L’EUROPA ED IL NUOVO ORDINE MONDIALE
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Siamo al centro di un grande gorgo. Siamo nel momento del cambiamento del paradigma che ci ha caratterizzato finora. Siamo agli inizi di un “nuovo ordine mondiale”.
Come in tutti i momenti di svolta storici il cambiamento dovrebbe avvenire con il ricorso al conflitto. Così è stato sempre. Ma, al momento, lo strumento “polemico” per l’instaurazione del nuovo ordine è considerata, come tutti ben sappiamo, una opzione veramente di ultima istanza per via della nota deterrenza nucleare. Permane, come sperimentiamo da anni, la possibilità di conflitti tradizionali che, comunque, sono ad elevato rischio anche per chi si crede possibile vincitore dato la possibile escalation. Insomma la possibilità che il risultato finale di un conflitto sia simile ad un “gioco a somma zero”(ad un vincitore corrisponde un vinto) potrebbe essere trasformato in un drammatico “gioco a somma negativa” dunque, una situazione storicamente del tutto nuova.
Qual è il nuovo ordine? Semplicemente il venir meno del primato dell’Occidente nel mondo. Sia chiaro: Occidente significa Europa + Stati Uniti.
Il nuovo ordine vedrebbe l’Occidente sempre più indebolito dalla presenza di nuovi attori in netta ascesa: Cina, Russia, India ed il resto dei Paesi aderenti al Brics.
Questo il dato di fatto.
E’ possibile evitare del tutto il conflitto ed accettare questo nuovo ordine attraverso lo strumento alternativo dell’accordo su scala planetaria?
Fino a pochi mesi fa era questa una possibile opzione. Oggi il disorientamento provocato dal nuovo corso americano rende questo strumento incertissimo. Vediamo di articolare meglio.
Al momento del crollo del Muro con il collasso della Russia terminava la Guerra Fredda e l’Occidente a guida americana si poneva nella posizione di vincitore immaginando che ormai tutto il globo poteva essere omogeneizzato secondo lo standard neoliberista. Era l’ipotesi del dominio planetario dell’Economico e della tecnologia, del cosiddetto Stato-Mondo a guida occidentale (Europa+America). Errore gravissimo che ignorava o faceva finta di ignorare la formazione veloce di altre aree del pianeta, in particolare la Cina. Era quello il momento topico per prevenire in grande anticipo l’instaurazione tumultuosa e caotica del nuovo ordine. La posizione dell’Occidente a guida USA avrebbe potuto accettare il dato di fatto e porsi quale “federatore” dei nuovi equilibri che si prospettavano. Un ruolo di saggezza e che comunque avrebbe assicurato un primato fra pari. Ma ciò non è avvenuto (si ricordi la spavalderia contenuta nel testo “La fine della Storia” che indicava come irreversibile la definitiva via occidentale).
Oggi meno che mai possiamo sperare in un ruolo federatore da parte della nuova Amministrazione americana che sembra aggiungere caos al caos, rendendosi inaffidabile e ponendosi fuori dal concetto di Occidente lasciando sola l’Europa.
Al momento, dunque il mondo che conta sembra essere formato dal blocco dei paesi emergenti, dal blocco USA (America first) e da un Europa sempre più minacciata dai primi due.
In tale situazione non c’è dubbio che l’Europa sia lo spazio che rischia più d’ogni altro. Ma proprio questa situazione di rischio la pone in condizioni di porre in essere essa stessa quello sforzo federativo che riconosca il nuovo ordine formato da un mondo con più attori di primo piano. E’ veramente utopico pensare che l’Europa copra quello spazio lasciato aperto dagli USA? Aperto perché non dobbiamo farci ingannare dall’attivismo trumpiano: il suo ruolo non è quello della mediazione planetaria bensì quello di una cruenta azione “polemica” di stampo meramente commerciale (che è poi il suo mestiere originale).
Ma esistono per l’Europa le condizioni permissive per questa missione?
Dal punto di vista storico la condizione permissiva esiste. Dal punto di vista della volontà e capacità molti sono i dubbi. Esaminiamo il primo punto di vista.
