“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – NOTTI MAGICHE

di STEFANO CERVARELLI ♦

Era l’otto giugno del 1990, poco più di 35 anni fa.

In un anticipo d’estate, un’alchimia misteriosa pervase il cielo d’Italia.

Un’alchimia alimentata e resa più affascinante dalle note della colonna sonora delle NOTTI MAGICHE cantate a squarciagola dal duo Nannini-Bennato.

Un’alchimia che doveva contenere in sé “componenti” misteriose, inimmaginabili perché portò, nel momento più importante, sotto i riflettori del mondo una carriera che senza Italia ’90, senza quelle NOTTI MAGICHE, vissute e cantate da un intero Paese, sarebbe stata, se non proprio da operaio del pallone, una carriera da onesto artigiano.

Se non fosse stato per sei piccole opere d’arte, indelebili nella storia del nostro calcio.

Totò Schillaci  era un ragazzo del Cep, acronimo che sta per Coordinamento edilizia popolare; un quartiere di casermoni popolari a Palermo negli anni cinquanta; un luogo da dove si partiva senza potersi permettere il lusso di sognare in grande e dove, a metà degli anni sessanta, mentre Salvatore nasceva, per molte famiglie era tanto riuscire a mettere in tavola il risultato, magro, di tanti lavori umili, irregolari, certamente malpagati, al limite della saltuarietà.

Totò poteva ritenersi fortunato, suo padre era un modesto impiegato comunale con lo stipendio, poco, ma sicuro a fine mese; lui alla stregua di tanti altri suoi coetanei, aveva più trasporto con il calcio di strada che con la scuola.

Era bravo però, tanto che l’anno prima dei mondiali, dalla serie B approdò alla Juventus per il volere di Giampiero Boniperti che lo mise a disposizione del mitico Dino Zoff allora allenatore dei bianconeri, che, a sua volta, non esitò a buttarlo nella mischia.

Salvatore non tradì la fiducia datagli e nel campionato 1989-90 finì quarto nella classifica marcatori dietro a Marco Van Basten, Roberto Baggio e Diego Maradona. Non certo poco per un ragazzo del Cep.

Eppure sembrava non bastare, infatti quando Azeglio Vicini lo convocò i Nazionale non venne ancora considerato uno del gruppo; lo divenne a Mondiale in corso a suon di goal: uno a partita nel momento più importante.

Piccolo, con il suo metro e 75 scarmigliato, illuminato da un “gigantesco” occhio di bue nei giorni in cui tutto il mondo guardava lì, al Mondiale, all’Italia.

Notti Magiche inseguendo un goal, urlava il tormentone estivo nazionale e lui, il ragazzo del Cep, formatosi nelle vie dei quartieri popolari di Palermo, quei goal l’inseguiva, altro che, e li raggiungeva.

In un Mondiale che si pensava fosse stato disputato all’insegna di Gianluca Vialli e Roberto Baggio, l’intesa finì per essere a tre, con Totò finalizzatore delle geometrie, delle invenzioni costruite ed inventate dai due grandi compagni rubando loro, con istinto rapace, la gloria.

Questo non ha impedito a lui e Baggio di costruire un’amicizia che è durata nel tempo; fu proprio Baggio a donare a Schillaci vicinanza nel corso della sua malattia e rendergli omaggio nella morte. Paradossalmente il campione e l’artigiano avevano costruito un legame di amicizia in tempi lontani quando, sebbene diversissimi, venivano entrambi, misurati con sguardi che li “pesavano” li misuravano, valutavano, o per dir meglio, tentavano di farlo, la loro forza fisica, per arrivare alla conclusione che fossero troppo leggeri per sfondare nel calcio che contava.

Con Gianluca Vialli, coetaneo e segnati dallo stesso destino crudele, erano proprio agli opposti sociali. Totò figlio del degrado della periferia urbana del Sud, Gianluca figlio della prosperità della campagna basso-cremonese.

Ed allora come non ricordare ciò che li ha uniti?

Come non ricordare l’assist che Vialli fece a Schillaci in Italia-Austria?

Un assist che ha fatto svoltare il Mondiale, sbloccandolo, permettendo inoltre a Totò bravissimo a cogliere l’attimo, di dare anche una svolta alla sua vita.

Il torneo finì con la nostra eliminazione in semifinale ad opera di Maradona e per Schillaci fu la fine di una magnifica avventura.

Per lui può darsi che non sia stato facile, uscire presto, nel giro di qualche grigia stagione passata tra Juve e Inter, da quell’icona e rientrare nella dimensione precedente, nell’ordinarietà, seppur dorata quando al contrario il mondo esigeva da lui, ogni domenica le prove offerte ai mondiali.

A rendergli più difficoltoso il rientro nel calcio di sempre fu poi una vicenda giudiziaria che vide implicato il fratello. Arrestato durante un’indagine per furto.

Un episodio che, purtroppo, non mancò, nel mondo delle curve, dove l’eleganza non trova certo cittadinanza, di creare cori alquanto ironici nei suoi confronti come dire: noi ti osanniamo, noi ti distruggiamo.

A ferirlo ulteriormente poi è arrivata  la crisi del primo matrimonio, amplificata dalla sua fama ancora planetaria, e coincisa, guarda caso come a tanti suoi colleghi, con il declinare della parabola agonistica, finita, di fatto, in Giappone.

Poi furono solo comparsate, non molto felici ma che per il solo fatto di essere ancora nello spettacolo dimostrano che Totò Schillaci era rimasto un simbolo per tutti, nel cuore di tutti.

La malattia gli ha fischiato la fine della partita il 18 settembre 2024 nell’ospedale civico di Palermo. Il ragazzo del Cep sapeva che il calcio gli aveva cambiato la vita e volle essere riconoscente;

nel 2000 fondò una scuola calcio a Palermo, impegnandosi poi nel 2017 per l’Assante calcio una squadra di giovani migranti iscritta al campionato di terza categoria. I mondiali 1990 lo fecero diventare importante, gli portarono soldi, grandi squadre, vita stupenda. Era solito dire che non l’avrebbe barattati con nulla al mondo: ha avuto ragione.

Non potremo mai dimenticare quegli occhi spalancati che sprigionavano esultanza.

Sono divenuti una delle icone più celebri dello sport; al pari dell’urlo di Tardelli; del dito alzato di Mennea; della rovesciata di Piola, del salto di 8,90 di Bob Beamon, dello scambio di borraccia tra Bartali e Coppi.

Quegli occhi spiritati ci hanno avvicinato al viso di Dorando Petri, sorretto mentre stava per tagliare il traguardo e poi squalificato alle olimpiadi di Londra del 1908, come lui anche Totò diventò eroe senza vincere. Con quello sguardo spiritato Schillaci è stato l’incarnazione della speranza, la speranza che prima o poi sarebbe passato,  per tutti ragazzi che sostano ai bordi delle periferie il treno giusto, da prendere al volo. Totò è stato tutti loro, perché prima era stato uno di loro.

Magari non sarà vero che quel treno passa per tutti, ma a volte basta sperarlo, sognando per interposta persona, per “superare” al meglio una quotidianità difficile: giorno per giorno.

Chi non ama lo sport non può capirlo, ma tutti gli altri lo sanno.

STEFANO CERVARELLI