DENTRO LA MENTE – Difendere la ragione: perché l’umanità sta meglio di quanto crediamo
di SIMONE PAZZAGLIA ♦
In un’epoca dominata da crisi globali, polarizzazione politica, sfiducia nelle istituzioni e ansia climatica, sostenere che il mondo stia migliorando può sembrare non solo provocatorio, ma quasi offensivo. Eppure è esattamente questa la tesi che Steven Pinker – psicologo cognitivo, docente ad Harvard e prolifico divulgatore scientifico – argomenta in Enlightenment Now: The Case for Reason, Science, Humanism, and Progress. Con oltre settanta grafici, centinaia di dati storici e una solida architettura teorica, Pinker sostiene che mai nella storia l’umanità ha vissuto meglio di oggi, e che questo progresso non è casuale, ma il frutto diretto dei valori dell’Illuminismo: la ragione, la scienza, il libero pensiero e l’umanesimo laico.
Il libro si presenta come un vero e proprio manifesto per il XXI secolo. Contro il dilagare del pessimismo mediatico, del pensiero apocalittico e del nichilismo ideologico, Pinker propone una visione alternativa: l’ottimismo razionale. Un ottimismo che non si fonda su speranze vaghe o su slogan ideologici, ma su dati, tendenze storiche e risultati misurabili. Non si tratta, per lui, di negare le difficoltà, ma di ricollocarle in un quadro più ampio, in cui è possibile osservare una tendenza storica chiara: il miglioramento complessivo della condizione umana, in termini di salute, istruzione, sicurezza, diritti, benessere materiale e conoscenza.
Pinker non è un economista, né un filosofo morale, ma uno scienziato cognitivo. E proprio da questa prospettiva costruisce la sua tesi: i progressi dell’umanità sono spiegabili alla luce di meccanismi evolutivi, cognitivi e culturali che si sono amplificati grazie all’applicazione del metodo scientifico e alla diffusione dell’etica umanistica. L’Illuminismo, per lui, non è un periodo storico da studiare, ma un progetto ancora in corso, che merita di essere rilanciato proprio oggi, contro le derive irrazionali della politica, della comunicazione e della cultura.
In un mondo che sembra spesso sul punto di crollare – e che viene raccontato come tale ogni giorno – Enlightenment Now è una sfida al fatalismo e una difesa della lucidità. Una chiamata all’azione per chi crede che la ragione, la conoscenza e l’empatia possano ancora guidare il futuro.
Il mondo migliora (ma nessuno lo racconta) – I dati a favore del progresso
Alla base dell’argomentazione di Enlightenment Now c’è un assunto metodologico ben preciso: solo una lettura storica, comparativa e quantitativa dei fenomeni sociali può restituirci un’immagine accurata della condizione umana. Pinker propone un approccio che unisce il rigore dell’analisi statistica con la filosofia morale dell’umanesimo illuminista: migliorare il mondo significa ridurre la sofferenza e ampliare le opportunità di vita. E su questo terreno, i dati parlano con chiarezza.
Uno dei dati centrali riguarda la povertà estrema. Secondo i dati della Banca Mondiale e del progetto Gapminder, nel 1820 oltre il 90% della popolazione mondiale viveva con meno di 1,90 dollari al giorno (in dollari 2011, parità di potere d’acquisto). Oggi, questa percentuale è scesa sotto il 10%. Questo crollo non è episodico, ma il risultato di un processo storico accelerato negli ultimi decenni, grazie all’integrazione economica globale, all’aumento della produttività agricola, e alla diffusione dell’istruzione di base.
La mortalità infantile, altro indicatore sensibile del benessere sociale, ha seguito un trend simile: nel 1950, nel mondo morivano circa 195 bambini ogni 1.000 nati vivi; nel 2016, il dato è sceso sotto i 40. Anche in regioni ad alto rischio, come l’Africa subsahariana, la tendenza è chiara: i tassi di sopravvivenza infantile migliorano in modo consistente, grazie a vaccinazioni, antibiotici, accesso all’acqua potabile e nutrizione.
