“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI –   VIAGGIATORI SI NASCE

di MICHELE CAPITANI ♦

 Cospicuo in mezzo alla folla misera dei senza-dimora della stazione, quando fra loro c’è anche Stefanone lo si vede e lo si sente. Perché la sua voce è sempre robusta, concreta e spessa, anche quando non urla, anzi non urla proprio mai perché non ne ha bisogno, col suo tono non fastidioso, che non parla mai troppo a lungo né a sproposito. Né urla né sussurra: l’uomo è la sua voce, che non cambia, e la corporatura piazzata e alta è perfettamente adeguata.

  Presente e ben piantato, mai invadente.

  Ha un faccione largo in proporzione, sempre con un’espressione franca e uno sguardo diritto a osservare il mondo e gli altri, e che non ha perso nulla di una sua fiera lucidità e intelligenza, pur tra alcune rughe, poche eppure profonde, come fossero delle rotte che ha inciso percorrendo la vita in su e in giù, e da cui è stato percorso…

  Lo conosciamo una sera alla stazione, appunto, portando pasti a chi si trova là: a volte c’è qualcuno e a volte nessuno, in quell’assemblaggio sempre casuale e incoerente di uomini in cerca di un tetto e una bolla di calore provvidenziale e passeggero. La voce vigorosa e l’accento viterbese connotano Stefanone su tutti.

«È la prima volta che vieni qui?»

«No, ma mi muovo molto, per esempio ogni giorno prendo l’autobus e vado a Terni a pranzo»

«Fino a Terni?!»

«Sì. Autobus fino a Viterbo, poi un altro, oppure treno, fino a Orte, e da lì ancora corriera fino a Terni. In realtà lì si cena, non è che si pranza, però io conosco tutti, e mi fanno entrare. E poi il pomeriggio aristò qui!»

«Ma appunto, qui a Civitavecchia come sei capitato?»

«Perché una volta sul treno Ancona-Roma ho conosciuto una ragazza, quella che per un po’ era stata con me qui alla stazione, che mi ha detto che era di qui, e perciò…»

  Non va a mensa a Viterbo «perché ti trattano male, e ti danno per giorni e giorni di seguito le stesse cose avanzate e riscaldate»

«Sai che qua vicino c’è una mensa?»

«La conosco ma non mi piace, lì se uno porta il vino di nascosto e se lo beve non gli dicono niente, e purtroppo lo fanno in molti; non come qui che ci sono regole più chiare»

  Gli fa onore tanta attenzione all’alcol, così infrequente nel popolo della strada; un’altra conferma della compostezza e lucidità che avevo subito notato in quest’omone.

«Ah, Stefano, anche a Ladispoli c’è la mensa tutti i giorni, lo sapevi? È più vicino di Viterbo»

«Ma guarda che io più lontano vado e meglio è, perché così non sto fermo, e impiego il tempo. E poi su dalle parti mie, tra Viterbo e Terni, conosco tutti, vedo amici, rimedio sempre qualcosa»

  La domanda “E allora perché non resti su?” per ora me la tengo: se si vuole essere giusti con gli ultimi è meglio trattarli come chiunque altro, perciò c’è da essere discreti e graduali: chi avrebbe piacere a ricevere una domanda dopo l’altra da uno sconosciuto incontrato una sera alla stazione?!

«Non perdo i contatti, ce li ho in tutta Italia, Be’, col lavoro che facevo…»

«Cioè?»

«Camionista. Facevo più di cinquemila chilometri a settimana, quasi seimila, soprattutto tra Genova e Reggio Calabria. Poi purtroppo la ditta è entrata in crisi e ha chiuso, e io mi sono ritrovato a girare… solo che ora giravo a piedi.

  Qualche occasione c’è stata: un giorno che ero a Parma, stavo sotto la pioggia con il k-way a mangiare un panino, e passa un tizio, me se ferma davanti e me fa:

“Ma lei mangia qui, così?”

“E dove devo anna’?”

“Che patenti ha?”

  Gli ho detto tutte le patenti che avevo, quello è rimasto impressionato e mi ha preso subito. Potevo guidare pure le astronavi! Però in nero, gliel’ho chiesto io, “perché se me risulta un contratto poi va tutto alla mia ex-moglie, e a quel punto me converrebbe restare disoccupato”. A lui è andato bene.

“Ma se me fermano?”

“Tu non ti preoccupare, tra Genova e Parma io conosco tutti. Le multe te le faccio togliere” mi ha detto quello. Per fortuna non mi ha mai controllato nessuno.

  Un giorno il figlio mi chiede se lo porto con me, per imparare il mestiere; io però gli ho risposto: “Guarda che te nun sei idoneo, lo vedo subbito”, ma lui ha insistito tanto, io gli dicevo “Lascia perde’, non è il lavoro pe’ te” ma alla fine ho ceduto, era pur sempre er fijo der padrone.

