UNA GIORNATA

di CLAUDIA SFILLI ♦

“Buongiorno tutto il giorno!”
Carletto Baldi si presenta sempre così, sulla porta del negozio, e sempre con lo stesso urticante entusiasmo.
“Com’è che c’è ancora questo negozio? Non vanno tutti al centro commerciale, oggi?”
Ogni volta devo rispondere: “Ma questo è un negozio speciale, signor Carletto! È l’Antica drogheria Frassìni, fondata dal nonno del signor Pietro che starà qui dentro fino al suo ultimo respiro, amandola più di sé stesso”.
In effetti, non so perché abbia tanti clienti un posto come questo. C’è di tutto, qui dentro, è vero, ma è roba che si trova anche al centro commerciale, e certamente a più buon prezzo.
“Mi dia le solite gocce di menta e un po’ di stringhe di liquirizia, grazie, Berta”.
Anche quel giorno Carletto aveva girato fra gli scaffali del negozio curiosando fra prodotti per la casa, cibo per animali, concimi per piante, riempiendosi le braccia di roba che un po’ alla volta aveva appoggiato sul bancone, accanto ai pacchetti con la menta e la liquirizia.
“Segni pure, Berta. Quando vado in banca saldo tutto”.
“Come vuole” avevo detto, con il sorriso che il signor Pietro mi raccomanda sempre, pur imprecando senza posa per i conti lasciati in sospeso.
Stavo segnando quell’ennesima cifra sulla pagina del signor Baldi, quando la porta si era di nuovo aperta, facendo tintinnare il campanellino. Erano solo le 8 e 55.
“Buongiorno, signora Lovati!”
La donna si era guardata intorno, come a cercare ispirazione, ma sapeva bene cosa doveva comprare; ha sempre le idee chiare, la signora Lovati.
“Vorrei una tovaglia rosa in plastica, Berta” aveva detto, appoggiandosi al vecchio bancone.
E il dramma era cominciato.
“Questa è un po’ troppo rosa… E questa, questa no, è troppo chiara, non vede, Berta? Come fa a consigliarmi una cosa del genere? Deve intonarsi con il divano che è verde, sì, ma un verde bottiglia che sta bene solo con un certo tipo di rosa. E questa? Berta, non vede che è plastica scadente? Vorrei una plastica che non si veda che è plastica, capisce? Con un po’ di ruvidino, come di stoffa. Ecco, questa potrebbe andare, ma… ha un odore strano, non sente? Non posso tenere in casa questo odore, si renderà conto anche lei, voglio sperare! Mi mostri quella… quella sotto gli scatoloni, laggiù. Sì, mi faccia vedere. Ah! No, no! Non va bene nemmeno questa, è quasi lilla e io non voglio quasi lilla: voglio rosa antico”.
Un’ora dopo la signora Lovati aveva sentenziato che la drogheria non era più quella di una volta: non ha abbastanza merce. E se n’era andata via a mani vuote.
Prima ancora che potessi riprendere fiato, il signor Pietro mi aveva telefonato.
“Berta, non dimenticarti che questa sera dobbiamo incominciare l’inventario. Io non sto bene e per questa settimana non verrò in negozio, ma ti prego, comincia tu”.
Si ammalava sempre il signor Pietro, quando c’era da fare l’inventario.
Dopo un po’, ecco aprirsi di nuovo la porta.
“Ehi, Berta, che ne è di te? Sempre qui, eh? Ma non ti sei ancora rotta di questa vita?”
