PASSANDO DAVANTI A UN PORTONE
di MICHELE CAPITANI ♦
Venerdì mattina ero in auto diretto a scuola, e avevo acceso la radio come faccio a volte, per sentire un po’ di Ruggito del coniglio visto che la strada Mediana era bloccata.
Ma altro che risate: c’era il notiziario, e mi sparò una notizia orrenda: non sapevo il nome della donna morta accoltellata il giorno prima nella nostra città, non era ancora uscito sui giornali, e quando ho sentito che era lei, ho provato una morsa al cuore, perché Teodora era stata una nostra alunna una dozzina d’anni fa, nella licenza media per adulti.
Mi sono meravigliato di provare tanta tristezza, di avere ricorrenti momenti in cui il groppo al cuore cercava di salirmi fino agli occhi per sfogarsi, durante la mattinata passata a scuola (anche l’altra collega che se la ricordava era rimasta sconvolta), perché in fin dei conti Teodora era una persona che ricordavo con simpatia ma che avevo perso di vista da qualche anno; sapevo solo che aveva continuato all’alberghiero e l’avevo intravista sporadicamente in città, come spesso accade nel piccolo centro.
Provavo una profonda tristezza anche solo a guardare le mattonelle all’angolo del corridoio, quelle della foto di questo post, corridoio in cui lei chissà quante volte camminò…
Cosa può dare tanta tristezza?
Forse il fatto che qualcuno abbia incrociato il nostro cammino e ci sia stato compagno di viaggio per un tratto, ecco cos’è. Perciò un pezzo di memoria nostra che va via, che viene ucciso, un pezzo di noi che viene tagliato e, per quanto piccolo, non può non causare un bruciore, non può non sanguinare.
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Dovevo far defluire il lago nero che mi si era formato in cuore, dunque l’ho detto a qualcuno, e ben presto ho notato che ognuno con cui comunicavo (la collega, la preside, l’amico, il negoziante) allargava le braccia, ma anche l’orizzonte: tutti quanti mi parlavano di quanto erano sconfortati nel vedere quanta violenza c’è nel mondo. Cioè, dal parlare di quella povera donna massacrata, subito e sistematicamente veniva da parlare delle guerre che ci circondano e a cui a volte sembra che non interessi a nessuno mettere fine. Condividendo lo sbalordimento per l’ennesima tragedia, io e l’interlocutore/ice, subito si commentava “Eh, ma con quello che succede nel mondo…”
Questo mi ha molto impressionato.
Cosa c’entra il genocidio di Gaza (e la mostruosità della nostra assuefazione a esso) con una poveretta che crepa dissanguata nell’androne di un palazzo in una città di provincia?
A quanto pare c’entra.
Se a tutti viene questo collegamento, c’entrerà in qualche modo.
Quei vermi che bombardano le ambulanze non sono dissimili da chi accoltella un’altra persona.
Chi va a messa col patriarca e poi ordina di radere al suolo una città non è diverso dal singolo omicida.
Le grottesche messinscene di chi non sa o non vuole dialogare per la pace non sono differenti da chi, in una coppia, non sa o non vuole dialogare.
E quindi?
Quindi niente, l’uomo sa anche essere assassino, è constatazione antica ma alla quale sarebbe bene non rassegnarsi, anzi dovremmo essere consapevoli che è dal singolo, dal cuore dell’uomo, dall’educazione dal basso che si parte.
Educazione affettiva, ai sentimenti, alle relazioni: tra tutti gli spropositi che si dicono sulla scuola, questo sarebbe qualcosa di concreto da fare. Non si risolverebbero le cose con uno schiocco di dita, ma ci si educherebbe a leggersi dentro, prima di tutto sé stessi, e poi l’altro, e la relazione. Ad accettarsi e accettare l’altro, anche quando se ne va da noi.
Non sarebbe roba da poco, in un paese dove ancora c’è gente che vede come uno stigma andare da uno psicologo (seh, vabbe’, qui pare un’utopia anche solo accennare all’educazione sessuale, figuriamoci! Siamo un paese molto arretrato, non so se ve n’eravate accorti).
Non è idealismo, anche se il cammino resta atrocemente lungo.
Perché le educazioni dall’alto servono a poco, e la pax romana non serve a niente.
O davvero vogliamo affidare la nostra sicurezza a quegli omuncoli che ci governano, e non solo di questo governo?
Perché un popolo ha i governanti che si merita, ne sono sempre stato convinto.
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Passando davanti a un portone, noto delle rose che mani amiche e addolorate vi hanno appoggiato. Il rosso di quei fiori ricorda il lago di sangue che pochi giorni fa ha inondato l’androne oltre il portone.
Un banalissimo portone in una viuzza del nostro centro cittadino, ma nel quale è successa una cosa che banale non è, seppure assurdamente ricorrente.
Ciao Teodora.
MICHELE CAPITANI