  Mi ricordo che scendevamo dal Veneto, io avevo già dodici ore di guida, e gli ho chiesto se voleva condurre lui per un po’, ma mi sono premurato, gli ho fatto tremila raccomandazioni. Al risveglio, all’altezza di Fabro, mi dice contento:

“Oh, guarda che ci abbiamo un caffè pagato!”

“E perché?”

“Perché ho fatto a gara con un altro camion, e ho vinto!”

  Lì ho capito che avevo fatto una cazzata a portarmelo appresso, infatti con me nun c’è più venuto. Purtroppo, dopo poco è finito giù da un cavalcavia tra Firenze e Bologna. Cento metri di burrone, il bilico ancora sta lì, hanno tirato sù solo a lui… Il padre non si è più ripreso, ha mollato la ditta, ci aveva pure proposto di rilevarla ma non avevamo soldi a sufficienza, e allora sono subentrati degli svizzeri che hanno preso tutto, solo che hanno messo gli autisti loro. Io poi stavo in nero, quindi…

*****

«Comunque io non so sempre stato così: una volta ci avevo la barba lunga, avevo abiti vecchi…»

«Insomma un barbone vero e proprio»

«E già. So’ stato a dormi’ pure a via della Conciliazione…»

  Io cerco per un attimo di ricordare se lì vi siano centri di accoglienza, ma lui, come rispondendo ai miei pensieri:

«… stavo sui cartoni, proprio sotto il portico davanti a San Pietro» e fa un gesto, sorridendo, come a dire che da quel posto sui cartoni si godeva un panorama eccezionale!

«Ma ne ho visti, di posti belli, sa’: te l’ho detto, 5850 chilometri a settimana di media, fra Torino e Reggio Calabria»

«A te ormai chi t’ammazza?»

«A me? Nessuno! Io sto attento solo a attraversa’ la strada, per il resto non mi fa paura più niente»

  Di fronte a me ecco un uomo indurito, inevitabilmente, ma che ha sconfitto il nocivo, fetido e vischioso istinto a lasciarsi scivolare nel burrone da cui non si risale.

  Anche sulla strada, un uomo può trovare la sua via.

«Piano piano ti adatti e resti forte, fai i conti con la realtà e ti adatti, anche perché non è che ci ho mai avuto niente da nasconde’. ‘Na vorta mi hanno fatto la multa sul treno, mi hanno chiesto l’indirizzo, allora j’ho detto:

“Abito a Viterbo in viale Rossi, terza panchina, ottavo lampione”

“Ma questo non è un indirizzo!”

“Eh, ma io lì abito!”

  Per mangiare non c’è problema, te l’ho detto: tra qui, Viterbo, Terni, Perugia, ho amici, e si rimedia sempre qualcosa. Conosco tutti, anche sui mezzi», ed è vero: tra qualche giorno deve andare a Milano per un controllo, «perché mi sono operato al cervello, però ce l’ho bono! Ci ho una placca, per questo tengo quasi sempre il cappello, per il freddo e l’umidità, e ogni tanto mi devo far controllare. Ho chiamato un mio amico che fa il controllore sui Frecciarossa, mi ha detto quando è di turno, allora piglio quel treno! E se non conosco nessuno magari salgo lo stesso, al massimo me fanno scende’. ‘Na vòrta da Milano a Roma ci ho messo quattro giorni, ogni stazione me mettevano giù! Un’altra volta dalla Puglia ci ho messo un casino de tempo, però era in autobus, la Marozzi, e controllavano col codice a barre, e poi contavano i passeggeri, e se ce n’era uno in più se ne accorgevano. Io ero salito da dietro, di nascosto, ma non c’è stato niente da fare.

  Ma io so’ de razza tosta, che te credi: mia madre ha 76 anni ma ancora è arzilla, va a ballare col compagno (è divorziata da quarant’anni); certo per lei la mia separazione è stata un duro colpo; per questo non le ho detto la vita che faccio, questa gliel’ho risparmiata: sa che sto da un amico a Roma. Le ho detto che non lavoro, questo sì, per questo ogni tanto mi dà qualcosa.

  Un uomo solido, e accorto:

«A Parma dormivo in una struttura gestita da un’associazione, poi è cambiata gestione ed è peggiorata. Una sera sento che mentre stavamo mettendoci a letto c’era uno che caricava la pistola sotto il cuscino, “Perché qui è meglio stare sicuri” mi dice quello. Altri due che giocavano lanciando i coltelli contro la porta… Allora ho fatto fagotto e me ne sono andato».

«Meglio la strada, certe volte» osservo.

