Aspettando……Re Lear

di ANNA LUISA CONTU ♦

La stagione teatrale cittadina è cominciata con una rappresentazione del “Re Lear”, una delle più grandi tragedie shakespeariane, opera tra le più complesse scritta intorno al 1606, dopo il “Macbeth”.

In realtà la messa in scena dalla compagnia di Alessandro Preziosi aveva un titolo da interpretare , “Aspettando Re Lear” che richiamava, come scritto nel libretto di presentazione,  “Aspettando Godot” opera di Samuel Beckett, che avrebbe dovuto accentuare gli aspetti grotteschi , da teatro dell’assurdo che sono nella tragedia shakespeariana.

È l’interpretazione che fa Jan Kott nel suo “ Shakespeare nostro contemporaneo”. Egli da del “Re Lear” una lettura  ad una dimensione, quella appunto del grottesco e dell’assurdo, tralasciando la ricchissima tessitura del testo shakespeariano. A me non è sembrato che la messa in scena di Preziosi andasse in questa direzione e che invece fosse nel solco del classico addirittura con una “happy end” , l’abbraccio tra Lear e Cordelia , che non c’è in Shakespeare dove, anzi, il finale  raggiunge il climax di tutta la tragedia con quell’immagine del vecchio re pazzo che avanza sul palcoscenico portando tra le braccia il corpo di Cordelia , uccisa dalle trame delle sorelle.

Come noto, la tragedia è la storia di un vecchio re, Lear, che stanco della fatica e delle responsabilità del potere decide di dividere il regno tra le sue tre figlie, Reagan, Gonerill e Cordelia e lo fa con una sorta di lotteria chiedendo alle figlie quanto è grande l’amore che gli portano. Le prime due si sperticano in affermazioni tanto iperboliche quanto ipocrite, Cordelia non dice nulla suscitando l’ira incontrollata del vecchio re (“nulla viene dal nulla”) che la scaccia insieme al cortigiano Kent che tenta di difenderla. Diventate padrone del regno, ben presto le due sorelle diventano intolleranti delle intemperanze del padre, lo spogliano della sua scorta di cavalieri e poi lo scacciano.

Accanto alla trama principale se ne svolge una parallela, la storia di Gloucester e dei suoi due figli Edgard e il bastardo Edmund che trama contro il fratello e il padre accusato di intesa col nemico e per questo accecato.  Nel terzo atto, l’atto della tempesta, nella landa desolata  Lear accompagnato da Kent e dal buffone, il “fool” colui che può dire verità sgradevoli senza paura e che conosce l’essenza della realtà, incontra Edgard, anche lui scacciato , travestito da straccione e mendicante.

“Re Lear “ non è solo una tragedia sull’ingratitudine filiale, è una tragedia sulla violenza dell’uomo e della natura, del caos nel corpo politico , della cecità e l’arroganza dei potenti , la scoperta che l’essere umano, spogliato della pompa, non è che una creatura tra le più infime e verso le quali la compassione di Lear si accompagna al rimpianto per non aver dato, quando governava, sufficiente attenzione.

Per tutta questa varietà di temi , la tragedia ha 22 personaggi, compresi tre personaggi femminili, che si alternano, mandando avanti l’azione sul palcoscenico attraverso una lingua complessa e articolata in immagini che rimandano dal reale al metafisico.

Nella rappresentazione di Preziosi ci sono solo  5 attori che interpretano parti plurime rendendo, spesso, la comprensione difficile per lo spettatore che non ha una  sufficiente conoscenza della tragedia. Esigenze di risparmio (si possono capire ) vanno a discapito del pieno svolgimento del testo teatrale, e nonostante la postura da mattatore di Preziosi, molti aspetti della tragedia sono appena sfiorati come Il terzo atto, l’atto della tempesta e dell’impazzimento del vecchio re, che vaga nella landa desolata senza riparo contro l’ululare dei venti e lo sferzare della pioggia. Lo scatenarsi di queste forze primigenie porta Lear a riconoscere, prima come un pensiero confuso e appena cosciente, poi con sempre più consapevolezza la propria storia di sovrano dominato dalla crudeltà, la menzogna , il potere come libidine, l’egoismo, la cecità e il disinteresse per i semplici.

Nella nudità della scenografia shakespeariana, la parola crea lo spazio scenico e il  rozzo pubblico londinese quello che assiste in piedi  nell’arena, i groundlings, sanno apprezzare una tirata ben detta , o ridere  ad uno scherzo o  ad un intelligente gioco di parole. Nella rappresentazione fatta al nostro teatro, il palcoscenico è ingombro di oggetti , di piccole transenne, uno specchio , un letto, poi scatole come per dare movimento a qualcosa che non procede. E così si perde il racconto che Edgard travestito da straccione e mendicante, finto pazzo, fa al padre cieco che non lo riconosce e che lo accompagna a Dover per avvertire Lear del tradimento delle figlie. Gloucester vuole buttarsi dalle rocce di Dover. Attraverso la parola Edgard crea l’illusione dell’ascesa alla rupe e del mare sotto di essa . Ma per apprezzare il senso di una pantomima in cui un finto pazzo conduce un cieco bisogna che il tavolato sia sgombro e senza ostacoli. Così non è stato e il momento in cui il grottesco e l’assurdo potevano essere messi più in evidenza e dare senso a quel “aspettando “ Lear del titolo, si è perso.

Il pubblico civitavecchiese, tuttavia, nel finale, è stato generoso di applausi.

Vorrei concludere  citando Gabriele Baldini  che nel suo “Manualetto Shakespeariano “ scrive che il senso ultimo di King Lear, così come per tutte le grandi opere di poesia, potrà rivelarsi solo dopo letture meditate e insistite e che la realizzazione scenica da sola non potrà rivelare la grande complessità dell’opera.

ANNA LUISA CONTU

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