LA MADRE II – SECONDA PARTE
di MARINA MARUCCI ♦
Questo secondo pezzo, dedicato ancora alla madre, fa parte di un romanzo, in via di stesura, che narra le vicende di tre donne del XX secolo: una nonna, una madre, una figlia, nate a Trastevere, celebre rione di Roma. E’ la storia delle donne della mia famiglia, ricca di aneddoti, di drammi e di gioie, che attraversa il “secolo breve”, recuperandone la memoria, il loro vissuto, le loro radici, perché è dalle persone comuni che vengono alla luce i momenti più veri di una storia collettiva che non dovremmo dimenticare.
L’occupazione tedesca era iniziata con affissi su i muri di Roma il seguente editto di Albert Kesselring:
«IL COMANDANTE IN CAPO TEDESCO DEL SUD :
ORDINANZA
- Il territorio dell’Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le Leggi Tedesche di guerra.
- Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate Tedesche saranno giudicati secondo il diritto Tedesco di guerra.
- Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato secondo il Tribunale di guerra.
- Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i franchi tiratorisaranno giudicati e fucilati per giudizio sommario.
- Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le Autorità italiane competenti con tutti mezzi, per assicurare alla popolazione il nutrimento.
- Gli operai italiani, i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi Tedeschi saranno trattati secondo i principi Tedeschi e pagati secondo le tariffe Tedesche.
- I Ministeri Amministrativi e le Autorità Giudiziarie continuano a lavorare.
- Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste.
- È proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate.
- Le Autorità e le organizzazioni civili italiane sono verso di me responsabili per il funzionamento dell’ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure Tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli Uffici Tedeschi.
Roma,11settembre1943
Firmato: Feldmaresciallo Kesselring. »
Tale editto fissava le regole di vita nella capitale , tradendo gli accorti controfirmati con gli ex alleati su “Città aperta”, il controllo tedesco divenne totale e Roma una città occupata : i mesi più duri raccontati dalla mia famiglia.
Prima del bombardamento del 19 luglio 1943 la città aveva goduto di una certa impunità, la guerra era nel Nord Europa, relativamente c’era stata in Sicilia, conquistata in poco tempo dagli Alleati, Roma viveva una sorta di immunità dovuta alla presenza della città del Vaticano, dei suoi monumenti e del Colosseo , oltre tutto era riconosciuta come Capitale dell’ex impero romano, e cioè culla della civiltà dell’occidente ma dopo l’occupazione da parte dell’esercito tedesco la popolazione conobbe il terrore.
Il 22 gennaio 1944 gli alleati sbarcarono ad Anzio e questo avvenimento rincuorò molti romani anche se la liberazione si fece attendere. I nazisti, disperati e sempre più incattiviti, intensificarono le ritorsioni, le angherie, le violenze, complici gli sbirri della polizia fascista. Tutto questo durò trentacinque settimane. In quel periodo su un muro di Trastevere apparve scritto :
“Americani tenete duro, che presto verremo a liberarvi”.
La mattina del 26 gennaio 1944 si diffuse la notizia della fuga dal carcere di Regina Coeli di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, catturati nell’ottobre 1943 e condannati a morte. Attraverso un’azione rocambolesca le formazioni socialiste erano riuscite a liberarli e portati in luoghi sicuri.
L’informazione colse di sorpresa mio nonno; ormai li aveva dati per spacciati ed aveva perso anche la fiducia nel popolo romano che non aveva risposto in modo attivo all’appello alla resistenza ma aveva assunto una posizione attendista.
L’esponente comunista Giorgio Amendola scrisse, dopo la liberazione, dell’atteggiamento generale della popolazione romana nei confronti dei partigiani:
«C’era, a proteggerci, la crisi del vecchio apparato statale, e c’era il generale atteggiamento di solidarietà assunto dalla popolazione. […] La grande maggioranza della popolazione romana era attesista, ben decisa a lasciar passare le settimane e i mesi prima dell’arrivo degli alleati senza farsi trascinare in faccende rischiose. Perciò nessuno parlava e tutti, tranne qualche spregevole eccezione, si facevano i fatti loro. Se poi nasceva il problema di aiutare un italiano, un patriota, un soldato a nascondersi per sfuggire alla persecuzione e all’arresto, allora generalmente non si tiravano indietro, e molti cittadini romani furono trascinati così, quasi per caso, senza averlo deciso deliberatamente, nel vortice della lotta clandestina.»
