva di ridurre la sofferenza, ampliare i diritti e riconoscere la dignità dell’altro. È in questo quadro che The Moral Arcpropone una ricostruzione delle grandi tappe evolutive dell’etica pubblica, sostenendo che la moralità si espande nel tempo, includendo progressivamente individui, gruppi e specie precedentemente esclusi.
Un primo esempio paradigmatico è l’abolizione della schiavitù. Shermer mostra come, a partire dal XVIII secolo, l’istituzione schiavista – accettata per millenni in quasi tutte le civiltà – sia stata messa in discussione grazie all’attivismo filosofico, religioso e scientifico che ha progressivamente decostruito la giustificazione razionale della disuguaglianza ontologica tra esseri umani. Da Voltaire a Wilberforce, da Lincoln a Douglass, l’idea che tutti gli esseri umani debbano essere trattati come fini e non come mezzi ha trovato terreno fertile nella cultura della ragione, dell’argomentazione pubblica e della secolarizzazione dei valori.
Ma Shermer non si ferma alla schiavitù. L’arco della morale si estende alla lotta per i diritti civili: il suffragio universale, l’emancipazione delle donne, la decolonizzazione, la parità razziale e l’equiparazione giuridica delle coppie LGBTQ+. Tutti questi avanzamenti, pur contrastati e disomogenei, seguono una tendenza storica coerente: l’ampliamento del “cerchio morale”, per usare l’espressione di Peter Singer, e la progressiva inclusione di soggetti un tempo marginalizzati nella sfera della considerazione morale piena.
Shermer interpreta questi cambiamenti non come concessioni casuali o rivoluzioni culturali estemporanee, ma come esiti cumulativi di un’evoluzione cognitiva e istituzionale. L’alfabetizzazione, l’accesso all’informazione, la secolarizzazione del diritto, la nascita della stampa libera e l’espansione della scienza pubblica sono tutti elementi che creano le condizioni per una maggiore empatia razionale, fondata su dati, esperienze condivise e principi universalistici.
Un caso particolarmente emblematico è quello dei diritti degli animali, che Shermer considera una nuova frontiera del progresso morale. Da pratica considerata marginale fino a pochi decenni fa, la tutela degli animali non umani si è affermata come componente essenziale di una concezione etica evolutiva, basata sulla capacità di soffrire, e non sull’appartenenza di specie. In questo senso, la morale – lungi dall’essere statica – si adatta a nuove evidenze scientifiche: le neuroscienze animali, l’etologia, la biologia evolutiva.
Questi cambiamenti sono misurabili. Shermer utilizza dati statistici, cronologie legislative, indicatori di progresso sociale (come quelli forniti da Freedom House, Human Rights Watch, Amnesty International, e report dell’ONU) per dimostrare che il mondo è diventato progressivamente meno crudele e più giusto. Non perfetto, non lineare, ma migliore rispetto a secoli e millenni passati. E questo miglioramento, per Shermer, è strettamente connesso all’espansione della razionalità secolare e scientifica.
Il punto centrale è che non si tratta solo di norme giuridiche o di cambiamenti sociali, ma di una trasformazione epistemica: abbiamo imparato a fondare le decisioni morali non su autorità arbitrarie o su testi sacri, ma su discussione pubblica, dati empirici, esperienze condivise e logica argomentativa. In questo, Shermer si collega a una tradizione che va da Condorcet a Stuart Mill, da Rawls a Singer, e che considera la moralità come un oggetto di progresso cognitivo collettivo.
Scienza e ragione come forze etiche
Per gran parte della filosofia moderna, e di molta storiografia, la scienza è stata considerata valorialmente neutra: uno strumento descrittivo, capace di spiegare il mondo com’è, ma non di dire nulla su come dovrebbe essere. Michael Shermer contesta radicalmente questa visione. In The Moral Arc, sostiene che la scienza, insieme alla ragione critica, non solo ha prodotto conoscenza oggettiva, ma ha anche contribuito a plasmare visioni morali più giuste, più inclusive, più universali.
Secondo Shermer, la scienza favorisce il progresso morale in almeno tre modi:
- Riduce l’ignoranza e smonta i dogmi;
- Estende la nostra capacità di empatia attraverso la conoscenza;
- Fornisce criteri oggettivi per valutare gli effetti delle nostre azioni in termini di sofferenza, benessere, libertà.