Siamo noi europei una sedimentazione di strati all’interno dei quali la tradizione vive in noi. Noi siamo l’effetto di un passato fatto di lotte, di due guerre mondiali, di differenze di linguaggio, del modo di agire, della qualità dell’alimentazione, del modo di pensare e così via. Ma, nonostante tutto, disponiamo di una identità di non poco conto. Questo comune denominatore è lo spirito greco che ha posto come massima priorità la critica razionale nella ricerca della verità. Tutto deve essere giustificato in termini razionali (secondo il logos). Comportamenti, valori, modi ci concepire l’universo, idee su Dio, nulla può essere sottratto alla critica della ragione.
Questo spirito greco ha costretto una delle radici dell’Europa, il cristianesimo, a superare l’aspetto mitico ed elaborare una complessa ragione teologica: uno sforzo enorme di razionalità. L’Illuminismo, altra radice storica, è un ulteriore effetto della ragione. La ricerca teorica della scienza nella grande stagione che va dal ‘600 ai primi anni del ‘900 è, di nuovo, il trionfo della razionalità invocata dai greci. Il grande punto di arrivo di questo secolare esercizio della ragione è semplice ma profondo e consiste nella umile consapevolezza della enorme distanza del proprio sapere rispetto alla verità: questo è una immensa dichiarazione di saggezza che costituisce quel patrimonio indiscusso europeo che ha condotto alla ricerca continua.
Esiste, dunque, una sorta di primato dell’Europa che tede a cogliere la verità stessa e che costituisce una vera apertura verso l’infinito un andare oltre, un eccedere la realtà. In questo senso, soltanto in questo senso, possiamo parlare di primato senza cadere in un bieco eurocentrismo. Questa apertura ha condotto ad una impressionante serie di traguardi: al Diritto Universale, ai diritti civili, al Welfare State, alle democrazie, alla filosofia, alle scienze, alla critica ai fondamentalismi, all’arte, alla tolleranza, al rispetto dell’altro, al concetto di persona. Tutti effetti dell’esercizio critico della ragione!
Tuttavia, oggi noi possiamo amaramente asserire che siamo di fronte all’oblio dell’origine dello spirito europeo. L’Europa ha smarrito la radice prima entrando in una crisi profonda. L’Europa non comprende più lo spirito che l’ha posta in essere. Una volontà priva di scopi non può che condurre allo smarrimento, allo spaesamento (si pensi al populismo, alle nostalgie del passato non democratico). Contro questo dobbiamo reagire. Ed è questo ciò che sta accadendo. Nella crisi e nel momento di rischio le coscienze si destano.
Ecco, dunque, che accanto al riarmo (quanti anni dovremmo attendere?) necessita un balzo di orgoglio. Necessita la mobilitazione delle popolazioni al di là delle ideologie ormai inservibili, al di là dei meschini interessi personali. La deriva europea può essere arrestata , certo disponendo un giorno di un esercito unico, di una giustizia unica. Ma nell’immediato ciò che si può fare è giocare il ruolo che la storia ci consegna dopo secoli di lotte atroci per far vincere il logos.
Solo l’Europa può giocare questo ruolo. Non ha altre armi per competere, ora.
Dello spirito di Ventotene forse ora se ne può udire la voce e sapere dove va!
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Il realismo politico, disincantato e cinico ci suggerisce che è solo la potenzialità bellica a contare. Da ciò l’idea che per valere sia solo questione di armamenti. Disporre di un deterrente unificato è condizione necessaria ma non sufficiente. Senza l’uso della saggezza ereditata l’Europa non potrà mai reggere il confronto.
CARLO ALBERTO FALZETTI

Riflessione stimolante e del tutto condivisibile. Occorre uno sforzo dell'”intelligenza europea” per riposizionare il nostro ruolo in un sistema mondo complesso, contraddittorio e governato da logiche che non sono più governate dal nostro “logos”. Hic rhodus hic salta… Nicola Porro
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Io sono perplessa e confusa; il riarmo può davvero essere un deterrente? Questo riarmo quanto ci costa in risorse sottratte a tutto il resto? Non sarebbe meglio, appunto rispolverare i valori se non proprio perduti sicuramente spesso accantonati e portare avanti l’esercizio critico della ragione fino a contagiare il mondo?
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