IO STO CON I PESCI –  L’azione umana associata a un Codice di comportamento di consumo di prodotti della pesca basato su strategie di economia circolare 8. Cap4.

di GIORGIO CORATI ♦

L’argomentazione di questo documento si basa su concetti di economia circolare e di consumo sostenibile; propone un codice di consumo, ipotizzandone i vantaggi e i benefici generali.

Nell’articolo che segue riporto la conversazione in merito che intrattengo con il mio amico Ettore.

RIPRESO.*

Ettore: “Si, certamente, Giorgio… interessante la questione dello “scarto”. Va beh… comunque per finire le nostre “chiacchiere da pausa”…” Ettore sorride, “ecco, mi viene da dire che siamo in una situazione in cui dovremmo decidere, effettivamente… che dire… il passo è segnato, la tendenza è univoca e il futuro dell’attività umana di consumo è sempre più strettamente legato alla capacità del consumo stesso di essere stabile e sostenibile nel tempo. Ma!… Lo dico… diciamo che… ecco, ciò che ho detto credo pure di osservarlo, ora che mi fai riflettere e… sai… ti dico che, anche se mi appare come una verità molto approssimata, direi che sia più verosimile di altre…”.

Interessante, amico mio. Ora, però, tralasciamo le nostre brevi chiacchiere.

Ettore: “Si, hai ragione; però la pausa ha destato ancor di più i miei pensieri. Giusto però… riprendi pure il filo del ragionamento, ora. Sono pronto”.

Bene, Ettore, vorrei però fare una breve premessa riguardo l’Obiettivo n.14 dell’Agenda 2030 dell’ONU (2015),1 prima di introdurre nell’argomentazione il tema dell’uso del consumo. Ebbene, come riporta l’Obiettivo n.14 sotto gli aspetti ambientale ed ecologico connessi al mare e alle sue risorse, il comportamento di consumo dei prodotti della pesca sta assumendo forte rilevanza.

Dunque, riprendiamo, Ettore. In quanto fenomeno sociale, il consumo è una pratica conseguenza di atteggiamenti, di credenze, di consuetudini, di azioni e più in generale di comportamenti mossi e seguitati dagli individui. Le sue cause, da individuare nella sfera privata e nella dimensione sociale del consumatore (come individuo), sono le più varie e tra queste, per citarne alcune, certamente risaltano fattori culturali, etnici e climatici, se si considera il luogo di origine o di provenienza. Ma rintracciarne le particolari cause e comprenderne precisamente i motivi per cui vengono attuati determinati comportamenti di consumo è un compito non sempre facile da condurre. Senza ombra di dubbio, possiamo affermare che il comportamento di consumo è caratterizzato da variabilità rispetto ai modi, alle modalità e alle tipologie (di prodotto) di consumo, oltre che da diversità individuali soggettive e oggettive che, come riporta ISMEA (2011),2 coinvolgono sia la sfera emozionale sia quella razionale del consumatore. Mentre il comportamento razionale, come in Sen (2015, [1987]),3 è da considerarsi rispetto al comportamento “effettivo”, la dimensione soggettiva del consumatore è associata, in generale, sia al sentimento che può esprimere un atto di consumo rispetto ad un altro sia all’ambiente sociale di riferimento.

Ettore: “Se aggiungo che le decisioni di consumo di oggi influenzano quelle future”?

Esprimi un concetto condivisibile, Ettore. L’uso del consumo è una questione interessante. Nella “società dei consumatori”, per utilizzare un concetto di Bauman (2010),4 è elevato il potenziale di delusione di decisioni non adeguate e l’intensità della soddisfazione del consumo decresce spesso molto velocemente. Il consumatore medio, spesso ignaro di non essere effettivamente oppure di essere falsamente beneficiario in termini di reale soddisfazione dei propri bisogni, può tendere (e, in genere, tende) a non rivestire un corretto ruolo da “attore protagonista” nel mercato. Ricorda, Ettore, che nel mercato di libero scambio, “l’identità del ruolo” di ciascun soggetto che vi partecipa è assegnato dal mercato stesso. Da ciò capisci che è il consumatore, nel nostro caso, che deve agire e “farsi riconoscere” pena la perdita del suo potenziale ruolo di soggetto in grado di esprimere un potere contrattuale.

