“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – QUATTRO GOL PER LA GLORIA.

di STEFANO CERVARELLI ♦

Ma sì!

Facciamo contenti i nostri amici e le nostre amiche tifosi e tifose dell’Inter!

La loro squadra lo merita perché dopo 120 minuti giocati sotto una pioggia battente, ha sconfitto il Barcellona, conquistando così a finale di Champions League. È stata dura partita dai contorni epici, dove si sono gustati i sapori antiche del calcio; una vera battaglia, dove ad un certo momento sì è capito che la vittoria sarebbe andata a chi avrebbe avuto più forza morale, più resistenza fisica, più determinazione, a chi, in poche parole, sarebbe “rimasto in piedi”, al pari di un violento, avvincente incontro di boxe.

Di certo è stata una delle più belle partite della storia della Champions League, un incontro che nei suoi continui capovolgimenti di fronte, nel continuo alternarsi nel vantaggio, non ha potuto non ricordarci  una partita per la verità ancora più storica ed emozionante: Italia-Germania dei Mondiali del 1970 conclusasi, anche quella, 4-3 per l’Italia. Questa in una calda notte d’estate, la prima in una serata che di  primavera non aveva niente, disputata sotto una pioggia incessante ma della quale i protagonisti in campo sembrava proprio che non se ne accorgessero, tanto alto il loro tono agnostico.

In una partita di tale portata, in una atmosfera del genere non è facile individuare protagonisti che sono stati capaci di elevarsi al di sopra degli altri, perché talmente alto il livello agnostico che distinguersi era veramente difficile.

 Allora, rivolgendo ovviamente la mia attenzione alla squadra vincente e pur riconoscendo il valore aggiunto degli altri protagonisti, Sommer in testa le cui parate sono valse come i goal segnati, ho pensato di parlarvi dei quattro autori dei goal di coloro che hanno “matato” il Barcellona.

Lautaro Martinez, Hakan Calhanoglu, Francesco Acerbi e Davide Frattesi.

Quattro “giocatori antichi” che con il loro glorioso passato hanno sopraffatto il futuro ( che si delineava meraviglioso) del Barcellona guidato dal suo gioiello, capace di virtuosismi e ricami con il pallone: Lamine Yamal.

Sono dicevo “calciatori antichi” per gesti, azioni, caratteristiche, al pari quasi dei Panda in un mondo che rotola via come l’oggetto con il quale si gioca i che cambia con velocità impressionante, che ti porta a vent’anni  o poco più ad essere o no, fuori dai giochi.

 Per loro la partita a volte ha assunto toni drammatici e apprensivi  non tanto per gli errori, ma soprattutto  per le loro ultime gesta dettate dalla disperazione di una carriera di giocatori protagonisti di un mondo, il loro del quale, si rendevano conto,  essere alle ultime decisive battute, tipo “ adesso o mai più”

Lautaro Martinez.

Uno che vedrei bene nel film “Mission”, mentre naviga, insieme agli altri Indios, dalla faccia antica, sul fiume Iguazù contro gli invasori spagnoli; un coraggio fuori dal comune  i suo, una resistenza al dolore lo hanno spinto al più completo servizio alla squadra. Una dedizione ammirevole al lavoro chiesto gli dal suo allenatore che non vuole solo il pallone per puntare alla porta come un qualsiasi attaccante, ma è anche un trascinatore capace di aiutare il compagno in qualunque parte del campo: mai un assolutista. La sua presenza in campo è stata veemente un chiedere al proprio corpo un sforzo estremo, oltre i dolore. Eppure è stato lui a segnare la prima rete ed è stato ancora lui, bruciando pensate, sullo scatto Paulo Cabarsì, a procurare il rigore del secondo goal.

Non doveva giocare, il suo infortunio a detta di tutti, ne impediva l’utilizzazione, alla fine esausto anche per il continuo lavoro di aiuto ai compagni difensori, trascinava per il campo il corpo dolorante, ma inalterato nel suo spirito agonistico; veramente stremato esce dal campo, zuppo di pioggia e di applausi.

Hakan Calhanoglu

Gran bel rigore il suo.

Per la freddezza tenuta in un momento decisivo, per la lucidità con la quale ha vinto contro Szczesny, già portiere della Juventus, nel “duello” delle finte. Un giocatore, il nerazzurro giunto un po’ tardi alla ribalta delle prime pagine, probabilmente per via del tempo poco felice trascorso al Milan dove ha vissuto una vera crisi calcistica. Qui pur essendo considerato un talento, non è riuscito a sfondare, a diventare un campione, forse per via di un mancata continuità.

Poi per una serie di circostanze è arrivato all’Inter e oggi, se Inzaghi non l’avesse trasformato da mezzala in regista, la squadra nerazzurra non avrebbe il giocatore  delle soluzioni facili nei momenti difficili.

Chala ( il suo abbreviativo) disegna archi perfetti sopra le teste degli avversari, sa alzare il pallone come si faceva una volta, con precisione direi millimetrica, trova i compagni liberi. Inventa traiettorie, interpretando magnificamente il ruolo, come si dice oggi, di regista basso.