Gli uomini non potevano uscire per andare a lavorare perché i rastrellamenti erano continui: mio nonno aveva chiuso la bottega da falegname e saltuariamente esercitava il mestiere in casa. Gli attentati partigiani erano sempre più numerosi, spesso condotti con i chiodi a quattro punte che servivano per forare i copertoni dei convogli nazisti ed era stati ideati da un fabbro trasteverino di nome Enrico Ferola, eroe della resistenza romana.
Linda continuava a lavorare come operaia presso l’Istituto Poligrafico dello Stato che nel 1928 era stato accorpato all’istituto di Carte e Valori: ora era lei che aveva un salario fisso.
Mia madre, schioccata dall’effetto collaterale subito dai bombardamenti, aveva paura di uscire. Appena sentiva il crepitare delle armi dell’esercito tedesco che imperversava nelle strade per le continue razzie, le raffiche delle mitragliatrici dalle quali i giovani fuggivano, le voci gutturali dei nazisti che parlavano una lingua sconosciuta, ma dall’effetto terrificante, correva terrorizzata a rifugiarsi nella cantina- ricovero. I genitori, per proteggerla, decisero di tenerla in casa e non farle continuare gli studi, così terminò il suo ciclo di apprendimento, tanto ad una donna e futura madre servivano a poco.
Una mattina Silvana vide Federico che rientrava dalla scuola, gli corse incontro e, spinta dalla curiosità, più forte del panico, lo fermò nel cortile:
« Ma tu vai ancora a scuola? Non sei preoccupato?»
« Ho paura, si che ho paura! Mia madre ha detto che dobbiamo resistere, che il Duce tornerà e farà piazza pulita degli Americani, ma io non ci credo »
« A me non mi mandano più a studiare, dicono che se dobbiamo morire, con tutti questi bombardamenti dobbiamo morire tutti insieme » rispose Silvana, mentendo al suo amico ed anche a se stessa su i reali motivi della decisione presa dai genitori.
« Senti, lo sai cosa mi ha chiesto lei? – disse Federico, indicando la sua finestra.
« Lei chi?»
« Come chi? Mia madre – avvicinandosi e parlandole sottovoce – mi ha detto di chiedere ai miei compagni di classe se i loro genitori parlano male di Mussolini e dei nazisti, così poi lo riferisce a mio padre che stà a Salò. Ma io non la faccio mica la spia, mi ha pure imposto di non parlare più con te, perché sei una sovversiva, come tuo padre.»
Silvana lo guardò, istintivamente fece una smorfia con la bocca, tirando fuori la lingua ed insieme si misero a ridere. Soltanto l’incoscienza della gioventù crea situazioni simili, momenti di complicità, in cui neanche la guerra impedisce alle persone di ridere e sorridere.
Il 23 marzo 1944 ci fu l’attentato in Via Rasella, da parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) protagonisti della guerriglia urbana clandestina, collegata alle Brigate Garibaldi. La resistenza decise di attaccare, con un ordigno esplosivo, la colonna del III battagliane del reggimento Bozen, addestrato in funzione antipartigiana. In quella situazione di guerra, dopo mesi di rastrellamenti, torture e violenze, con i supporto dei fascisti della RSI (Repubblica Sociale Italiana), quella fu la risposta dei romani che si opponevano in modo attivo alle forze di occupazione e che lottavano per la liberazione dal nazi- fascismo. L’esplosione causò la morte di 33 soldati tedeschi, 100 furono feriti, 2 passanti rimasero uccisi e altri 4 civili morirono per la reazione dei tedeschi dopo lo scoppio.
Per rappresaglia il giorno successivo l’esercito tedesco trucidò alla Fosse Ardeatine 335 prigionieri o rastrellati , tutti civili di cui 75 ebrei.
Dopo qualche giorno Federico bussò alla porta di Silvana.
« Hai sentito? I nazisti hanno ammazzato tante persone, perché voi avete ucciso i soldati tedeschi»
« Voi chi?- rispose Silvana »
« I partigiani no?»