Prendiamo ad esempio il caso dell’etica penale. Per secoli, la giustizia si è fondata su principi retributivi, punitivi, vendicativi. Ma gli studi neuroscientifici, psicologici e sociologici contemporanei hanno messo in crisi l’idea della colpa come entità metafisica e hanno mostrato le cause sistemiche e ambientali della devianza. Ne è derivata una progressiva revisione della giustizia penale in senso riabilitativo e umanitario: meno pena di morte, più attenzione al trattamento carcerario, alle condizioni di detenzione, alla prevenzione del crimine. In questo senso, la scienza ha agito come leva per la riforma morale.
Lo stesso vale per la bioetica. Le decisioni su aborto, eutanasia, ingegneria genetica o diritti riproduttivi non possono più basarsi su autorità religiose o dogmi morali assoluti. Sono oggi regolate, nei paesi laici, da comitati scientifici, da dibattiti pubblici razionali, da bilanciamenti empirici tra dolore, dignità, libertà e sicurezza. Shermer sottolinea come le società che affidano la discussione etica alla comunità scientifica e al dibattito pubblico aperto siano più evolute, più stabili, e più eque.
Altro campo emblematico è quello della questione animale. La scienza cognitiva, l’etologia e le neuroscienze hanno documentato la presenza di emozioni, dolore, memoria e coscienza in molte specie animali. Questa evidenza ha modificato la percezione morale che abbiamo del rapporto uomo–animale, aprendo la strada a leggi contro la crudeltà, riconoscimento giuridico degli animali non umani, e pratiche alimentari più sostenibili ed etiche. Shermer parla in questo contesto di un “espansione morale epistemicamente fondata”: la nostra etica migliora quando migliora la nostra comprensione del mondo.
Il punto chiave è che la scienza, intesa non solo come disciplina accademica ma come metodo critico, promuove l’universalismo morale: ci spinge a guardare oltre le appartenenze tribali, le differenze religiose, le culture particolaristiche. La razionalità, invece di essere fredda e astratta, diventa uno strumento per riconoscere l’altro come soggetto di diritti, perché ci forza a confrontarci con l’evidenza, a riformulare le nostre credenze, a giustificare le nostre norme in modo pubblico e argomentabile.
Shermer non afferma che la scienza dica “cosa è giusto” nel senso normativo stretto. Ma mostra che una visione razionale e scientificamente informata del mondo rende alcune posizioni etiche semplicemente insostenibili: come giustificare la schiavitù, la pena capitale, l’omofobia, la discriminazione di genere, se si prende sul serio la biologia, la psicologia evolutiva, l’economia comportamentale?
In questo modo, The Moral Arc si inserisce in una corrente filosofica che va da Spinoza a Hume, da Condorcet a Mill, da Russell a Singer: l’idea che la ragione, se coltivata in un contesto pubblico, abbia una potenza etica trasformativa, e che il progresso morale non derivi da intuizioni mistiche, ma da un processo collettivo di apprendimento, revisione e dialogo aperto.
La secolarizzazione della giustizia – Etica pubblica e modernità
Uno degli assunti fondamentali di The Moral Arc è che la moralità pubblica si emancipa davvero solo in contesti secolari. Shermer sostiene che la giustizia moderna – intesa come garanzia di diritti, libertà individuali, non discriminazione e responsabilità condivisa – è stata resa possibile solo grazie al progressivo allontanamento dell’etica pubblica dalle autorità religiose e dai codici morali rivelati. Non si tratta, nel suo racconto, di un attacco alla fede individuale, ma di una chiara distinzione tra etica privata e norme universali.
Secondo Shermer, il secolarismo non è l’assenza di morale, ma il suo affinamento attraverso il confronto pubblico, la discussione razionale e l’adattamento ai mutamenti sociali e scientifici. Dove il potere politico si è intrecciato con la religione, la storia ha prodotto teocrazie, inquisizioni, guerre sante, repressioni sessuali, apartheid giuridici e gerarchie caste. Dove invece è stato possibile separare la sfera spirituale da quella istituzionale, la società ha fatto spazio alla libertà di pensiero, alla tolleranza, al pluralismo e all’universalismo etico.
Shermer ricorre a una vasta mole di dati per sostenere questa tesi. Mostra come i paesi con alti livelli di secolarizzazione siano anche quelli con i più alti indici di benessere, eguaglianza, sicurezza, istruzione, pace interna e fiducia nelle istituzioni. Al contrario, le nazioni con forte influenza religiosa nelle leggi e nella giustizia mostrano più frequentemente alti tassi di corruzione, disuguaglianze di genere, omofobia legalizzata, censura e persecuzioni minoritarie.