«Sicuro! Tanto mi sono abituato a tutto. Pure ai controlli incessanti: da camionista non mi controllavano quasi mai, invece da quando sto per strada 860 controlli documenti in 15 anni, l’ho contati. Mi ero fatto una fotocopia ingrandita della carta d’identità e me l’ero appesa al collo!

  Stanotte m’hanno cacciato da ogni posto: dal porto, dal lungomare, dalla panchina… non sapevo più dove andare. Poi mi hanno detto che qui passava qualcuno con dei pasti, e perciò…»

  Come i più saggi tra i senza-dimora, anche Stefanone insomma è un uomo-gatto, che si ferma laddove c’è qualche anima che gli dà da mangiare, ma restando sempre pulito, accorto e autonomo.

  Gli dico che se resta qui qualche altro giorno, tra una settimana ci sarà la processione del Venerdì santo, molto suggestiva… E qui il suo sguardo per un attimo sembra divagare coi ricordi:

«Me lo ricordo bene, quel 30 aprile 2006, era un po’ dopo Pasqua, la prima volta che sono uscito di casa per dormire sulla strada»

  Ma nessuna nostalgia in lui può durare davvero: pessimista e disincantato, ma sempre lucido e mai abbattuto, poche settimane dopo Stefanone porterà aria di festa: sempre alla stazione, in una bella sera di inoltrata primavera:

«Ma oggi c’è pure la birra?»

  Lui dice, con la sua voce sempre robusta, che adesso ha pure una velatura di trionfo:

«Sì, l’ho portata io»

«Ah, e come mai?»

«Perché oggi sono esattamente quindici anni che vivo per strada, da quel 30 aprile»

«Insomma ti ci trovi bene, alla fine!»

«Eh, per forza. Certo, passo a trovare mia madre ogni tanto, ma casa mia ormai è dappertutto. Un po’ con la vita che facevo da camionista, e poi adesso con la vita di strada, ci ho le cose sparse in un sacco de città»

  Chi ha bisogno di più di una valigia è un turista, non un viaggiatore: Stefanone dimostra tale verità con una chiarezza che non ammette repliche: il viaggiatore nella sua pura essenza, insomma, è lui.

  Del senzadimora ha di tipico che non lo si diventa intenzionalmente ma ci si scivola, e poi semmai ci si abitua. Ma via via, con la sua lucidità, si è distaccato anche da questa definizione, essendo uno dei rari uomini che è riuscito a farsi, della strada, una casa vera e convinta e a suo modo confortevole. “Strada” nell’accezione più ampia che si possa dare: le strade del mondo.

  C’è chi viaggiare lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, poi c’è chi viaggia per visitare, chi per ricongiungersi a un affetto, chi per ragioni mediche, chi per scappare, chi per delinquere, per formarsi, per tentare la sorte… O per fuggire da sé e non incappare nella propria incapacità di resistere ad amicizie distruttive o a tentazioni autodistruttive.

  E lui è un eterno viaggiatore su gomma, quella dei camion, e ora quella delle scarpe, perché i viaggi, quelli veri, “non iniziano e non finiscono: semplicemente cambiano forma”.

*****

  Sparirà per un po’, ma oramai, conoscendolo, non mi viene proprio l’istinto di preoccuparmi per cosa possa essergli successo. Infatti qualche mese dopo, in un Ferragosto in una struttura sul mare, organizzato anche per persone della strada, ci rincontriamo, con grande contentezza.

  Mi racconta che adesso fa avanti e indietro con la Spagna, sempre appoggiandosi senza una vera stabilità, trovandosi benissimo in questa vita, come sempre; prova ne è il fatto che alla fine «Ho lasciato la casa alla mia ex moglie, nonostante il provvedimento:

“Ma il giudice l’ha data a te” mi ha detto lei.

“Fa niente” j’ho risposto.

“Come sarebbe?”

“Io sto bene dove sto”

“Ma dove stai?!”

“Dappertutto”

  Dopo il pranzo e la cocomerata, qualcuno attacca il karaoke, e a quel punto sento di nuovo, ma in una sfumatura che non sapevo, la poderosa voce di Stefanone: sta cantando “Io vagabondo” dei Nomadi! Lui e il sardo Mario si esibiscono, e quando arrivano al verso “chissà dov’era casa mia…” si guardano e lo cantano ridendo e alzando ulteriormente la voce, facendo gesti ironici come a dire “roba passata”, e alla fine commentano «Ma quale canzone, i veri vagabondi siamo noi!»

  Pertanto, nel capovolto mondo della strada, anche questo può accadere: la favola senza magie di un uomo che col tempo ci si accomoda mantenendo lucidità e sorriso. Che poi, a pensarci bene, anche questo è una magia…

  Perché viaggiatore si nasce.

  E lo si rimane.

MICHELE CAPITANI

https://spazioliberoblog.com/

SPAZIO CLICK