In ambito sanitario, Pinker evidenzia l’aumento sistematico dell’aspettativa di vita alla nascita: nel 1900, la media globale era di circa 31 anni; nel 2015, ha superato i 71 anni. Il miglioramento non riguarda solo i paesi sviluppati, ma si estende progressivamente anche ai paesi a medio e basso reddito, grazie alla diffusione delle tecnologie mediche e della medicina preventiva. Similmente, il tasso di decessi per guerre, omicidi e genocidi – calcolato in rapporto alla popolazione – mostra un netto declino nel lungo periodo, come già documentato dallo stesso Pinker in The Better Angels of Our Nature.
L’alfabetizzazione globale è un altro indicatore straordinario di progresso: nel 1800, meno del 15% della popolazione mondiale era alfabetizzata; oggi si supera l’85%, con punte prossime al 100% tra i giovani in molti paesi. Questo dato non implica solo accesso alla lettura e scrittura, ma una capacità crescente di accedere all’informazione e di partecipare attivamente alla vita civile e politica.
L’analisi si estende anche a dimensioni meno visibili ma cruciali, come i diritti delle donne, la libertà di espressione, la democratizzazione e la riduzione della discriminazione istituzionale. Pinker presenta indicatori sulla percentuale di paesi con leggi antidiscriminatorie, sulla partecipazione femminile all’istruzione superiore, sul numero di elezioni libere e sul calo della pena di morte e della tortura legalizzata.
Tutti questi progressi vengono tracciati con fonti aperte, comparabili e indipendenti: Human Development Reports, World Bank Open Data, OECD Statistics, Uppsala Conflict Data Program, UNESCO Global Education Monitoring Report. Pinker non nega che esistano problemi gravi – cambiamento climatico, disuguaglianze, populismi – ma sostiene che una valutazione razionale del presente deve tenere conto dei trend storici, non solo delle emergenze mediatiche.
Ed è proprio su questo punto che il libro si scontra con la percezione comune: perché se i dati indicano miglioramenti così netti, la maggior parte delle persone crede che il mondo stia andando a rotoli? Pinker risponde attribuendo la responsabilità a due grandi fattori: il bias di negatività (la tendenza evolutiva a prestare più attenzione alle minacce) e l’economia dell’attenzione, in cui i media privilegiano storie drammatiche, violente o eccezionali, perché generano maggiore engagement.
Il risultato è una distorsione cognitiva sistemica: anche individui istruiti, persino esperti e accademici, sottostimano costantemente i progressi reali compiuti dall’umanità. E questa visione distorta non è innocua: può portare a cinismo, disfattismo, paralisi dell’azione politica. Al contrario, una visione razionale del mondo – lucida, documentata, statisticamente fondata – è la base per continuare a migliorare, con strumenti efficaci e obiettivi misurabili.
La ragione come motore – Difesa della razionalità contro il pensiero tribale
Steven Pinker fonda la sua visione illuminista del progresso su tre pilastri: scienza, umanesimo e ragione. Tra questi, la razionalità occupa un posto centrale, sia come facoltà cognitiva che come metodo culturale. Per Pinker, la razionalità non è solo un mezzo per costruire teorie scientifiche, ma una pratica sociale che consente il confronto di opinioni, la critica reciproca e la costruzione cooperativa della conoscenza. Senza razionalità condivisa, non è possibile né progresso né democrazia.
Nel contesto contemporaneo, tuttavia, la razionalità è spesso sotto attacco. Pinker individua diversi nemici, interni ed esterni. Da un lato, le tendenze tribali della mente umana: l’istinto a difendere il proprio gruppo, a confermare le proprie credenze, a interpretare le informazioni in modo selettivo e motivato. Si tratta di bias cognitivi ben documentati dalla psicologia sperimentale: confirmation bias, motivated reasoning, group polarization. Questi meccanismi, radicati nella nostra evoluzione, ci rendono cattivi statistici e ottimi avvocati delle nostre convinzioni.