« Non so chi sono i partigiani, ma siamo in guerra e come dice mio padre, non si può fare altro per liberarci dall’occupazione nazista, siamo patrioti, Noi».
« Ieri ho sentito al telefono mio padre, ha detto che quando tornerà il Duce, tra poco, perché gli Americani sono ancora fermi ad Anzio, metteranno al muro la gente come voi»
« Senti, spero proprio che vincano loro, io non voglio tornare a quelle adunate dove marciavamo come piccoli soldati e dovevamo obbedire. Mi sembra che anche tu la pensavi come me!»
Federico la guardò intensamente, abbassò lo sguardo e con un fil di voce le disse:
« Però quando torna mio padre non dirglielo, sei mia amica vero?»
Silvana lo fissò con tenerezza, lui era veramente rimasto un bambino, invece lei, come molte donne cresciute in periodo bellico era già diventata grande, più matura, malgrado l’ansia e lo spavento, come era accaduto a sua madre.
Dopo la fine della guerra, documenti storici, studiosi e come ammise lo stesso Comandante Kesselring, la strage delle Fosse Ardeatine non fu preceduta da un appello alla popolazione romana, né prima dell’esecuzione venne diramato un avvertimento nei confronti dei GAP affinché si consegnassero per evitare la rappresaglia, ma fece parte di una strategia complessiva che i nazisti, con il fattivo aiuto dei fascisti, attuarono in tutta Italia, tra l’autunno del 1943 alla primavera del 1945.
Fin dai primi anni della seconda guerra mondiale la disorganizzazione delle autorità civili, nella gestione della distribuzione dei generi alimentari razionati, favorì il mercato clandestino o mercato nero. La penuria dei viveri provocò la risalita dei prezzi, se un chilogrammo di pane nel 1938 costava lire 1,80 nel 1943 arrivò a costare lire 8,50 ; la pasta che costava lire 3 al chilogrammo salì nel 1943 a 9 lire.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre poi il mercato clandestino arrivò a proporzioni inimmaginabili, diviso tra il sud d’Italia in mano agli alleati e il centro nord occupato dall’esercito tedesco, tant’è che le autorità italiane furono costrette ad accettare il fenomeno proprio per l’impossibilità di gestire le scorte alimentari e rifornire la popolazione.
Da Roma spesso si andava nelle campagne, per comprare a caro prezzo prodotti agricoli dai contadini che a volte li barattavano con i beni personali delle famiglie, così furono svenduti interi patrimoni per assicurarsi lo stretto necessario alla sopravvivenza.
Il fratello di mia nonna, Ernesto, con il suo negozio di macelleria, era riuscito ad organizzare un vero e proprio mercato clandestino di prodotti alimentari; le vittime erano soprattutto la piccola borghesia cittadina e impiegatizia, colpita dall’inflazione e dalla impossibilità di barattare beni di propria produzione.
La moglie dello zio Ernesto percorreva spesso i vicoli del quartiere, per consegnare, a suo rischio e pericolo, i viveri venduti a borsa nera. Mia madre la osservava dalla finestra della sua casa, che si apriva sul mercato di San Cosimato, la vedeva gesticolare insieme alle signore ben vestite e subito dopo tornare con involucri poco voluminosi ma abbastanza identificabili. A volte, lo zio, di sera, forse di nascosto dalla moglie, soprannominata dagli abitanti del rione la Comandante, lasciava a mia nonna, in cambio di un piccolo compenso, le mancate consegne di coloro che non avevano potuto pagare l’elevato costo di quell’attività di approvvigionamento. Quindi a casa di mia madre non soffrirono la fame, cosa che era accaduta nella “ grande guerra” ma certo non si arricchirono, come invece fece il fratello di mia nonna.
Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1944 le truppe alleate riuscirono, dopo una sanguinosa e dura battaglia a sfondare il fronte a Cassino, caposaldo della linea Gustav che divideva la penisola in due. A conclusione di quell’episodio bellico, trascorsi alcuni anni, si venne a sapere che i Gourmiers nordafricani, gli irregolari al seguito del Corpo di spedizione francese del generale Alphonse Juin, avevano seminato l’orrore con stupri e saccheggi in Ciociaria e le donne che ne avevano subito le conseguenze vennero etichettate come ”Le Marocchinate”.
