SE IO POTESSI CONOSCERE QUELLA VIA.
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Se io potessi conoscere quella via!
Se potessi conoscere la via che mi riconduce all’infanzia, a quella terra dell’innocenza
dalla quale un tempo mi sono distaccato.
Quale follia mi possedette quel giorno che lasciai la mano della mamma!
I miei occhi ,ora, sono stanchi di vedere. Vorrei poterli far riposare senza lotta, senza dolore, esausti.
Essere dolcemente ravvolto fra le braccia materne come un ingenuo bambino.
Non voglio più cercare, niente più sperare, tutti i sogni tristi rimuovere.
Chi mi può indicare la via, mostrarmi il sentiero del ritorno per ritrovare la terra dell’innocenza?
Cerco invano la gioia qui intorno a me, ma vedo solo arida terra e sabbia accumulata.
Ritornare in quello spazio, in quel tempo .
Eravamo esseri felici, meravigliati, smarriti ,fanciulle e fanciulli aggrappati alle vesti della madre.
Una impossibilità dovuta alla irreversibilità del tempo ma che è resa possibile solo quale anelito, come semplice movimento del cuore.
Per un attimo, per un piccolo breve attimo del tempo uggioso lasciamo sospese le nostre abitudini, ignoriamo gli affanni ,lasciamoci andare a ritroso della corrente sognando il nostro individuale perduto paradiso.
Non è questa una regressione patologica.
Non è questa la penitenza che si dovrebbe possedere per accedere al Regno di Dio: se non diventerete come bambini….(Matteo).
Nulla di tutto questo.
E’ solo il sogno ad occhi aperti in un mondo che ci delude sempre più.
Non è ,forse, il nutrire delusione il tratto distintivo di ogni anziano? Forse è veramente l’effetto dell’età: il corpo giovane sente il mondo, ma il corpo vetusto ascolta per lo più se stesso e restringe l’esser nel mondo al solo spazio vitale.
Tuttavia, il mondo nel quale siamo sempre meno attori presenta incomprensioni che sembrano essere anche oggettive e non solo soggettive. La tecnica impetuosa che agita il mondo genera benefici indiscussi ma sembra sempre più insufficiente a compensare adeguatamente i danni che provoca (guerre, ecologia in pericolo, diritti civili negati…). Dunque, stiamo assistendo al fatto che la tecnica appare ora come un problema e non come una soluzione.
E questo è un dato di fatto, non un sentimento di senilità.
Questa “controfinalità” del fare tecnico crea instabilità minacciando lo sfaldarsi di un epoca che sembrava piena di promesse. Per l’osservatore carico di anni il senso della esistenza si lacera e si fa esperienza dell’impotenza. E’ naturale il rifugiarsi nel silenzio o nel silente dialogo fra omologhi , sintomo più evidente della sofferenza.
Ecco, allora, sorgere quell’icona della sofferenza che è la struggente nostalgia verso l’età dell’oro.
La farfalla ed il suo sogno di crisalide.
Attraversare il passato invece di procedere avanti. Ripercorrere la via con gli occhi di chi conosce ogni attimo dell’evoluzione e godere dei piaceri, soffrire delle pene, amareggiarsi delle tante occasioni perdute, dei momenti inutili, delle passioni tralasciate, delle ansie che hanno tormentato, dell’incanto gettato al vento. E così penetrando nel già trascorso giungere, alfine, a quel tempo innocente ed ivi indugiare. A quel tempo dove la madre protegge col suo abbraccio, dove il suo bacio accompagna il sonno mentre la sua voce riscalda, per sempre….
Forever and ever.
Demis Roussos ci accompagna trastullandoci in questo viaggio sentimentale.
Il dissolvimento naturale e continuo delle relazioni con i nostri coetanei apre al mondo interiore, anela all’utopia, sogna paradisi impossibili invitandoci a trascendere la situazione nella quale siamo tremendamente infissi.
Ed ecco che, allora, una voce tremula, incerta, si fa strada : se soltanto io potessi conoscere quella via!
. . .
Il brano iniziale è una libera traduzione del testo musicale Heimweh ( dolore per la patria perduta, ovvero Nostalgia). Testo scritto nel 1848 per Johannes Brahms ( Heimweh II). La tonalità baritonale esalta lo struggimento di una età che ha accumulato anni e stanchezza ed invoca l’ assumere una vana meta.
Ridiscendere alle madri.
“ Alle madri: per quanto il mondo gli renda difficile il sentire, l’uomo quando è commosso, sente profondamente ciò che è l’infinito.”. (Goethe, Faust).
Ma questo tema dell’appello alle madri richiede una meditazione diversa che si proverà a fare in seguito.
CARLO ALBERTO FALZETTI

Oggi l’appello alle e delle madri appare inascoltato e l’età dell’innocenza oltraggiata. Un’operazione di nostalgia in questo momento storico può essere solo soggettiva e romantica come il testo scritto per Brahms nel 1848:una data che solitamente è considerata quella della “fine” dell’età romantica e dei suoi mi, tra cui la nostalgia come doloroso nostos. Ma ora dove tornare? Se non leopardianamente alla nostra età passata e illusoria? Per riportarne quale sentimento? Si rischia di non comprendere più il tempo in cui ancora viviamo e vivere di nostalgia non aiuta e può farci diventare, anche storicamente, laudatores temporis acti…Io voglio capire i miei “consorti” fino all’ultimo, almeno provare a farlo.. Anche insieme a te, Carlo carissimo
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Mi vengono in mente gli occhi della bambina palestinese, che sta per morire per una commozione cerebrale ed uno stress traumatico” voluto dalle bombe”, dalla tecnica israeliana. Non ha potuto vivere la sua infanzia felice, magari in una tribù beduina che poteva spaziare nel suo deserto.
Tutto ciò , per ” intuizione”, mi rimanda a Rousseau, non per il Contratto sociale, non per la democrazia diretta, non per la “Democrazia”, mi rimanda all’ educazione naturale per l’ infanzia. E’ questo il nostro paradiso perduto, dove le verità sono acquisite solo ascoltando la voce del sentimento. Dice Rousseau : ” Se gli dividete il cuore, lo strazierete”.
E l’Emilio si rivolge agli uomini delle società corrotte, perché preservino almeno i loro figli dalla corruzione.
Dato che ci troviamo in questo stato di corruzione, preserviamo i nostri figli dalla corruzione. La trascendenza si può trovare qui, nella religione naturale, il paradiso perduto che non vogliamo riconoscere, chiudendo gli occhi di fronte alle atrocità della guerra.
Paola.
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I vecchi un tempo conoscevano la saggezza perché padroneggiavano con l’esperienza un mondo o immobile o sostanzialmente non dissimile da quello della loro giovinezza. Il mondo contadino con il suo sapere trasmesso di generazione in generazione. Ora i vecchi inseguono il sapere “tecnico” dei giovani, frustrati dalla lentezza dell’apprendimento, competono inadeguatamente fin quando le risorse consentono, fin quando non diventano un peso sociale. La nostalgia non è permessa se ci si deve continuamente confrontare con un sempre mutevole presente, con una tecnica che annulla o confonde le differenze generazionali e i ruoli. I vecchi non sono più vecchi, sono ragazzi invecchiati.
Ettore
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