Renzo Bassi ha più o meno la mia età, ma è in forma. Brutto di faccia, con delle rughe profonde che gli danno un’espressione imbronciata, ma è sempre vivace e pieno di energia.
“Rotta o non rotta, qui devo stare!”.
“Te lo dico sempre: tu dovevi sceglierti un altro lavoro, più dinamico, più creativo. Dovevi viaggiare, andare in altri paesi e farti esperienze, invece ti sei chiusa qui con quel vecchiaccio del signor Pietro, e la tua vita è finita. A Nino non dici mai niente perché i mariti ne hanno già abbastanza di problemi, ma stai andando alla deriva, amica mia. Gli anni passano…”.
Sempre quel discorso! Mi dà la nausea. Ma Renzo pare non avere altro da dirmi.
“Sei anche ingrassata! Devi muoverti di più, se non vuoi invecchiare prima del tempo. Vai in palestra, Berta. Guarda me”.
Lui fa tutto alla perfezione. Nasconde bene i suoi punti deboli, lui! Ma due cosette potrei dirgliele anch’io, se solo ne valesse la pena.
La mezz’ora trascorsa dopo l’uscita di Renzo, senza ricevere nessun cliente, mi era sembrata un sogno. Certo, lo sciacquone nel bagno non si era ricaricato e nell’aggiustarlo uno spruzzo mi aveva bagnato completamente la faccia, ma non sono questi i problemi.
Poi ecco ancora il campanellino della porta.
“Tesoro, come stai?”
Era Annalisa con il piccolo Germano, da poco in grado di muoversi con le sue gambette e molto, molto curioso di scoprire il mondo.
“Benone e tu?”
Annalisa sta bene, ha un bel bambino che è indomabile solo perché lei non lo vuole domare, e nessun altro problema. Ciononostante, i suoi discorsi non sono altro che un lungo, infinito lamento, animato ora da perfidia, ora da invidia o gelosia, ora da sete di vendetta. Ammetto che li ascolto con scarsa attenzione.
“Mia suocera mi ha detto che… E quella scema di mia cognata, poi… Beh, senti, quando ho visto che macchina si è preso Adriano… Io son buona e cara, ma se mi fanno arrabbiare…”
Intanto il piccolo Germano scopriva il meraviglioso mondo della drogheria.
“Ah, ah!” diceva, e Annalisa si asciugava le lacrime senza badargli.
“Annali’, il bambino: ha buttato giù mezzo scaffale” le avevo detto più volte.
Annalisa lo guardava, scuotendo la testa.
“Vedi che non posso stare in pace? E dire che avrei tante altre belle cose da fare, io!”
“Ah, ah…”
“Annali’, il bambino ha aperto la scatola dei pennarelli…”
“Ma io non ce la faccio più…”
E lasciava fare.
Quando il piccolo era arrivato al reparto profumi per ambienti e aveva cominciato ad aprire le prime confezioni all’aroma di gelsomino, avevo lasciato Annalisa alle sue litanie e l’avevo raggiunto.
“Annali’, non puoi lasciare il piccolo in giro per il negozio!” le avevo detto, tenendolo sollevato per le ascelle.
E Annalisa si era sciolta in lacrime e singhiozzi.
“Non ne posso più. Andiamo, Germano. Ti capisco Berta, sai? E ti perdono. Non sei cattiva. Semplicemente non puoi capire quello che vivo io”.
Le avevo aperto la porta senza fare commenti, sorridendo e dando un buffetto al piccolo Germano.
“Passo domani, Berta, così continuiamo il discorso”.