Nei giorni successivi si era diffusa a Roma la notizia dell’avanzamento degli alleati, e si aspettava da un momento all’altro l’entrata degli americani nella città eterna. I bombardamenti erano continuati ma in forma ridotta, i tedeschi si stavano ritirando e la popolazione attendeva ansiosa. La mattina presto del 4 giugno 1944 mia madre sentì l’eco di forti esplosioni che svegliarono tutta la famiglia così si precipitò, come al solito, nel rifugio ed aspettò. Ci fu un lungo silenzio, le mitragliatrici tacevano, il rumore delle bombe ad alto potenziale era scomparso, molti scesero in strada, i vicoli di Trastevere si riempirono di gente, tutti volevano avere notizie, ma nessuno era in grado di darle. La confusione era totale, poi qualcuno disse che le truppe americane, comandate dal Generale Clak, erano alle porte e stavano risalendo dall’Appia.
“Non solo desideravamo l’onore di prendere la città, ma ritenevamo di meritarlo….non solo volevamo diventare il primo esercito dopo quindici secoli a prendere Roma da sud, ma volevamo che la gente del posto sapesse che era stata la V° armata a compiere l’impresa. ( Mark Wayne Clak, dalle sue memorie di guerra).
Mia madre, richiamata dai suoi genitori finalmente uscì dalla cantina: era una bellissima giornata di sole, stavolta alzò lo sguardo verso il cielo senza timore: non avrebbe più visto le scintillanti carlinghe degli aerei alleati tirare giù le bombe, né avrebbe sentito le laceranti sirene che avvertivano un imminente incursione aerea, ora si poteva respirare, per i romani l’incubo era terminato.
Corse dal suo amico Federico ma l’uscio del loro appartamento era sbarrato. Lui, insieme alla madre erano fuggiti alcuni giorni prima, in segreto, verso il nord Italia, forse a Salò, commentarono i vicini, sperando ancora nella vittoria del Terzo Reich.
L’operazione che portò alla liberazione di Roma costò 18.000 perdite agli americani, 14.000 ai britannici, 10.000 ai francesi e 11.000 ai tedeschi. Da parte italiana 1.581 carabinieri furono arrestati durante l’occupazione, 1.023 ebrei deportati dal Portico d’Ottavia , 335 vittime delle Fosse Ardeatine, 683 deportati in Germania, 66 patrioti fucilati a Forte Bravetta, dieci donne uccise per aver assaltato un forno. Quel giorno stesso, l’esercito tedesco in ritirata sulla Cassia, fucilò il sindacalista socialista Bruno Buozzi e altri 14 partigiani detenuti a Via Tasso, il carcere dove torturavano i prigionieri.
I mesi successivi furono lunghi e difficili. L’Italia settentrionale era ancora in mano ai tedeschi e ai repubblichini e la borsa nera era esplosa: un altro esercito circolava a Roma, distribuendo cioccolata e sigarette. Per la prima volta si vedevano le zuppe in scatola, il DDT e gli accendini tipo zippo, c’era una gran voglia di pace, di ricominciare ma quasi un altro anno sarebbe trascorso dal giorno della liberazione definitiva del paese.
Alcuni giorni prima del 25 aprile 1945 mia madre sentì dei rumori provenire dall’appartamento di Federico. La porta della casa non era più sbarrata così si fece coraggio e suonò. Le aprì il suo amico che vedendola l’accolse con un sorriso:
«Siamo tornati, non siamo andati più a Salò come pretendeva mio padre, per fortuna. Dopo la liberazione di Roma siamo scappati prima a Napoli, dai parenti di mia madre, poi in Sicilia, perché come ha detto lei era più sicuro. Di lui e di mio fratello non abbiamo notizie da mesi, non so cosa pensare ma per fortuna tra poco tutto finirà»
Era dimagrito, era più alto, era cresciuto, ormai aveva diciotto anni, la guardò in modo strano ed aggiunse:
« Ora sei una ragazza, pure carina» osservò rallegrato.
