RUBRICA MANAGEMENT PILLS – Adattarsi è meglio che resistere.
di GIANLUCA GORI ♦
La resilienza è un concetto strano, per noi umani. In fisica è la capacità di un oggetto sottoposto ad una forza di recuperare il suo stato originario in termini anche di forma, prestazione e funzionalità. Poi ci è venuto in mente di applicarlo agli umani. Quante volte abbiamo sentito frasi tipo: siate resilienti, dobbiamo essere resilienti a questo evento, dobbiamo aumentare la resilienza del processo, prodotto, noi umani, società, ecc. Tuttavia, in un mondo incerto e turbolento come quello attuale che determina cambiamenti inevitabili, imprevedibili e quasi sempre irreversibili le persone, le società non possono più permettersi di essere solo resistenti o resilienti. Tornando allo stato originario in un contesto diverso, non è detto che l’oggetto possa continuare a funzionare bene. Neppure gli individui e questo lo affermano anche numerosi psicologici. Per l’umanità quindi la vera sfida non è essere resiliente ma diventare anti-fragile.
Il concetto di antifragilità, già sviluppato in letteratura, ma esploso definitivamente con Nassim Nicholas Taleb nel suo libro Antifragile: Things That Gain from Disorder, muove proprio da questo assunto: andare oltre la resilienza. Se qualcosa di resiliente è capace di resistere agli urti e mantenere la sua forma, o recuperarla, qualcosa di antifragile migliora grazie agli urti. “Alcune cose traggono vantaggio dagli shock; prosperano e crescono quando sono esposte alla volatilità, al disordine, al caos”, scrive Taleb. “L’antifragilità è al di là della resilienza o della robustezza.”
Quello che ci ha sempre portato fuori strada è l’illusione del controllo. Scrive Taleb che gli individui, le aziende, i governi, i progetti attuano tutti lo stesso approccio metodologico alla vita: ragionare su previsioni, piani quinquennali, modelli di rischio e analisi di scenario. Il che va bene, aiuta, è doveroso farlo, ma tenendo presente che la realtà non segue mai il copione. La pandemia, i cambiamenti climatici, le crisi geopolitiche, la discontinuità tecnologica: tutto questo ci ha mostrato che il futuro è fondamentalmente imprevedibile. In questo contesto, l’antifragilità non è solo desiderabile, ma necessaria. Le organizzazioni che si adattano, che imparano dai propri errori, che si rigenerano nei momenti di crisi, sono quelle che sopravvivono – e spesso emergono più forti. Ricordate Kintsugi? Non nascondere le ferite, riempirle d’oro e diventare pezzi unici del nuovo contesto. A dirla col buon vecchio Darwin, “non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.” Homo sapiens vs Neandertal, quest’ultimo non era affatto male, anzi. Le ultime scoperte confermano di popolazioni raffinate e culturalmente avanzate, eppure non si adattarono al nuovo contesto.
L’università di Harvard nel 2016 rilanciò il termine Underdog, in origine i cani dati per sfavoriti nei combattimenti, come la forza della vulnerabilità attiva. Gli underdog, a rappresentare le realtà apparentemente svantaggiate, i piccoli team, le startup senza budget, le persone invisibili, sono per Harvard gli anti fragili per natura. Hanno poco da perdere, sono agili, sono costretti ad adattarsi costantemente per sopravvivere, non conservano, non accumulano e possono permettersi di perdere perché sanno ricostruire. Se lo applichiamo agli stati o alle aziende sono quelle organizzazioni che sviluppano un’intelligenza strategica che spesso manca nei grandi colossi affermati o nelle organizzazioni che sono alla vetta del loro consenso. Quelli per capirci che sono nella loro fase di “mungitura della vacca” e non ci pensano per niente a cambiare per non perdere neanche un “goccio” dei loro introiti o del loro potere. Questi ovviamente andranno bene finché andrà tutto bene ma se compare il “cigno nero”? Se il contesto cambia improvvisamente o nasce quel concorrente inatteso che nessuno aveva previsto? A cui anzi magari abbiamo pensato ma abbiamo semplicemente risposto: si è sempre fatto cosi…
La creatività non vi seppellirà!