Un esempio paradigmatico è il confronto tra democrazie secolari (come quelle scandinave) e stati teocratici o ideologicamente confessionali (come l’Iran, l’Arabia Saudita o certi paesi del Sud-est asiatico). La differenza non risiede solo nel livello di sviluppo economico, ma nel tipo di cornice morale che informa la legge: una legge secolare è emendabile, sottoposta a revisione, compatibile con il dissenso e la sperimentazione; una legge sacra, invece, è fissa, dogmatica, autoritaria.
Shermer nota anche come molte conquiste etiche – come l’abolizione della pena di morte, la depenalizzazione dell’omosessualità, il diritto all’aborto, la legalizzazione del matrimonio egualitario – siano state ottenute quasi sempre non grazie alla religione istituzionalizzata, ma malgrado essa, e spesso in opposizione ai suoi dogmi. Ciò che ha prevalso è stata una nuova concezione della morale fondata sul consenso informato, sull’autonomia personale, sull’equilibrio tra libertà e responsabilità, che affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella modernità liberale.
Il secolarismo, nel libro di Shermer, assume così un doppio significato: è una condizione istituzionale (la separazione tra Stato e religione), ma anche una postura epistemica (il rifiuto del fondamento assoluto, l’apertura alla revisione, l’adesione al principio di realtà). Solo in questo clima possono emergere forme di giustizia che rispettino la diversità, promuovano la convivenza pacifica e permettano l’espansione continua del cerchio morale.
Questo non implica l’esclusione della religione dallo spazio pubblico, ma una ridefinizione delle sue modalità di espressione: la fede può convivere con la democrazia solo se rinuncia all’egemonia normativa. In altre parole, Shermer non propone un nichilismo morale, ma una forma di laicismo attivo, inclusivo e argomentativo, in cui la moralità non deriva dalla rivelazione, ma dalla discussione, dall’esperienza e dall’evidenza.
L’etica pubblica secolare non è infallibile, ma è l’unico sistema che consente l’autocorrezione morale su base non violenta. È ciò che permette, per esempio, di passare da una legge che criminalizza l’omosessualità a una che protegge le unioni civili; da un sistema carcerario punitivo a uno riabilitativo; da un’educazione autoritaria a una basata sull’empatia e sulla ragione. Tutto ciò, conclude Shermer, non è possibile senza una cornice istituzionale e culturale che riconosca il valore della ragione pubblica e dell’autonomia individuale.
Critiche e limiti – Il rischio del moralismo evoluzionista
Ogni teoria del progresso morale, per quanto supportata da dati ed esempi storici, si espone a una serie di critiche strutturali. Michael Shermer non fa eccezione. Il suo tentativo di tracciare un “arco morale” che tende verso la giustizia si colloca in una tradizione illuminista ottimista che, pur affascinante, solleva interrogativi epistemologici, culturali e politici rilevanti.
La prima critica, forse la più ricorrente, riguarda il linearismo implicito del suo modello. Parlare di “arco morale” suggerisce una direzione inevitabile, una forma di teleologia secolare in cui il mondo si muove progressivamente verso il meglio. Shermer cerca di evitare questo determinismo, sottolineando che il progresso morale non è garantito, ma possibile. Tuttavia, la retorica evoluzionista che attraversa il libro – per quanto temperata – rischia di trasmettere l’idea di una traiettoria obbligata, anziché di una conquista fragile e continuamente minacciata da ricadute, stagnazioni o rigressioni. Gli eventi contemporanei – dal ritorno del fondamentalismo alla recrudescenza di autoritarismi e razzismi – mostrano che la storia non procede a senso unico.
Una seconda obiezione è quella del eurocentrismo morale. Pur sforzandosi di rendere conto della pluralità culturale, Shermer fonda la sua teoria sui valori della modernità occidentale – razionalismo, liberalismo, laicismo, universalismo dei diritti – e tende a trattarli come standard normativi universali, più che come prodotti storicamente situati. Ciò solleva il problema della proiezione culturale: quanto è legittimo assumere che le conquiste morali del mondo occidentale siano valide ovunque, e quanto invece andrebbe riconosciuta la pluralità delle vie all’etica, senza cadere nel relativismo?
Shermer risponde a questa tensione con un’argomentazione pragmatica: laddove si espandono razionalità, educazione, libertà di stampa, trasparenza politica e ricerca scientifica, i diritti tendono a essere riconosciuti e protetti meglio. Il riferimento non è a un modello culturale rigido, ma a condizioni epistemiche e istituzionali che rendono possibile una morale argomentabile, falsificabile, rivedibile. Tuttavia, il rischio di presentare il progresso morale come un’esportazione di modelli occidentali resta latente.
