Preparando la cuccia
di ANDREA BARBARANELLI ♦
— Adesso che abbiamo la casa, dobbiamo metterci i mobili, — disse Pilar.
Lo aveva già detto quando, un’ora prima, aveva cominciato la preparazione del primo pasto della giornata. Il caffè stava bollendo nel pentolino e le focacce di mais prendevano colore e consistenza sulla piastra di ferro. Il focolare era l’unica parte in muratura della casa, e Juan lo aveva costruito abbastanza alto da poterci cucinare stando in piedi; con la pancia che aveva, ora che era entrata nell’ottavo mese di gravidanza, era una bella comodità non doverlo più fare accovacciata.
Juan, seduto sull’amaca, con i piedi nudi che toccavano il pavimento di terra, si limitò a scuotere la testa, un gesto che poteva significare tutto e niente: conosceva troppo bene la donna per impegnarsi con una promessa. Faceva oscillare l’amaca di rete al ritmo della canzone di una radio che, tenuta a volume assordante tre o quattro baracche più in giù, li costringeva a gridare, se volevano capirsi. Il freddo umido della terra gli risaliva le gambe, e la sensazione era piacevole perché l’aria che entrava dalla porta spalancata era già torrida.
Ora lei aveva ripreso il discorso.
— Non voglio dire dei mobili veri e propri: mi contenterei di un letto.
— Abbiamo le amache, — obiettò Juan.
— Quando nascerà il bambino, non potremo tenerlo nell’amaca.
Juan pensò che il bambino, nell’amaca, sarebbe stato al riparo dai topi e da altre bestiacce nocive, ma non volle contraddirla. Le guardò i fianchi, mentre lei si girava con il bricco del caffè, e la compassione che provò per lei gli fece salire un groppo in gola.
— Non sei ingrassata quasi niente, in quest’ultimo mese, — disse, sperando che, in quel frastuono, lei non si accorgesse di come gli era cambiata la voce.
Cominciò a sorbire il liquido bollente. La donna punse con una forchetta le frittelle sul ferro rovente. C’era molto fumo, benché la porta fosse aperta, e avevano cominciato ad entrare le mosche.
— Dovresti mangiare di più, — osservò Juan, con circospezione.
— Per sprecare il cibo? — rispose Pilar. — Vomito tutto quello che mangio.
— Magari è solo perché quello che mangi non va bene, —insistette lui. — Forse basterebbe cambiare tipo di alimentazione.
Non vide il sorriso ironico della donna che, dandogli le spalle, girava le focacce sulla piastra. Lasciò l’amaca e si diresse verso la porta, con la tazza del caffè fra le mani. Nel cielo, che non conservava alcuna traccia dell’acquazzone notturno, gli avvoltoi ruotavano lentamente intorno a un punto lontano, al di sopra del vasto pendio coperto di baracche. Il fango della stradetta fuori della porta si andava rapidamente asciugando. Il sole era già alto. Avanzò di tre o quattro passi, attirato da qualcosa che galleggiava in una pozzanghera, e tornò subito indietro con un’espressione di disgusto sulla faccia. Appoggiò la tazza sull’asse di legno che serviva da tavolo da pranzo e da lavoro.
— Allora io vado.
— Mangia qualche focaccia.
— Ho preso il caffè.
— Non so perché ho cotto queste focacce, se nessuno le mangia.
— Mangiale tu.
Si issò in spalla la cesta di limoni e si avviò con passo rapido per lo stradello in discesa fra le baracche. Non sarebbe riuscito a venderli tutti; non ci sarebbe riuscito nemmeno se fosse andato prima al mercato, senza attardarsi a parlare con la donna. Il ricavo di un’intera mattinata di mercato sarebbe stato di pochi centesimi, ma che altro avrebbe potuto fare? Per iniziare una qualsiasi attività minimamente redditizia occorreva un capitale di cui non avrebbe mai disposto e che nessuno avrebbe mai prestato a uno come lui. Quanti erano i disgraziati nelle sue stesse condizioni? E ora la donna, da dieci o quindici giorni, non faceva che ritornare su quell’idea del letto. Come se lo figurava, lei, un letto? Una baracca la si fa con materiali che si raccolgono in giro nelle discariche o nei cantieri, se si sta attenti a non farsi sorprendere dai guardiani, ma un letto? Evidentemente lei non aveva la minima idea di quello che era un letto. Chissà come se lo immaginava. Inoltre, un vero letto, come lo voleva lei, avrebbe occupato tutto lo spazio disponibile, non ci si sarebbe potuti più muovere, nemmeno per cucinare. Quello che andava bene, per loro, erano le amache, che si appendono la sera e si staccano la mattina. Con un letto dentro, la loro casa avrebbe preso l’aspetto di uno di quei postriboli che spuntavano come funghi velenosi in mezzo alle baracche. No, non lo avrebbe mai permesso. Se avesse messo un letto dentro casa, sarebbe diventato lo zimbello dei vicini. Come le era venuta in mente un’idea del genere, a Pilar?