Il professore Adam Grant, in Originals, parla di “pensiero laterale” e di come la mancanza di risorse spinga a soluzioni creative: “L’innovazione nasce dalla scarsità, non dall’abbondanza.”
Questo si traduce in una cultura dell’apprendimento continuo, della sperimentazione, del feedback. È il contrario dell’arroganza strutturale delle organizzazioni troppo rigide, che si basano su certezze obsolete. Cerchiamo di auto apprendere, di imparare dagli errori, diamoci riscontri costanti. Abbiamo fatto sempre così, ma se questo processo sparisse e non potessimo più utilizzarlo cosa o come potremmo fare? Chi applica questo approccio in modo naturale sono i bambini. Un bambino si riorganizza continuamente per ‘stare bene’. Non è resiliente è anti-fragile, perché creativo. Innova costantemente. L’Innovazione basata sui processi creativi è il metodo del soggetto anti-fragile e lo puoi applicare ovunque. Anche e soprattutto nelle relazioni, che improvvisamente migliorano. Quindi gli adulti sono naturalmente insidiati dai bambini, ovvero dalle nuove generazioni. Gli anti-fragili per eccellenza, almeno fino a quando non vengono uniformati con il lavaggio del cervello di un sistema scolastico ed educativo inadeguate. Gli adulti, dicevo, sono insidiati dai bambini… e dalla intelligenza artificiale che ragiona esattamente nello stesso modo: impara, si auto corregge, si da un feedback, chiede il feedback, si migliora. Occhio… un concorrente non da poco!
Uno sguardo all’economia: dall’efficienza all’evoluzione
L’economia classica ci ha abituato a pensare che l’efficienza sia il fine ultimo: meno sprechi, più risorse, ma l’efficienza estrema può rendere fragili. Un sistema iper-ottimizzato è come un castello di carte: perfetto in teoria, ma incapace di assorbire il minimo shock. Secondo Tim Harford, autore di Adapt: Why Success Always Starts with Failure, il successo duraturo arriva solo a chi accetta la sperimentazione e l’errore: “Il mondo è troppo complesso per avere sempre ragione al primo colpo. L’adattamento, non la previsione, è la chiave.” Prendiamo ad esempio il capitalismo. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine “del secolo breve” (cit. J.H. Hobsbawm”) il modello capitalista sembrava aver trionfato. Globalizzazione, mercato unico, trionfo dell’economia delle borse. In realtà, ci siamo accorti che era solo la premessa della sua ascesa e fine, che viviamo ai nostri giorni. Il ritorno degli interessi imperiali delle superpotenze, dei sovranismi, il globalismo trasformato in mero controllo delle rotte e delle merci, l’incredibile crisi di debito statunitense che D. J . Trump sta cercando di risolvere a suo modo… il cigno nero è di ritorno! Non esiste una fine ma solo un traguardo, una fase che rappresenta un nuovo inizio. Tutto sta ad anticiparlo, vederlo, da cui tutto l’enorme interesse odierno alla geopolitica, alla intelligence economica e industriale, ecc.
In conclusione, essere resilienti significa sopravvivere, ma essere antifragili significa crescere attraverso le crisi. In un’epoca in cui l’imprevedibilità è la regola, chi amministra e chi è amministrato deve imparare dagli underdog, abbracciare l’incertezza, coltivare la sperimentazione e il pensiero critico. Devono diventare sistemi viventi, adattivi, imperfetti ma in continua evoluzione.
Perché come direbbe Taleb: “Il vento spegne una candela, ma alimenta un incendio.” È un cambio di paradigma, come scrive Margaret Heffernan in Uncharted: “Il futuro non è qualcosa da prevedere. È qualcosa da immaginare e costruire insieme, un passo alla volta.”
GIANLUCA GORI
