“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – PATRIZIO, OVVERO: DELL’INQUIETO PROCEDERE

di MICHELE CAPITANI ♦

  Nella memoria di un insegnante, certi gruppi classe appaiono poco più che una ciurma incolta (male che vada) o semplicemente una risma indistinta; non sono necessariamente indisciplinati, ma non si ritagliano una forma netta dentro di te, di loro non ti rimangono immagini perché non suscitano aneddoti e atmosfere, specialmente dopo anni di insegnamento.

  Invece, ci sono certe spiccate individualità che ti si stampigliano dentro formando un ricordo nitido e perfetto, per nulla soggetto allo svaporare della memoria, in quella figura, in quel modo di essere e di parlare, di scrivere, di chiedere. In una loro presenza che non sbiadisce.

  Un alunno indimenticabile fino a che ci ricorderemo degli anni della scuola serale, per me e le mie colleghe, è senza dubbio l’adolescente Patrizio…

 

*****

 

  Egli è quello che più di tutti ci osserva, ma ci osserva davvero: si è fatto dare nientemeno che un libro sulla prossemica, da una mia collega!

  Arriverà a chiederci:

«Professo’, ma tra di voi, chi è che se la comanda?» aggiungendo «Voglio saper osservare, così riesco a capire cosa pensate…»

  Io gli faccio:

«Ma da dove ti viene questa curiosità?»

«Lo devo sapere perché anche qui, a scuola, so’ tutte forme de controllo»

  Ma non è solo sospettoso: è uno dei pochi alunni che ci pone domande, e con continuità, anche su faccende importanti («Ma perché l’uomo comanda il mondo?»).

  Quando capisce che tu adulto hai dato una buona risposta, o che hai proprio controbattuto, ti guarda con un sorrisetto, come a dire: «Hai capito che non volevo una risposta di comodo, e mi hai  fregato!»

  Memorabile nell’atto di domandare, Patrizio lo è altrettanto nel dare risposte, che sono sempre immediate, centrate e schiette. Quando Rita, un’altra collega, ha l’inappropriata idea di chiedergli, alla fine delle lezioni:

«Patrizio, dove vai stasera?»

«Ah professore’, e ‘ndove devo anna’?! Mi’ madre nun ce sta, e a mi’ padre j’hanno dato nove anni…»

  Patrizio è quello che a ricreazione si mette sulla staccionata di fuori, come uccello che osserva sovrastante, e, senza curarsi che gli altri lo sentano, cava fuori i suoi enormi interrogativi: li pone alla paziente Ilaria, sua amica, che ci guarda divertita col suo sguardo sempre placido. Oppure, se gli passa davanti la sua ex insegnante di religione, lo senti uscirsene con questioni del tipo:

«Ah professore’, tu che sei ammanicata con quelli lassù (e indica il cielo), ma secondo te, quanno Gesù Cristo ha aperto le acque, cosa ce voleva insegna’?» (sorvoliamo su una certa confusione scritturistica…).

  O anche:

«Ah professo’, ma secondo te quanno Gesù Cristo ha dato i comandamenti, e lo sapeva che nun li potevamo rispetta’, allora era ‘na faina perché ce voleva frega’?»

  A volte viene a scuola dopo aver assunto qualcosa, è evidente dallo sguardo, dal tono di voce, dalle movenze, ma noi ci mettiamo poco a capire che lui è proprio così, senza filtri in niente, nemmeno verso certe tentazioni, purtroppo. E se arriva in ritardo o scalpita per uscire prima, sappiamo che la sua presenza è comunque viva e attiva: non sopporta di stare in un luogo del mondo senza cogliere occasione di cercare riposte, per capirne i fili nascosti. Un giorno che c’è stato un contrasto tra tutti noi insegnanti verso una collega, lui entra e, ancora nell’atrio, giusto il tempo di lanciare uno sguardo di qua e uno di là, poi mi dice, ma senza malizia:

«L’avete messa da parte, eh?»