Ettore: ”Già, questo mi sembra un problema su cui accendere un faro, così come si dice. Comunque è un concetto, direi, difficile da comprendere. In ogni modo, il mio timore, Giorgio, è che il consumatore in generale, nel senso di individuo astratto, sia più considerato per la sua capacità di potenziale spesa e dunque visto un po’ come… direi, un bancomat. E scusa il termine, ma in questo momento non ne trovo uno più adeguato”.

L’osservazione è alquanto corretta; ad esempio nella teoria economica riguardo alla domanda del consumatore si prende in considerazione la sua disponibilità a spendere. Ti dico, per essere breve, che ciò dipende dal reddito disponibile che è considerato come tutto spendibile. Tornando al potenziale ruolo di soggetto in grado di esprimere un potere contrattuale, dovremmo chiedere alla controparte di mercato come vede o in che modo considera il consumatore nell’ambito dello scambio. Di fatto, è incontrovertibile che sia in genere la disponibilità a pagare del consumatore singolo che viene associata all’individuo, che come consumatore spende sul mercato.

Comunque, chiusa la parentesi, Ettore, riprendo il ragionamento.

Si può ritenere possibile che molti consumatori soggiacciono alle convinzioni generali che muovono le azioni di consumo del momento e anche ai conseguenti comportamenti che derivano dall’adesione al modello di consumo “in vigore”, diciamo maggioritario o predominante, insomma. Fin qui tutto scontato, secondo quanto si può osservare. Ritenendo, dunque, che tale modello possa assumere la caratteristica di essere rappresentativo della maggioranza dei consumatori, ad esso in molti aderiscono per convenzione, mentre, rispetto ad esso, in altri nasce (o può nascere) la persuasione che i modi e le modalità di quel comportamento siano non soltanto adeguati, bensì anche giusti e corretti. Anche in questo, nulla di stravolgente. Se ci immergiamo, in una seppur approssimativa riflessione nella visione di un possibile uso del consumo mosso, ad esempio, nell’ottica del concetto di distinzione sociale o del bisogno di appartenenza o della necessità di raggiungere un certo stato sociale o di semplice imitazione oppure mosso alla ricerca di una propria identificazione nella società dei consumi (o del consumatore come individuo) o, magari più semplicemente ancora, secondo quanto sollecitato da nuovi modi e modalità di consumo, da mode già diffuse e chissà se effettivamente condivise con consapevolezza in modo ampio, ebbene, Ettore… se riflettiamo su tutto ciò, è difficile non constatare che la prevalenza di consumatori, spinti da un particolare “spirito”, determina nel complesso un agire e un comportamento secondo le convinzioni di quei consumatori che di fatto sono maggioranza. Si tratta di uno “spirito”, prima ancora che un “movente”, che spinge al consumo che è inteso quale convincimento che anima e guida la “società dei consumatori” in un dato momento e che diviene punto di vista maggioritario e preminente.

Un po’ complesso questo ragionamento, Ettore, però lo dovevo fare e meglio di così non mi è riuscito. Mi spiace!

Comunque. Nel caso dei prodotti della pesca, ad esempio e per brevità… Ettore, anche se un comportamento di consumo, che ha nel suo scopo anche un’eventuale visione di distinzione sociale o di imitazione… dicevo, che anche se un comportamento di consumo non asseconda la tendenza comportamentale di fondo maggioritaria, e per questo motivo può sembrare essere agito contro “l’ottica capitalistica dell’uso che si fa del consumo”, questo comportamento può tendere a consentire il mantenimento di una equilibrata disponibilità della risorsa oggetto del consumo stesso, se è improntato alla “prudenza”, alla “premura” e alla responsabilità, per cui in sintesi tale comportamento potrebbe sostenere la possibilità stessa di perpetuare il consumo nel flusso del tempo. Parliamo di un comportamento il cui carattere prudente ma anche equo e proattivo è proprio di quel consumatore che sa anche astenersi in parte dall’utilità immediata del consumo, diremo che sia disposto a un piccola rinuncia oggi, per ottenere un vantaggio migliore in futuro, che se vogliamo, Ettore, ciò sarebbe chiaramente ispirato dal/al principio di precauzione e dal/al principio ecosistemico. Ma di questi principi ne parlerò poi. Ora credo sia tutto abbastanza chiaro.