Una terza area di critica riguarda l’ottimismo antropologico di fondo. Shermer assume che l’essere umano, dato un certo grado di istruzione, accesso alle informazioni e libertà, tenda naturalmente verso soluzioni etiche più inclusive. Ma numerosi studi in psicologia morale, scienze cognitive e antropologia mostrano che i bias tribali, l’inerzia culturale, la propensione all’autoritarismo e l’aggressività simbolica sono componenti permanenti della nostra struttura cognitiva. La ragione non basta. E non sempre vince.
Shermer non ignora questa complessità, ma la riduce a una questione di educazione e istituzioni: creare contesti favorevoli, dice, è il modo per inibire i comportamenti regressivi e potenziare quelli cooperativi. Tuttavia, questa risposta può sembrare insufficiente di fronte a derive contemporanee che nascono proprio in società altamente alfabetizzate e democratiche, come i movimenti complottisti o populisti che rigettano razionalità e evidenza in nome di identità, emozione, o appartenenza.
Infine, alcuni critici vedono nel libro un rischio di compiacimento morale: l’idea che, essendo migliorati rispetto al passato, possiamo considerarci “a posto”. Ma Shermer è molto chiaro su questo punto: il progresso morale non è un’eredità da gestire, ma una sfida da continuare. L’arco morale non si piega da solo. Va guidato, sostenuto, difeso. E ogni generazione deve farsi carico della sua porzione di responsabilità storica.
In sintesi, The Moral Arc propone una visione fondata, ma non priva di tensioni: tra universalismo e pluralismo, tra progresso e ricaduta, tra ragione e tribalismo. Shermer non fornisce soluzioni definitive, ma una cornice utile per porre le domande giuste, sostenuta da una solida architettura storica e da una proposta epistemica coraggiosa: che l’etica possa evolvere, se alimentata da conoscenza, razionalità e apertura al confronto.
Conclusione – Coltivare la razionalità morale
The Moral Arc è un libro ambizioso: tenta di mostrare che la storia dell’umanità, nel lungo periodo, è anche la storia dell’estensione del riconoscimento morale, della riduzione della sofferenza e della conquista di nuovi diritti. Ma la tesi di Shermer non è solo storica: è una proposta etica e politica. Ci invita a vedere la razionalità non come una qualità astratta o fredda, ma come una virtù civile, un modo per vivere insieme su basi non violente, deliberative, verificabili. In un mondo scosso da fanatismi, disinformazione e crisi sistemiche, questo messaggio ha un’urgenza particolare.
Il vero punto di forza del libro è il modo in cui lega l’evoluzione morale alla storia della conoscenza pubblica. Shermer ci ricorda che non ci sono scorciatoie etiche: i cambiamenti duraturi avvengono quando si trasformano le condizioni cognitive e istituzionali in cui le persone pensano, agiscono e decidono. Ecco perché educazione, laicità, libertà di stampa, pluralismo scientifico e diritti individuali non sono dettagli culturali, ma infrastrutture morali.
Il messaggio finale è sobrio ma potente: il progresso morale è reale, ma non garantito. Per continuare a piegare l’arco della giustizia, serve l’impegno di ognuno – non in nome di un’utopia perfetta, ma per costruire istituzioni più giuste, norme più inclusive, relazioni più empatiche, fondate su ciò che sappiamo e possiamo argomentare. La razionalità morale, in questo senso, non è una rinuncia all’ideale, ma il suo radicamento nella realtà.
Per chi vuole approfondire i temi trattati nel libro, ecco alcune letture consigliate in continuità con la prospettiva di Shermer:
- The Better Angels of Our Nature di Steven Pinker – sul declino della violenza nella storia umana;
- The Expanding Circle di Peter Singer – sul concetto di cerchio morale e universalismo etico;
- Ethics in the Real World di Peter Singer – una raccolta di saggi sull’etica applicata nella contemporaneità;
- Justice di Michael Sandel – sul ruolo della giustizia pubblica tra etica, diritto e filosofia politica;
- Why Nations Fail di Acemoglu e Robinson – sul ruolo delle istituzioni nel determinare lo sviluppo (anche etico) delle società.
In definitiva, The Moral Arc non è un libro sul passato, ma una guida per pensare il futuro con lucidità morale e responsabilità epistemica. Perché come scrive Shermer, “la ragione e la scienza non ci rendono solo più intelligenti: ci rendono migliori”.
SIMONE PAZZAGLIA