Quel giorno, a pranzo, avrei voluto rilassarmi un po’, ma Nino aveva avuto delle discussioni al lavoro e aveva un gran bisogno di sfogarsi.

Nel pomeriggio, la porta del negozio si era aperta per la prima volta alle 15.32.
“Tu prende roba? Tu guarda…”
Il suo nome vero nessuno lo sa, tutti lo chiamano Gino. È nero nero, con degli occhioni buoni che fanno tenerezza. Gira con un borsone dove tiene calzetti, fazzoletti di carta e poi a volte maglioni e giacchette. Io gli prendo spesso qualcosa, ma non posso averlo sul groppone come un figlio. Glielo dico sempre: fra poco finisce che ti do la paghetta. Ma lui non capisce. O non vuole capire.
Quel pomeriggio aveva bevuto un po’ ed era meno simpatico. Molto meno.
“Gino, oggi non è giornata, torna un’altra volta, dai”.
“No, tu prende. Guarda qui… malieta bela” e aveva invaso il banco con tutta la sua mercanzia.
“Gino!”
Un po’ di tira e molla e ce l’avevo fatta a mandarlo via senza prendergli niente, solo che, nell’uscire, con quel borsone immenso aveva fatto cadere un vaso di vetro, mandandolo in mille pezzi.
“Oh, amica, scusa io…”
Cosa potevo dire al povero Gino? Gli ho dato una pacca sulla spalla e via.
I vetri erano schizzati dappertutto e dovevo stare attenta a non lasciare tracce dell’incidente: per un fatto del genere il signor Pietro è capace di brontolare per giorni interi.
Mentre finivo di pulire il pavimento, la porta si era aperta per l’ennesima volta.
Erano le sorelle Vitali: Lisa e Pina. Due donnine nate vecchie che vengono in drogheria con il loro carrellino a comprare cibo e lettiera per i loro gatti.
“Come va, care signore?”
Errore. Io dovrei chiedere: cosa desiderate, care signore? Solo quello.
“Eh, Berta, a lei va bene la vita!”
Cominciavano sempre così, le sorelle Vitali.
“Lo zio che avevamo a Genova, ricorda? Stava bene, doveva andare in crociera il mese prossimo con la moglie e invece: infarto! Morto sul colpo”.
“Oh! Mi dispiace! Quanti anni aveva?”
“Più o meno la sua età, Berta”.
“Ma questo è niente. E mio cognato? Il mese scorso gli è venuto l’ictus e adesso è come un bambino. Devono insegnargli di nuovo a camminare e a parlare… E anche lui, come età, siamo lì”.
Sono i loro unici discorsi, che nella loro tragicità hanno comunque il potere di accendere nei loro occhietti rugosi una lucetta sconcertante. Perversione? Intima cattiveria? Atavico rancore esistenziale?
“Cerchiamo di pensare a cose belle, signore mie, altrimenti…”
“Eh! La fa facile lei! Ma io qua con queste gambe… Il medico ha detto che …”
E via con l’autocommiserazione.
Non so se serve a qualcosa, ma quando ci sono loro sotto il banco tocco sempre ferro, legno, tutto quello che trovo.
Dopo le sorelle Vitali, un cliente era entrato in negozio con una faccia da killer.
“Guardi! Questo sapone è già aperto! Che roba avete qui?”
Gli avevo dato prontamente una confezione intatta, con mille scuse, ma non era servito a calmarlo, e l’uomo se n’era andato sbattendo la porta.
Poco più tardi la signora Giulietti aveva comprato merce per 60 euro, ma aveva insistito per pagarne solo 50, in nome di chissà cosa. Alla fine, era uscita dal negozio lasciando 55 euro. Da segnare sul conto.

Arrivate le 19.30, stremata, avevo deciso di non iniziare l’inventario. Chiuso il negozio, mi ero appesa come sempre alla serranda per abbassarla. Ma la maledetta non si era mossa. Nonostante i miei sforzi e le mie imprecazioni era rimasta lassù, incastrata.
Stavo immobile davanti al negozio, guardando la serranda, quando ecco alle mie spalle una frenata di bicicletta.
“Oh! Santo cielo, Berta! Cos’è quell’aria incazzata? Non prendere la vita così! Devi stare calma e ascoltarmi: io parlo per il tuo bene! Cambia vita!”
Renzo! Di nuovo Renzo!
Senza girarmi avevo ripreso la maniglia della serranda e avevo tirato con forza. Ma la maledetta non si era mossa e di colpo qualcosa mi è scoppiato dentro. Nella mia mano, a quel punto, non c’era più solo una maniglia: c’era tutto. C’era Nino con i suoi problemi sempre più grandi dei miei; c’era il signor Pietro che si crede chissà chi per quel tugurio di drogheria vecchia come il cucco, sorpassata ormai anche dal più insulso dei supermercati; c’erano Carletto Baldi e i suoi cazzi di conti da pagare e la paranoica signora Lovati con il rosa che non è proprio rosa; e Gino, c’era anche Gino con quel benedetto borsone che butta giù tutto dagli scaffali e Annalisa con quello sgorbio di figlio rompiballe e le sorelle Vitali con i loro discorsi porta sfiga, e la signora Giulietti che si crede al mercato e contratta anche su cinquanta centesimi! E c’erano il cliente stronzo con il suo stramaledetto sapone già aperto e Renzo… Renzo e ancora Renzo con la sua spocchia e le sue prediche di merda, e tutti i clienti che passano per quella maledetta porta, ogni schifo di giorno, facendo suonare quello schifo di campanellino.  Che morissero tutti! C’era tutta la mia vita in quel momento, chiusa nella mia mano. Con le cose che avevo fatto e quelle che non avevo fatto. Già… quelle che non avevo fatto!
E allora avevo tirato ancora, più forte, più forte, urlando di rabbia come mai prima, in vita mia.
Un gran frastuono e la serranda era ai miei piedi.
Ora potevo andare a casa.

CLAUDIA SFILLI
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