  Inferenza inoppugnabile.

  Patrizio è un ignaro stregone, che col tocco del suo appuntito sguardo fa diventare trasparente chiunque.

  Ma non è solo questo.

  Come scrive l’albanese Ornella, sua compagna di classe, di poco più grande: «Patrizio, due parole so, per lui: è meditabondo, è mansueto»

  Ed è vero, perché, se non da una forma di meditazione, da dove altrimenti potrebbero uscire richieste di aiuto a comprendere la realtà, come le sue indimenticabili domande?

  Alle volte è di un nervosismo incontrollabile, ma il Patrizio ragionevole tenta sempre di non soccombere, comunicando esplicitamente il suo nervosismo (“So’ nervoso, so’ nervoso, me ne devo anna’ via!”), e di leggere sé stesso e di capire: infatti solo con un ragionatore come lui, malcelato sotto la scorza di ragazzo borgataro, possiamo permetterci di discutere:

«Patrizio, rifletti su quanto sei nervoso oggi: sei in condizione di restare in classe?»

  Oppure:

«Senti, oggi ci sono anche in bambini del doposcuola, che esempio vuoi dare? Decidilo tu»

  Solo con chi è già maturo si può parlare in questi termini, e non è detto che un sedicenne lo sia meno di un adulto.

  Solo in due occasioni sarà veramente aggressivo: una volta in classe dà un cazzotto a un compagno, praticamente senza motivo. Succede che nel bel mezzo di una normalissima spiegazione, la collega si accorge che gli si sta sformando il volto (dev’essersi fatto anche oggi), tanto che un compagno vicino gli dice: “Ahò, ma che te sei fumato?”, allora Patrizio gli si avventa contro, sferrandogli un pugno.

  Sospensione, per forza. Il compagno capisce e usa buon senso: anche per lui la cosa migliore è lasciarsi tutto alle spalle prima possibile…

  La seconda volta sarà quando, un giorno che è in cortile per la ricreazione, sbotta verso due colleghe di un’altra sezione, che stanno parlando, perché lui è nervoso e dunque gli dànno fastidio. Riusciamo a calmare gli animi, sorvolando sulla penosa reazione delle due, che invece gli rispondono a tono, abbassandosi al suo livello, raccogliendo le provocazioni, e arrivando quasi a minacciarlo.

 

*****

 

   Riporto qui sotto un suo tema: non è certo il suo migliore, anzi lo svolgimento è acerbo e inquieto, d’accordo (confesso di non esser mai riuscito a fargli assumere un minimo di programmazione dei contenuti, di fargli stilare una sia pur scarna scaletta delle cose di cui scrivere), ma rivela la sua erompente voglia di capire dove si sta, di osservare le cose anche da più punti di vista, e di comunicare che in qualcosa si vuole cambiare.

  Il titolo è “Racconta le prime settimane di scuola serale”:

«Bocciature di qua, bocciature di là, e infine mi è toccato il serale quando potevo andarmene e finire la scuola impegnandomi negli scorsi anni.

  Negli anni passati la scuola era diversa dal mio punto di vista, qui al serale mi sento più a mio agio, quella del mattino era un altro luogo, un altro territorio.

  Non ho avuto tanti problemi di scuola, era solo il fatto che lo scorso anno mi hanno bocciato, e ho notato che questo, di anno, la mia personalità è cambiata, ed è un pregio, cosa che quest’anno ho capito della scuola.

 Oltre tutto io sono un po’ sempre in me stesso, cioè sempre chiuso; il fatto di uscire alle otto di sera mi carica, e questa cosa entra su quel “sempre chiuso”: pensaci, e immagina dall’alto un ragazzo che di sera esce di scuola, anzi cinque giorni su sette, e che percorre un tratto di strada per andare a casa, lo vedi?