Dall’altro lato, vi sono correnti culturali che hanno abbandonato la razionalità come valore: il relativismo epistemico, l’irrazionalismo postmoderno, il nichilismo informativo. Pinker critica esplicitamente le scuole di pensiero che negano la possibilità di verità oggettive o di metodi condivisi per valutarle, accusandole di avere indebolito la fiducia pubblica nella scienza, nei dati e nel dialogo razionale. Il risultato è una crescente frammentazione cognitiva, in cui ogni gruppo costruisce la propria “verità”.
La razionalità, secondo Pinker, non va idealizzata, ma coltivata attraverso istituzioni, pratiche educative e ambienti cognitivi favorevoli. La democrazia liberale stessa si fonda sul presupposto che gli esseri umani, pur con i loro limiti, possano deliberare su base argomentativa, pesare alternative, costruire consenso sulla base dell’evidenza. Quando questo presupposto viene meno, la politica si trasforma in lotta identitaria, e vince chi grida più forte, non chi argomenta meglio.
In questa cornice, la razionalità assume anche un valore etico: non è solo uno strumento per “avere ragione”, ma un atteggiamento mentale che riconosce la fallibilità delle proprie idee e la possibilità di apprendere dagli altri. Pensare razionalmente significa esporsi alla revisione, accettare l’evidenza contraria, rifiutare le spiegazioni semplicistiche e le teorie del complotto. È, in definitiva, un esercizio continuo di autocorrezione.
Pinker propone quindi una razionalità pubblica strutturata, che si esprime nel metodo scientifico, nella logica argomentativa, nella trasparenza decisionale. La sua difesa della ragione non è puramente filosofica, ma radicata nella psicologia cognitiva e nelle scienze sociali: la razionalità funziona non perché siamo perfetti, ma perché abbiamo costruito strumenti e istituzioni che ci aiutano a correggere i nostri errori.
In un’epoca segnata da polarizzazione, disinformazione e sfiducia nelle fonti, Enlightenment Now rilancia la razionalità come infrastruttura della civiltà. Non si tratta di essere freddi calcolatori, ma di riconoscere che la nostra miglior speranza di cooperare, prosperare e risolvere i problemi comuni è usare la mente come strumento di verità, non come arma ideologica.
Scienza, umanesimo e la politica del progresso
Nel cuore della tesi di Steven Pinker c’è un binomio che potrebbe sembrare inusuale ma che, secondo l’autore, ha reso possibile la rivoluzione della modernità: scienza e umanesimo. Non si tratta solo di due concetti astratti o ideali filosofici, ma di due approcci complementari che hanno trasformato concretamente la condizione umana, e che costituiscono, ancora oggi, il fondamento operativo del miglioramento collettivo.
La scienza, per Pinker, non è una narrazione fra le altre, ma il miglior metodo che l’umanità abbia mai inventato per comprendere la realtà e risolvere problemi complessi. Non funziona perché produce verità assolute, ma perché è autocorrettiva, trasparente, cumulativa, falsificabile. I progressi nella medicina, nella nutrizione, nella tecnologia energetica, nelle previsioni climatiche, nella sicurezza alimentare o nella gestione delle epidemie non sono frutto di ideologie, ma di ricerca empirica sistematica e verificabile. Pinker è esplicito: dove la scienza entra, la sofferenza si riduce.
Eppure la scienza, da sola, non basta. Ha bisogno di una bussola morale, di una finalità normativa. Ed è qui che entra in gioco l’umanesimo: l’idea che ogni individuo, per il solo fatto di essere umano, meriti rispetto, libertà, dignità e opportunità. L’umanesimo, erede dell’Illuminismo e delle rivoluzioni morali della modernità, offre il principio guida secondo cui la riduzione della sofferenza e l’espansione della possibilità di fiorire sono fini legittimi dell’azione pubblica e privata.
Secondo Pinker, la politica del progresso nasce proprio da questo intreccio: una scienza che produce conoscenza affidabile, e un umanesimo che orienta tale conoscenza verso il miglioramento delle condizioni di vita per il maggior numero possibile di esseri umani. Questo approccio ha già dato frutti visibili: la mortalità materna e infantile in calo, le campagne di vaccinazione globali, la riduzione dell’estrema povertà, l’accesso all’istruzione per le bambine, la tutela dei diritti civili e delle minoranze. Nessuno di questi risultati è perfetto, ma tutti sono frutto di politiche fondate su dati e valori condivisi.