Pilar coprì di cenere la brace, si mise sulla testa un fazzoletto, e uscì. Percorsi pochi metri, svoltò a sinistra e scese verso uno spiazzo polveroso e privo di alberi, circondato da baracche con insegne di rivendite di alimenti e di bibite. Camminava cautamente sullo sterrato in pendio, sdruccioloso per il fango che in quel punto non si seccava mai. Si sentiva appesantita e aveva un timore quasi superstizioso delle cadute. Come ultima arrivata, provocava ancora una certa curiosità negli abitanti della baraccopoli. Accelerò il passo e camminò tenendosi al centro della stradetta, senza guardare né a destra né a sinistra. L’odore delle bucce di frutta che marcivano nel fango le dava una leggera nausea. Il calore era andato aumentando rapidamente. Nel cielo, lontano, verso oriente, c’erano solo il fumo rossastro della ciminiera della raffineria e i punti neri degli avvoltoi.
Bussò leggermente alla porta di una baracca verniciata di rosso ed entrò prima di ricevere risposta, spingendo l’uscio socchiuso.
— Sono venuta a vedere il letto.
— Non hai che da alzare la tenda, — disse la donna seduta a cavalcioni su una sedia nel centro della stanza; indossava una sottoveste nera, tirata su fino all’inguine, e si faceva aria con un ventaglio di finta madreperla.
Pilar sollevò la tenda che divideva in due la stanza. Il letto occupava tutta la parte nascosta della stanza: era di ferro battuto, con spalliere molto elaborate, con ghirigori che imitavano grappoli d’uva. Osservò lo spessore del materasso e pensò che doveva essere tanto morbido da non potercisi coricare senza timore di affondare. Lasciò ricadere la tenda.
— Deve costare un bel po’ di soldi, — disse. — È il letto più grande che abbia visto in vita mia.
— Ci sono letti più grandi e più cari, — disse la donna mentre si alzava dalla sedia sollevando una delle sue gambe carnose, come se smontasse da cavallo. — Il vero problema è avere una stanza in cui possa entrarci.
Andò oltre la tenda, si sedette sul letto e cominciò ad andare in su e in giù, ritmicamente. Affondava e si risollevava, oscillando leggermente con la testa e il busto alternativamente verso destra e verso sinistra.
— Ha una vera rete di metallo intrecciato, — disse. — Puoi provarla anche tu, se vuoi.
Pilar fece segno di no. Osservava la scena senza avvicinarsi, tenendo sollevata la tenda perché entrasse la luce.
— Credo che non riusciremo mai a mettere insieme tanti soldi per pagarlo, — sussurrò. Era delusa. Non si era aspettata che il letto fosse così grande.
— Bene, non devi poi immaginarti chissà che, — disse la donna, accarezzando con lo sguardo il pancione di Pilar. —Mi piacerebbe venderlo a te.
— È veramente troppo grande, — continuò Pilar. Ora avrebbe voluto non averlo visto. Guardava la donna che continuava a saltare sulla rete e si sentì a disagio.
— È un letto meraviglioso, — insistette la donna. — Lo vendo solo perché, dove vado, non lo posso portare.
Juan si tappava le orecchie con le mani: — Non lo voglio in casa mia, nemmeno se ce lo regala!
— Ma è proprio quello che dovrà fare, alla fine. Non c’è nessun altro che lo voglia: è troppo grande per qualsiasi casa.
— Non è quello che dico io? Non lo vuole nessuno perché nessuno vuole il letto di un bordello. Chi ci farebbe dormire sua moglie nel letto di un bordello?
— Anche questi stracci può averli indossati una prostituta, prima di me, — disse Pilar, gualcendo con le mani la stoffa del vestito che, sul davanti, sollevato dalla pancia prominente, le arrivava molto al di sopra delle ginocchia. Stava piantata di fronte al marito ed era furibonda. Juan abbassò lo sguardo. La gravidanza le aveva guastato la dentatura, ed aveva gli occhi cerchiati.
— È una cosa completamente diversa. Quando si saprà che abbiamo in casa quel letto, la gente farà la fila per venire a vederlo.