Ettore: “Diciamo così!”

Allora, riprendo il filo del ragionamento. Aggiungo, dunque, che l’oggetto del consumo è un prodotto della pesca variamente composto, in quanto a diversità di tipologia di specie, la più ampia e variegata possibile, nell’ottica del mantenimento di un buon livello di biodiversità e dell’equilibrio tra le stesse specie ittiche.

Ettore: “Una domanda che mi pongo è se noi consumatori riusciamo in qualche modo a domare il nostro proprio interesse, che ci spinge spesso anche inconsapevolmente a ricercare la maggiore utilità possibile dal consumo ovvero dal consumo così come a ognuno è dato di poter agire o manifestare”.

Beh, direi che una, limitazione del proprio…. diciamo… attuale piacere può non necessariamente tradursi in una perdita di utilità, anzi può determinare una maggiore opportunità futura quale potenziale tendenza al consumo, o almeno tendervi. Ti dico, Ettore che l’opportunità può essere ricondotta ad un uso del consumo stesso, che può appunto essere attuato per sostenere e mantenere la propria eventuale visione di distinzione sociale o di imitazione; l’auspicio, perché in parte di auspicio si tratta, è che tale uso possa mirare a differenziare il proprio agire dalla visione predominante, cioè quella esistente nel contesto di consumo che consideriamo. Diciamo che potremmo guardare con favore a un consumatore che possa essere definito innovatore; ma su questo ci ritorno dopo, Ettore.

Generalizzando, dunque, poniamo che il comportamento di consumo sia mosso esclusivamente dal legittimo interesse personale e dunque poniamo come esclusivamente mosso da un bisogno fisiologico quale ad esempio quello della propria sussistenza in termini di alimentazione. Il comportamento, dunque, può tendere magari a soddisfare anche un bisogno sociale ovvero un bisogno di appartenenza o di raggiungimento di uno “status” che può scaturire da un sentimento innato o indotto. Ebbene anche se il comportamento di consumo è mosso esclusivamente dall’interesse personale, tuttavia il bisogno di realizzazione dell’interesse personale può essere soddisfatto anche tramite un comportamento caratterizzato da ethos e da proattività, fino a giungere all’autorealizzazione che possiamo assumere come l’esito di un atto immanente e significativo in quanto a prosocialità. Un tale “traguardo” può essere al tempo stesso motivo e oggetto di “trasferimento” ad altri consumatori di modi e modalità di consumo con caratteristiche di sostenibilità: ciò a maggior ragione se si tratta di modi e modalità che sono o possono essere considerati condivisibili.

Ettore: “Quale logica può esserci dietro al comportamento di consumo, Giorgio?”

È una domanda complessa, Ettore. Direi di fare una pausa e poi riprendiamo… che ne pensi?

Ettore: “La penso come te?”

GIORGIO CORATI                                                                                               (SEGUE)

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Bibliografia
* Pubblicato il 16 ottobre 2024 su https://spazioliberoblog.com/2024/10/16/io-sto-con-i-pesci-lazione-umana-associata-a-un-codice-di-comportamento-di-consumo-di-prodotti-della-pesca-basato-su-strategie-di-economia-circolare-7-cap3/.
 
[1] ONU. (2015). Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. New York, USA. Vedi https://unric.org/it/agenda-2030/.
2 ISMEA. (2011). Il pesce a tavola. Percezioni e stili di consumo degli italiani.
Sito web consultato il 24 marzo 2021: http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6191.
Vedi anche, https://www.ismea.it/flex/files/8/d/3/D.25cca46d51044a997371/Il_pesce_a_tavola.pdf.
3 Sen, A. (2015, [1987]). Etica ed economia. Roma-Bari: Laterza.
4 Bauman, Z. (2010). Consumo, dunque sono. Roma-Bari: Laterza.