TOMMASO
di CLAUDIA SFILLI ♦
A Tommaso piaceva fare i compiti e io mi compiacevo di questa anomalia di mio figlio e ne parlavo con tutti, anche se temevo che non sarebbe durata a lungo.
Quel giorno lo vedevo un po’ agitato. Quando nella sua testolina fiorivano pensieri e dubbi, faceva sempre così: muoveva gambe, braccia e collo come in una specie di danza moderna.
“Oggi a scuola è successo un fattaccio” disse.
“Addirittura un fattaccio! Raccontami”.
“Non so da che parte cominciare. È complicato”.
“Tu comincia e poi, se non va bene, riprendi daccapo…”
Restò assorto per un po’.
“Ok”, disse finalmente “comincio dall’inizio”.
“Generalmente funziona”.
“Ma ci sono tante cose più importanti dell’inizio…”
“Con calma, Tommi, un po’ alla volta mi dirai tutto”.
“Giusto. Allora, questa mattina sono arrivato a scuola, sono andato al mio banco, mi sono seduto e poi è arrivata la maestra”.
Parlava in tono serissimo, ricordando i minimi particolari: dovevo intervenire, se non volevo sorbirmi ogni singolo attimo della sua mattinata.
Mi sedetti accanto a lui e gli presi le mani, perché non le agitasse troppo.
“Sai, quando si racconta una cosa, è meglio tralasciare i piccoli particolari, quelli che non hanno nessun peso sulla storia”.
Tommaso rimase ancora un po’ assorto. Adesso ero davvero curiosa di sapere cosa fosse successo quel giorno di tanto importante per lui.
“Hai presente Stevo?”, mi chiese.
“Certo, lo zingaro”
“La maestra dice che non bisogna chiamarlo lo zingaro”.
“Giusto. Comunque, cosa è successo a Stevo?”
“Beh, non è che è successo a Stevo, è Stevo che… Aspetta che ti racconto… Stevo era seduto sui gradini”.
“Sui gradini? Dove? Quando?”
“Durante la ricreazione”.
“Ah! Allora: durante la ricreazione Stevo era seduto sui gradini della scuola. E poi?”
“Mangiava la sua merenda e una bambina si è seduta vicino a lui”.
“Chi era? La conosco?”
“Mariasole”.
“La figlia del notaio. Si è seduta vicino a Stevo?”
“Si è messa a parlare con lui. Gli parlava della sua cameretta nuova color rosa, con i fiori sulle tende e il lampadario a forma di cuore”.
“Immagino Stevo…”
“A Stevo non interessava molto. Si guardava intorno per cercare amici”.
“Ma le ha risposto? Ha parlato un po’ con lei, sì?”
“Beh, diciamo che faceva finta di ascoltarla e lei si accontentava dei suoi mmmm… mmmm”.
Fece delle smorfiette, nel descrivermi la scena: carino davvero.
“Ma non è questo che è importante, forse non serviva dirlo. Insomma, Stevo mangiava il suo panino e Mariasole le ha chiesto…”
“Gli ha chiesto, Tommi, è un maschio”
“O.K., gli ha chiesto un pezzo”.
“Un pezzo del panino? A Stevo?”
“Sì, e lui le ha detto: non pensarci nemmeno”.
Sospirai, mostrando tutto il mio disappunto di brava educatrice.
“Perché sospiri? Che pensi?”
“Che bisognerebbe essere generosi, Tommi, ma che Stevo è zingaro… Tutto qua”.
“Ma la maestra dice…”
“Lo so, lo so cosa dice la tua maestra. Lei è molto attenta a creare uguaglianza nella classe e corregge ogni minimo atteggiamento che possa sembrare razzista. E ha ragione. Ma io non volevo essere razzista. Scherziamo! È che abbiamo culture diverse e viviamo situazioni diverse. Lui non è cattivo…”
Tommaso si liberò dalle mie mani e appoggiò i gomiti sul tavolo.
“Non c’entra niente che è zingaro, mamma. Ma lasciamo stare. Non è questo il fatto. Anzi, neanche questo è quello che volevo raccontarti”.
“Ah! continua allora, ti ascolto”.
Ero sempre più curiosa di scoprire cosa diavolo fosse successo quel giorno. Cosa poteva aver colpito tanto Tommaso?
“Insomma a un certo punto sono arrivati tre della mia classe e si sono fermati davanti a loro”
“Chi erano?”
Tommaso guardò fuori dalla finestra, evitando il mio sguardo.
“Cosa c’è?”
“Niente niente. Erano Sebastiano, Federico e Leonardo”.
“Quelli bravi a calcio, no?”
“Già. Sai cos’hanno fatto?”
“Cosa?”
“Hanno incominciato a prendere in giro Stevo”.
“Oh! Me lo immagino! Stevo ha reagito malissimo, ne sono sicura”.
“All’inizio faceva finta di non sentire”.