  Tutto torna! Torna il fatto che questo ragazzo tutti i giorni esce da scuola, va a casa, rientra a scuola e di nuovo esce, in poche parole questo ragazzo vuole cercare una fine mai trovata e che ancora cerca.

  Tutto sommato mi trovo bene in classe anche perché ho degli amici ed una amica in particolare: parlandoci e capendoci, ci si trova bene, quindi voglio arrivare al punto che con i miei compagni ho la coscienza a posto.

  Invece con i professori è diverso, cioè parli con una persona che a mano a mano ti studia e quindi ti conosce e ci puoi parlare liberamente, anche perché sono adulti e hanno le loro caratteristiche come noi ragazzi abbiamo le nostre.

  Comunque da come ci sono finito e da come ne uscirò, sarà ben tutta un’altra storia, quindi: rimboccata alle maniche, “scrocchiata” al collo, un bel sorrisetto e si va per il prossimo anno scolastico»

  Testo malamente ellittico, dai nessi misteriosi, eppure icastico e franco, come è lui stesso.

  Un tipico tema-persona.

  Non riuscirà però a ottenere subito la licenza media: il primo anno ha periodi di assenza, e pesa la sospensione a causa dell’ aggressione al suo compagno, non premeditata ma violenta e inescusabile

  Tornerà l’anno successivo, più calmo e costante, forse usando meno “roba”, ma soprattutto decisissimo a procedere nel suo cammino: gli hanno proposto un lavoro e non vuole lasciarselo scappare.

  Il giorno dell’esame orale, cioè l’ultimo giorno che lo vedremo, si presenterà tutto rasato a zero, tranne un disegno a freccia tracciato coi capelli cortissimi. Una freccia puntata in avanti!

  Noi ci ridiamo, lui no, resta serio e attento come sempre, pensando “Me stanno a pija’ in giro? O rido anch’io?”, al che io gli faccio notare che la freccia puntata in quel verso significa anche volere andare avanti.

  Lui non ci aveva pensato, eppure l’ha fatto, quel segno in testa, e credo che non aver collegato tale originale significante con questo possibile significato sia segno che il suo desiderio è davvero profondo.

 

*****

 

  Patrizio è figlio di un incallito rapinatore della mala romana, che ora è recluso lontano da qui (e lo resterà per parecchio) ma che, quando era ancora a piede libero, era molto presente alla vita di suo figlio. Gli assistenti sociali con cui ci confrontiamo per saperne di più su questo ragazzo, tanto intelligente quanto inquieto, ci raccontano che se lo ricordano molto bene il padre, che non era propriamente un modello di cittadino ma a cui non si poteva muovere nessun appunto sul suo essere presente come genitore: la famiglia era famigerata e segnalata, ma lui lo accompagnava sempre e rispondeva agli assistenti; ci teneva parecchio a quel suo ragazzo.

  Chissà che le ficcanti domande che ora questo quasi-adulto pone senza filtri e ad amplissimo raggio, a qualsiasi interlocutore, non gli vengano anche da quel modello paterno tanto controverso e ambivalente? Che deve avergli lasciato affetto e presenza, per quel che poteva, ma pure tanti interrogativi e contraddizioni.

  E io, come potrò dimenticare un alunno che mi chiede: «Professo’, ma veramente je piace ‘sto lavoro?» e che poi, per di più, ascolta molto attentamente la mia risposta…

  Del resto, anche se non trova subito tutte le risposte, oppure non se ne contenta, o non sa come inserirle nel già noto, so che lui continuerà a diramare la sua sfacciata e volenterosa esigenza di conoscere il mondo e chi c’è al centro, cioè lui stesso.

  Curiosità che forse è positiva declinazione dell’inquietudine, anzi vi sfuma fino a esserne sinonimo. È l’eredità di cui è ricchissimo Patrizio.

  Uno di quegli alunni che sicuramente mi mancherà.

MICHELE CAPITANI

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