LAVORO SICURO O SICUREZZA SUL LAVORO ?
di STEFANO CERVARELLI ♦
Stiamo vivendo una stagione complessa segnata ancora dai residui del Covid, la cui coda si dibatte ancora tra noi sebbene più fievolmente, immersi in scenari di guerra nei quali ci agitiamo alla ricerca di verità che possono, diciamo così, in qualche modo aiutarci a vedere l’orizzonte più limpido.
Come se non bastasse anche il mondo del lavoro desta preoccupazione di ogni tipo, sia nella società che nelle famiglie; assistiamo indubbiamente ad un peggioramento della sua qualità in fatto di sicurezza: troppi i rischi per la salute, troppi gli incidenti mortali. Così facendo viene messo in discussione, a causa del profitto, il valore dell’umano, l’unico capitale che sia vera ricchezza.
Papa Francesco, nel corso dei suoi numerosi interventi sull’argomento, è stato chiaro: “La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore”.
Dopo la tragedia di Brandizzo, dove cinque operai furono travolti da un treno mentre eseguivano lavori di manutenzioni lungo la linea ferroviaria, anche il Presidente Mattarella aveva lanciato un grido d’allarme: “Non stiamo facendo abbastanza”. Purtroppo, a distanza di poco tempo, abbiamo dovuto constatare che aveva, tristemente, ragione. Di lavoro si continua a morire, come dimostrato dal recente crollo a Firenze e la tragedia nello stabilimento Stellantis dove un operaio è rimasto schiacciato da un macchinario.
Che di lavoro si continui a morire lo testimoniano i dati Inail; nel 2023 si sono avute in media 80 morti al mese, mentre nell’ultimo ventennio i decessi sul lavoro nel nostro Paese sono stati 26.199, 1.300 ogni anno.
Numeri, percentuali, aride statistiche, ma dietro ciascun numero c’è una persona, una famiglia devastata, interrogazioni statistiche si rincorrono e rincorrono ogni volta, solenni impegni dichiarati e mai mantenuti; le chiamano “morti bianche”, morti che non fanno “rumore” se non quando sopraggiunge un treno a tutta velocità o crolla una trave di cemento (sembrerebbe mal costruita e mal posta), ecco allora che le luci della ribalta si accendono su queste povere vittime, su questi corpi straziati, su famiglie catapultate di un tratto nell’angoscia. Apro una parentesi per dire che se la vittima del lavoro è una sola il clamore, i dibattiti, “i chiediamoci il perché” sono molto ridotti, e nei giornali trovano appena lo spazio di un quarto di pagina: bisogna morire in tanti per fare notizia? Chiusa parentesi.
Le reazioni della politica, dei sindacati, dell’opinione pubblica certo non si fanno attendere, ma forte il dubbio e veloce avanza il pensiero che si tratti del consueto quasi doveroso “allarme intermittente” che fa accendere i riflettori sulla tragedia avvenuta per il tempo dovuto, necessario, e la luce, forte, abbagliante nel tempo immediatamente successivo all’episodio vada poi man mano affievolendosi per non dico spegnersi del tutto, ma trasformarsi in un puntino di luce tutto sommato lontano.
Ma perché? Lo ha evidenziato bene il Presidente della Repubblica quando, in una lettere indirizzata al Ministro del Lavoro, indica come: “la cultura della sicurezza debba permeare le istituzioni, le parti sociali, i luoghi di lavoro” ed, aggiungo io, gli stessi lavoratori, che purtroppo, non lo si neghi, spesso non osservano scrupolosamente tutte le norme antinfortunistiche e di sicurezza.
Questa, purtroppo viene, molte volte, vista come “accessoria” rispetto al business delle aziende.
Scarsa prevenzione, formazione inadeguata, basso numero di controlli, ritmi frenetici.
Il ritratto della sicurezza sul lavoro, purtroppo, è fatto anche di troppi colori “foschi”, troppe pennellate fuori posto per indurre a pensare che si possa trattare solo di un problema contingente.
Ma che lavoro è quello che mette al centro prevalentemente i tempi di produzione e non la persona? Che chiede sacrifici, ma non offre sufficienti garanzie? Non è questo un modello economico da ripensare in un mondo che si dichiara progredito?
Muoviamoci quindi allora, ognuno nel proprio ambito, con le proprie forze, con le proprie possibilità affinché lo sdegno non sia solo di facciata, ricordandoci sempre, lo dico per chi crede, che la vita è un dono di Dio ed a noi spetta il compito di proteggerla e salvaguardarla da tutti i pericoli, e sono tanti, a cui è sottoposta.
STEFANO CERVARELLI

è allucinante appendere la propria vita al gancio della fortuna, del caso…il lavoro che non garantisce sicurezza su ogni fronte deve sparire
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Sono d’accordo con la tua lucida e umana analisi. Paola
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Grazie Stefano per la tua lucida riflessione che inquadra il rischio permanente sul lavoro all’interno di una globale società del rischio:un doppio paradosso soprattutto per un governo che si presenta “ad alta sicurezza” come quello attuale!!
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