“Ma cosa gli dicevano? Sono così simpatici che non ci si può arrabbiare con loro!”
Tommaso mi guardò fisso. Forse voleva rintracciare segni di razzismo nelle mie parole per poi condannarmi, appellandosi agli insegnamenti della sua maestra: a volte era addirittura imbarazzante affrontare quei piccoli scontri tra noi. Ma io non sono razzista, sono semplicemente realista.
“Cosa vuoi che abbiano detto, mamma? Stevo, scemo, parli con le signorine. Ti piace Mariasole, eh? Guardate come diventa rosso. Dalle tutto il panino, che poi lei ti darà un bacino…”
Trattenni il riso.
“Sono sciocchezze che si dicono, Tommi! Fra ragazzi bisogna ridere di queste cose. E lei? Mariasole? Cos’ha detto?”
“Lei guardava Stevo e rideva rideva rideva. Come se lui fosse un cretino”.
“Tommi, a quel punto doveva ridere anche lui. È uno zingaro, deve sapere che la gente lo stuzzica e lo prende in giro. Deve abituarsi a non cadere in queste trappole”.
Tommi aggrottò le sopracciglia. Aveva un’espressione da ometto, ora, e dovevo stare attenta a dargli le risposte giuste. Per lui quel fatto era davvero importante.
“Stevo ha avuto pazienza per un po’, ma quei tre hanno continuato a prenderlo in giro. Gli dicevano che sbavava per Mariasole e che era un bamboccino”.
“Tutte sciocchezze, Tommi! Tutti scherzi da ragazzi”.
“Sì, sì, ma intanto Stevo si è fatto serio e a un certo punto ha fatto un salto e li ha riempiti di pugni e sputi. È riuscito a scappare prima che loro reagissero”.
“Eccolo là! Ti pareva! Ma non si fa così. Vedi che ho ragione, Tommi? Stevo è violento. La tua maestra ha ragione a difenderlo, e anch’io gli voglio bene, come agli altri, ma resta il fatto che per cultura lui è così. È colpa dei suoi genitori, del luogo in cui vive, certo, ma…”
Tommaso mi guardava sempre più severo, ma non potevo farmi condizionare da quello sguardo. La realtà è complicata e i giudizi sono difficili a darsi, soprattutto con i ragazzini, ma non bisogna desistere. In qualità di madre, dovevo essere un punto di riferimento per Tommaso. Dovevo mostrare realismo e coerenza.
“Mamma, quei tre lo stavano trattando da cretino”.
“Ma che cretino? Siete ragazzi!”
“Mamma, anche Mariasole rideva tenendosi la pancia. Era un’offesa terribile!”
“Tommi, gli zingari risolvono le cose con le risse, c’è poco da fare. Con tutto il rispetto, loro sono così”.
“Mamma!”
Tommaso aveva gli occhi lucidi come se stesse per piangere.
È troppo sensibile questo ragazzino, pensai, è destinato a soffrire nella vita.
“Tommi, vedi…” iniziai a dire con tono pacato, cercando le parole giuste per farlo ragionare.
“Mamma,” ripeté lui con voce spezzata dal pianto, “non era Stevo ero io”.
“Cosa intendi dire, tesoro?”
“Mamma, avevo paura che tu mi sgridassi, però volevo sapere come la pensavi su quello che è successo. Allora ho messo Stevo al posto mio, ma tutto quello che ti ho detto di lui, in realtà l’ho fatto io”
Che trappola mi aveva teso, mio figlio? Dovevo ridere o arrabbiarmi?
“Sei arrabbiata, vero? Mi sono comportato come uno zingaro. Mi dispiace, ma…”
Tommaso ora singhiozzava.
“Ti ho deluso! Ecco, ti ho deluso… Non sarà più come prima, fra noi!”
Lo abbracciai e lo tenni stretto a me.
“Tesoro, no, non sono arrabbiata. Non lo sono per niente. Non ci si può far prendere in giro. Nessuno deve permettersi di deriderci. Quei tre idioti che pensano di essere chissà chi solo perché danno calci al pallone, e quella deficiente della figlia del notaio, non dovevano permettersi! Se lo concedi adesso, sarai un perdente per tutta la vita!”
Tommaso si staccò da me. Mi guardò.
“Ma…” disse con un filo di voce.
Gli sorrisi.
“Shh…” dissi “non parliamone più. Hai fatto bene, Tommi. Sono fiera di te, figlio mio”.
CLAUDIA SFILLI

“Non sono razzista ma”.
Infatti è un racconto pieno di questi terribili “ma”…
Molto riuscito.
Michele
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un racconto specchio dei nostri tempi: due pesi due misure
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Bel racconto, quasi un apologo, scritto molto bene, con i tempi giusti per far ingrossare la palla di neve finale.
Marcello Luberti
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consideriamo i nostri figli e nipoti come supereroi e loro ci rimangono molto male.
Grazie per la riflessione
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