Uscì sulla porta per cercare il sollievo della brezza che a quell’ora avrebbe già dovuto arrivare dal fiume, ma l’aria continuava a restare immobile. Benché il sole fosse tramontato già da qualche ora, il calore non era diminuito. Nell’oscurità gli arrivavano le voci dei vicini lungo le stradette fra le baracche. Dei ragazzini inseguivano una palla invisibile. Guardò, a destra, oltre la breve fascia di terreno spoglio, il folto della boscaglia da cui proveniva, isolato, il richiamo acuto e insistente di un uccello notturno. Al di là della boscaglia cominciava la distesa di acque fangose del braccio morto del fiume. Da lì arrivavano le zanzare che gli restavano schiacciate sulla pelle, ogni volta che si schiaffeggiava il collo o il petto nudo e appiccicoso di sudore.
— Se fossimo rimasti a casa nostra, non ti sarebbe mai venuto in mente di volere un letto.
Cercò di afferrare al volo una zanzara che gli ronzava vicino all’orecchio e rientrò nella baracca.
— Se fossimo rimasti a casa, — disse lei, — avrei potuto aiutare col lavoro. Qui non servo nemmeno come puttana.
— Possiamo sempre tornare indietro, se lo decidiamo, — azzardò lui.
Per un momento lei si vide davanti l’ansa del fiume e le palafitte. Le vide di sfuggita, come succede quando la piroga è presa dalla corrente ed è trascinata via. Il fiume, in quel punto, è talmente largo che si perde rapidamente di vista l’altra sponda. Lei vede solo le cime degli alberi della foresta. Non vede già più le capanne, le piroghe legate ai pali, sotto la sponda altissima di terra rossa, i pescatori in piedi sulle imbarcazioni, intenti a riparare le reti, le donne che battono i panni con un bastone, su una pietra liscia, semisommersa nell’acqua. Tutto è scomparso dietro la massa convessa del fiume, in quei pochi attimi in cui il remo affonda e si solleva.
Non era riuscita a chiudere occhio in tutta la notte e aveva passato la mattinata e il pomeriggio sulla porta, finché il marito non era apparso in fondo alla strada. Ora che tutte le parti del letto, ammucchiate nella stanza, attendevano di essere montate, la sua eccitazione era al colmo.
— Sono troppo stanco per farlo stasera, — disse Juan.
— Anche domani sarai stanco.
— Domani non avrò trasportato questo mucchio di ferraglie. Quella donnaccia ha trovato il modo più redditizio per sbarazzarsi di questa porcheria.
— Questa porcheria vale più di quanto tu riesca a guadagnare in un anno. E l’abbiamo avuta praticamente gratis.
— Io invece credo che ci siamo indebitati per tutta la vita, — disse Juan. Era stanco e aveva voglia di rovinare la felicità della moglie. Non riusciva a capire perché la prostituta avesse ceduto proprio a loro quel letto monumentale da cui, a venderlo come ferro vecchio, avrebbe potuto ricavare parecchie centinaia di pesos, e sospettava che Pilar avesse preso qualche impegno dietro le sue spalle. Era di malumore. Non aveva intenzione di cedere sul rinvio all’indomani del montaggio del letto, dopo che era stato così debole da cedere sulla questione principale. Si alzò per cacciare dalla porta un gruppo di ragazzetti. Era cominciato il tormento delle zanzare, ma era inutile chiudere la porta: la stanza ne era già piena.
— Stanotte non ci lasceranno dormire, — disse.
— Tanto vale approfittarne per montare il letto, — rispose pronta Pilar. — Ora che ho il letto, non voglio tornare a coricarmi nell’amaca.
Verso le undici dovettero chiudere la porta. I vicini facevano ressa sulla soglia per osservare il letto che aveva occupato completamente l’unico locale della baracca. Juan era bagnato di sudore dalla testa ai piedi e stava dicendo delle parole che non aveva mai pronunciato in presenza di sua moglie. La donna lo aiutava in silenzio, per timore che lasciasse il lavoro a metà. Quando il letto troneggiò imponente, lui aveva già preso la sua decisione.
— Io dormo nell’amaca. Non mi corico sul letto di una puttana.