Il calciatore di origine turca è l’impersonificazione del concetto di realismo applicato al gioco del calcio, sa riunire estetica del gesto e visione di gioco; anticipo e decisionismo  senza perdersi in gesti e movimenti inutili. Giocatore dal lavoro grezzo, dedito alla marcatura ma anche, quando occorre, giocatore dai piedi buoni e dalla mente lucida e fredda. Non per mente  a tirare il rigore che valeva una stagione è stato lui

Francesco Acerbi

La partita sta per finire, manca solo un minuto, un minuto e l’Inter non andrà in finale. Il Barcellona, sicuro della vittoria, commette un grave peccato di presunzione: invece di difendere il vantaggio mettendo in campo un difensore cerca il colpo dell’umiliazione e fa entrare uno dei suoi attaccanti più forti.

Non sanno gli spagnoli che l’Inter ha un giocatore che si chiama Francesco Acerbi. E se lo sanno avranno pensato: “che vuoi che faccia un giocatore per di più non attaccante, stanco morto, a un minuto dalla fine?”.

Mai sottovalutare Francesco Acerbi.

Un giocatore capace di andare oltre il tempo di una partita ormai andata come andata è la finale.

Acerbi, l’ultimo dei “giocatori antichi” perché ultimo dei marcatori veri, con lui ritengo che si chiuda la tradizione italiana dei difensori. Il difensora, uno che ha ombre ma anche tanta luce e che riesce, come solo sanno fare i grandi giocatori, a farsi perdonare rapidamente ed ampiamente eventuali mancanze.

Come? Sembrerà strano ma nell’unico modo che sanno fare i difensori gettandosi nell’area avversaria, alla disperata. Qui devo precisare una cosa; nessuno meglio dei difensori sa cosa fanno gli attaccanti nell’area e dove si piazzano per colpire meglio, questo studio appartiene al loro lavoro.

Ed allora Acerbi sa cosa fare, per di più nessuno sembra curarsi di lui: povero difensore allo sbaraglio estremo!

Tutto è perduto, manca una manciata di secondi ma bastano per passare da tutti a casa davanti alla televisione a vedere la finale a coltivare il sogno di essere a Monaco a giocare quella finale.

Bisogna stare lì dove andrà l’ultimo pallone. Lui che il suo mestiere  è “ levare” il pallone dalla porta, se serve, se costretto sa pure come metterlo nella porta.

Quando occorre bisogna andare oltre se stessi e solo i grandi giocatori lo sanno fare. Acerbi è tra questi. Ha dimostrato di possedere una forza appartenente ormai a un calcio passato, uno che sa difendere, ma non ha timori ad andare all’attacco con i gesti e i tempi giusti. Si, perché a forza di togliere spazio e tempo agli attaccanti ha imparato a muoversi come loro e  dopo una vita passata a non far segnare, ha segnato il goal più importante della sua vita.

Davide Frattesi.

Per una notte si trasforma in Gianni Rivera, nel campione che tutti ricordiamo, ma certamente più tonico capace di fintare come lui, spiazzare un’intera difesa e  regalarci tutt’altro, emozionante, 4-3.

Viene per ultimo Davide Frattesi, come tutti i grandi attori entra sulla scena per ultimo regalando ai tifosi un gesto calcistico che trasforma la partita, ridotta oramai a una battaglia senza esclusione  di colpi, in un opera di puro teatro calcistico.

Colpo di scena il suo. Una comparsa che si erige a primo attore e recita la “ battuta” più importante, tra la sorpresa generale, con freddezza, eleganza, capacità d’interpretazione.

Un attore, Frattesi, al quale il suo allenatore Simone Inzaghi, non ha regalato molto il piacere della scena, ma che ha dimostrato che sulla scena ci sa stare e come.

Il centrocampista nerazzurro è grosso, alto (1,92) eppure riesce a trovare l’eleganza dei movimenti di un ballerino; inoltre è molto abile a sfruttare con la sua corsa, la sua elasticità il poco tempo che ha sulla scena, capisce che gli altri attori sul campo sono stanchi non può andare avanti così, no, non si può affidare la sorte  di un’epica battaglia alla lotteria dei calci di rigore: bisogna inventarsi qualcosa, occorre una magia.

Inzaghi lo percepisce e mette in campo Frattesi, lui è quello che risolve le partite, che sa trovare il gesto al quale  nessuno pensa, quello che va oltre ogni aspettativa con l’umiltà che lo contraddistingue: quella della comparsa.

Di lui ricorderemo la corsa sfrenata, “correvo e vedevo davanti agli occhi tutto nero” poi si è accasciato a terra, pardon: sulla  scena, mentre lo stadio Meazza esplodeva di gioia assistendo a quell’inaspettato, sorprendente…

Ma la sua Inter era in finale.

Spero che apprezzerete quest’articolo non tanto per le modeste note tecniche ma perché…..scritto da uno juventino !

STEFANO CERVARELLI