Un elemento cruciale del ragionamento di Pinker è la traduzione del progresso morale in termini quantitativi. Non si tratta solo di “valori”, ma di misure osservabili: quanto si vive, come si vive, chi ha accesso a cosa, in quali condizioni. In questo senso, Enlightenment Now è anche un libro di metodologia: invita a valutare le politiche pubbliche sulla base delle loro conseguenze documentabili, e non della loro retorica. L’azione etica, in questa prospettiva, è strettamente legata alla valutazione empirica.
Pinker è consapevole delle critiche: la scienza può essere usata anche per fini distruttivi; l’umanesimo può essere strumentalizzato. Ma sostiene che la risposta non è abbandonare questi principi, bensì difenderli meglio, con più rigore e consapevolezza. In un mondo in cui il pensiero magico, le pseudoscienze, l’irrazionalismo spiritualista o il fanatismo politico prendono piede, restituire legittimità alla scienza e all’umanesimo è un atto di resistenza culturale.
L’intersezione tra questi due assi produce anche un effetto di tipo politico: una visione della democrazia come strumento per massimizzare benessere, giustizia, trasparenza e resilienza collettiva. Non una democrazia fondata solo sul voto, ma una democrazia fondata sulla conoscenza, sulla deliberazione razionale e sull’empatia per l’altro.
In definitiva, per Pinker la scienza è il “come”, l’umanesimo è il “perché”. Solo insieme possono offrire una base solida per affrontare le sfide del presente: dal cambiamento climatico alla salute globale, dalla disuguaglianza tecnologica alla disinformazione di massa. E l’alternativa non è tra progresso e decrescita, ma tra politiche fondate su realtà misurabile e politiche fondate sull’illusione.
Le critiche all’ottimismo – Limiti e risposte
Per quanto fondato su un ampio apparato di dati e su una solida struttura argomentativa, Enlightenment Now ha suscitato critiche profonde, provenienti da diverse tradizioni culturali e politiche. Alcune mettono in discussione la validità empirica delle tesi di Pinker; altre, più filosofiche o politiche, contestano le implicazioni ideologiche di una narrazione così esplicitamente positiva del progresso umano. Steven Pinker, da parte sua, non si sottrae al confronto: molte delle obiezioni più note sono anticipate e contro argomentate nel testo stesso.
Una prima critica – spesso formulata da pensatori progressisti o ambientalisti radicali – riguarda la sottovalutazione dei rischi globali, in particolare il cambiamento climatico, la crisi ecologica e il degrado degli ecosistemi. Pinker riconosce la gravità della minaccia ambientale, ma respinge le narrazioni apocalittiche: sostiene che la paura, da sola, non è una strategia efficace, e che i problemi ambientali si affrontano con più tecnologia, più razionalità, più scienza – non con l’abbandono della modernità. In altre parole, il progresso ha generato rischi, ma offre anche gli strumenti per mitigarli, a condizione che vengano usati con intelligenza collettiva.
Un secondo fronte critico proviene da una parte della sinistra postcoloniale o decrescista, che accusa Pinker di universalismo eurocentrico, di cieca fiducia nel capitalismo liberale e di sottovalutazione delle disuguaglianze globali. Secondo questa visione, l’ottimismo razionale finisce per legittimare l’ordine esistente, ignorando i costi umani e ambientali della globalizzazione. Pinker risponde con dati: mostra che, al netto di tutte le criticità, la diffusione del commercio, delle istituzioni democratiche e delle tecnologie ha contribuito – anche nei paesi ex coloniali – a miglioramenti reali e misurabili. E aggiunge: vedere i difetti non deve farci negare i successi, né tantomeno portarci a rimpiangere sistemi meno liberi o meno produttivi.