Pilar si sedette sul bordo del materasso. Era la cosa più morbida su cui si fosse mai seduta. Ancora più morbida del fieno. E l’odore di orina e sudore di cui il crine del materasso era irreparabilmente impregnato era lo stesso del fieno della stalla dove il padrone della casa dove lavorava l’aveva presa per la prima volta, molto tempo prima di Juan. Rabbrividì. Se il padrone l’avesse poi lasciata in pace e non l’avesse messa incinta, non avrebbe dovuto convincere Juan a lasciare con lei il villaggio sul fiume per cercare fortuna in città. Così Juan non avrebbe mai saputo né sospettato che il bambino che lei stava aspettando non era figlio suo. Pensò che in realtà era giusto che lei dormisse su un letto che era stato di un bordello, non era meno puttana delle puttane che ci avevano dormito prima di lei. Guardò l’uomo che dormiva sull’amaca. Spense il lume per non vederlo, e per continuare a sentire quel brivido. Il letto della puttana. Lui si era addormentato di colpo e russava con la faccia rivolta al soffitto. Fuori della baracca, lungo la strada, era cessato il rumore delle conversazioni. Da tempo era stata spenta l’ultima radio. Sentì, lontanissimo, il brontolio del tuono e, più vicino, il richiamo dell’uccello notturno, nella boscaglia, benché non riuscisse a capire che uccello fosse, perché qui anche gli uccelli le sembravano diversi da quelli di casa sua, laggiù, lontano, sul fiume, in quell’altro mondo che era il suo e che qualcuno, del tutto indifferente alla sua sorte, l’aveva costretta a lasciare. Pensò che di lì a poco sarebbe cominciata a cadere la pioggia, portando un momentaneo sollievo dal pesante calore di quel giorno interminabile. La prima raffica di pioggia la sorprese ancora seduta sul bordo del letto. Ne stava carezzando la vasta superficie, liscia come una pianura. Juan cercò un fiammifero per accendere il lume appeso al soffitto.
— Sei ancora sveglia.
Pilar non rispose. Ad occhi chiusi, con un sorriso che le addolciva il viso, restituendole momentaneamente la sua bellezza appassita, accarezzava con entrambe le mani la vasta pianura del materasso.
— Che stai facendo? — disse lui.
Scese dall’amaca e restò in piedi di fronte alla donna.
— Che fai?
— Preparo la cuccia, — rispose lei.
Adesso la pioggia scrosciava sul tetto di lamiera. Lo stradello era già un torrente in piena; l’acqua entrava da sotto la porta. C’era un forte odore di terra bagnata.
— Sto preparando la cuccia, — ripeté.
Si alzò dal letto, lo prese per i capelli, lo tirò a sé e gli schiacciò la faccia sulla fodera macchiata.
— Puzza, — disse lui. — Puzza di orina.
Si liberò dalla stretta della donna e saltò in piedi, sguazzando nell’acqua. Sputò.
— Puzza, — disse con una esagerata smorfia di disgusto. — Te l’avevo detto, il sudore di quella puttana, di quelle puttane, chissà quante puttane avranno lavorato qua sopra, di tutti quelli che ci sono stati, qua sopra, a fare le loro porcherie con loro, ti rendi conto?
Pilar si buttò indietro e, distesa, allargò le braccia. Il corpo, deformato dal pancione, era scosso da un tremito convulso. Juan si piegò su di lei, avvicinadosi per cercare di vederle la faccia ne buio appena rischiarato dal lumicino appeso al soffitto.
— Allora sei impazzita. Perché ridi? — disse, quando capì che la donna rideva. — Se qui non c’è proprio niente da ridere.
Le strinse un braccio, con forza, per riscuoterla, ma lei continuò a sussultare, con tutto il corpo, mentre dalla bocca il riso le usciva ormai irrefrenabile, come un lungo rantolo.
— Ma sei pazza, che cosa c’è da ridere? — ripeté Juan, tirandola per il braccio, senza riuscire a spostarla. — Cosa c’è da ridere?
Lei restò distesa, e le faceva male la pancia, perché il riso che le scuoteva il corpo era diventato un singhiozzo che non riusciva più a fermare. Avrebbe avuto bisogno di bere a piccoli sorsi, per calmare quel riso, o quel pianto, non sapeva più bene di che si trattasse; avrebbe chiesto un bicchier d’acqua, se ne avesse avuto la forza, se nella baracca ci fosse stato un bicchiere, dell’acqua.
Piegato su di lei, attento a non toccare il materasso, Juan la tirava per il braccio. — Che cosa c’è da ridere? — continuava a dire. —Perché ridi, se qui non c’è proprio niente da ridere?

Racconto crudo, di umorismo amaro, con lo stile icastico che caratterizza la tua sempre avvincente scrittura. Un abbraccio Andrea.
Ettore
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