Silvana non era abituata ai complimenti però le faceva piacere riceverli dal suo amico che ormai era quasi un uomo.
« Pure tu sei cambiato, lo spero anche nei pensieri»
Lui capì al volo a quali pensieri si riferiva ed invece di salutarla disse:
« Domani pomeriggio vediamoci sul pianerottolo, vuoi? Come facevamo una volta, ti racconto tutto, vedrai non ci sarà mia madre ad ascoltare. Dopo la caduta del fascismo, la guerra perduta e tutto il resto non si permette più di darmi ordini, per salvarsi la vita ha rinnegato pure le idee di mio padre, dice di averlo fatto per me , ma non le credo!»
Il 25 aprile 1945 alle otto del mattino il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista attraverso il famoso appello di Sandro Pertini diffuso da Radio Milano: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case delle nostre officine. Come a Genova e a Torino ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendesi o perire.»
La resistenza aveva organizzato simultanee azioni per la liberazione di Milano, e altre città del Nord, gli alleati avanzavano da Sud e il CLNAI avevo ormai il controllo delle principali città.
A Roma si diffuse una grande euforia, finalmente l’Italia si poteva dire liberata dal fascismo,
dall’esercito tedesco e la gente scese in strada.
Mio nonno Giulio, sulla scia delle notizie che la radio trasmetteva, decise proprio quel giorno di riaprire la bottega e ricominciare lì il suo lavoro d’artigiano. Così Silvana bussò alla porta di Federico, per dirglielo e per trascinarlo nei vicoli animati del rione; l’uscio dell’appartamento si aprì lentamente ma fece capolino la madre :
« Federico non c’è non so dove è andato » rispose timorosa
« Va bene, ditegli che l’ho cercato, arrivederci»
La donna la salutò mentre si guardava intorno in modo circospetto e chiuse la porta quasi senza fare rumore. Nel pomeriggio Federico la venne a cercare e seduti sulle scale del primo piano si raccontarono insieme gli ultimi giorni della loro guerra. L’ amico aveva ricevuto la notizia che i suoi famigliari erano ritenuti dispersi, come dire morti, dopo che i componenti della Repubblica di Salò si erano arresi. Lui non l’aveva presa male, anzi .
«Silvana, pensa se tornava mio padre e mio fratello, ancora più cattivi avrebbe sfogato su di me il loro rancore, sicuro. Certo un po’ mi dispiace, soprattutto per Francesco, così giovane. Mia madre oggi quasi non parla, ha paura di farsi sfuggire la rabbia di una fascista convinta»
« Prima lo eravamo tutti fascisti, per sopravvivere….»
« No, ma tu no – la interruppe- e neanche la tua famiglia, Voi, avevate ragione.»
Inaspettatamente le prese le mani e dopo averle strette tra le sue aggiunse:
«Lo sai cosa mi ha aiutato in tutti questi mesi, mentre correvo da una parte all’altra dell’Italia?- fece un grande sospiro – il pensiero di te, così ho capito che ti volevo bene, ma non come amica.»
Silvana rimase perplessa, non l’aveva mai pensato come un possibile fidanzato, lui era solo il suo amico, grassoccio , pasticcione , inadeguato, ma forse non aveva mai immaginato un ragazzo da amare e da cui essere amata.
Ad un tratto sentirono un forte rumore, provenire delle scale superiori, mia madre si spaventò e come un riflesso condizionato corse verso il rifugio antiaereo dello stabile, ormai chiuso. Federico la raggiunse, cercò di calmarla ma il ricordo della paura causata dai bombardamenti e le conseguente da lei subite, la perseguitarono tutta la vita: nel profondo del suo inconscio lasciarono una traccia indelebile e la resero inerme di fronte alle malattie.
Il 28 aprile 1945 arrivò la notizia della morte di Mussolini, della sua amante Clara Petacci e di altri gerarchi fascisti. I loro corpi esposti a Milano, in Piazzale Loreto, luogo dal valore simbolico, sancirono la fine della seconda guerra mondiale in Italia, la fine dell’orrore e la possibilità di un nuovo paese, governato da leggi democratiche. Almeno questa era la speranza di molti.
MARINA MARUCCI