Da destra, le critiche assumono spesso una forma culturale o spirituale: Pinker sarebbe, secondo alcuni, un tecnocrate positivista, incapace di cogliere il ruolo della religione, della tradizione e della spiritualità nella costruzione del senso. La sua visione illuminista sarebbe “fredda”, riduzionista, disincantata. A questa obiezione, Pinker risponde rivendicando un umanesimo morale secolare: non serve credere in entità metafisiche per difendere la dignità, i diritti, la cooperazione e la compassione. E sottolinea che molti dei progressi morali del mondo moderno – dall’abolizione della schiavitù all’emancipazione femminile – sono avvenuti in opposizione agli ordini religiosi tradizionali, non in loro nome.
Un’altra critica, più metodologica, riguarda l’uso dei dati: alcuni sostengono che Pinker selezioni indicatori che confermano la sua tesi, ignorando contesti ambigui, indicatori in calo o effetti a lungo termine ancora incerti. Questa è forse l’obiezione più seria, e Pinker la affronta in parte ammettendo che non tutti i dati mostrano miglioramento, ma la maggior parte degli indicatori globali fondamentali – salute, educazione, ricchezza, diritti, sicurezza – seguono tendenze storiche positive. Inoltre, difende l’importanza del metodo storico-comparativo: è solo guardando al lungo periodo che emergono le vere trasformazioni, mentre l’attenzione al breve termine genera pessimismo infondato.
Infine, c’è una critica filosofica più sottile: l’idea che l’ottimismo razionale possa produrre compiacimento, cioè una riduzione della tensione etica, della vigilanza, della spinta a migliorare. Ma proprio qui Pinker è più esplicito: l’ottimismo razionale non è una forma di autoindulgenza, ma un incentivo all’azione basata sui fatti. Sapere che il mondo è migliorabile – perché è già migliorato – ci motiva a continuare, non a fermarci. La storia del progresso, nella sua lettura, non è un arcobaleno inevitabile, ma un sentiero tortuoso che va protetto, mantenuto e ampliato.
Conclusione – Una nuova cultura dei fatti
Enlightenment Now è molto più di un saggio sul progresso: è un manifesto per la sopravvivenza della razionalità in tempi irrazionali. Steven Pinker non ci chiede di credere ciecamente nel futuro, né ci offre rassicurazioni consolatorie. Al contrario, ci propone una visione del mondo faticosa ma fondata, in cui le buone notizie non sono frutto dell’ideologia, ma di tendenze empiriche che dobbiamo imparare a riconoscere e valorizzare.
L’idea che l’umanità sia oggi più istruita, più sana, più libera e meno violenta che in qualsiasi epoca precedente può sembrare paradossale – soprattutto in un mondo iperconnesso che amplifica ogni crisi. Ma è proprio qui che Enlightenment Now mostra la sua forza: nel ricordarci che i dati non negano i problemi, ma li collocano nel contesto giusto. Non si tratta di smettere di preoccuparsi, ma di preoccuparsi meglio, in modo informato, proporzionato, orientato alla soluzione.
L’Illuminismo, per Pinker, non è un evento concluso, ma un progetto ancora attivo, che va difeso contro i nuovi dogmatismi: il tribalismo politico, il relativismo epistemico, l’antiscientismo, il fatalismo culturale. Il suo appello è tanto cognitivo quanto morale: guardare il mondo per quello che è, senza cedere al cinismo, senza farsi travolgere dal panico, e agire per renderlo migliore partendo da ciò che funziona. In questo senso, il libro è anche un atto di fiducia nell’intelligenza collettiva.
Per chi vuole approfondire, alcune letture consigliate in continuità con Enlightenment Now sono:
- The Better Angels of Our Nature (Pinker, 2011), sul declino storico della violenza;
- Rationality (Pinker, 2021), per una guida completa al pensiero critico e al ragionamento quantitativo;
- Progress: Ten Reasons to Look Forward to the Future di Johan Norberg, che aggiorna molti dati in chiave ottimistica;
- The Moral Arc di Michael Shermer, sulla lunga traiettoria dell’etica verso la giustizia;
- The Origins of Wealth di Eric Beinhocker, per un approfondimento evolutivo sul cambiamento economico e culturale.
In definitiva, Enlightenment Now ci invita a non confondere la consapevolezza con la disperazione, e a riscoprire un principio dimenticato: che pensare razionalmente è un atto di cura verso il mondo e verso le generazioni future.
SIMONE PAZZAGLIA
