DELL’INIZIO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Inizio dell’anno.

Resurrezione del negativo. Ovunque alberga l’iniquo, nella politica, nell’economico, nel sociale. L’odio si innalza di vari gradini: guerre reali e promesse di guerre future. Il disagio per il remoto carica di peso anche il disagio nella nostra prossimità. Ci soffoca quest’aria di ansia. Siamo tesi, sfiduciati, pronti a reagire contro l’altro che non condivide ciò che noi pensiamo giusto.  Anche nel nostro blog le cose non vanno come dovrebbero, quest’aria ci contamina. Eppure l’età dovrebbe sopire l’inquietudine.  Ma essere anziani non sempre significa essere saggi. Ed essere  vecchi non conduce sempre a saper giudicare..

Eppure siamo  lì a farci sommergere dal quotidiano che ci devasta e non distogliamo lo sguardo nemmeno per un attimo. A cavallo del vento siamo malmenati dagli eventi sempre più rovinosi. Siamo forse alla mezzanotte del secolo come dice Edgard Morin ponendo in evidenza una crisi antropologica: una crisi di umanità che stenta a diventare Umanità.

Ma , al momento, ho fatto un patto con la mia “tastiera”. Non voglio seguire questa strada. Commentare ciò che è fin troppo commentato: quella mistura di sovranismo, populismo, futilità,  consumismo, ubriacature collettive . Trump, Putin, Iran, Cina, Israele e revanscismo nostrano e secessione dell’Unità d’Italia.

Mi deprime. Non è forse così? E chi potrebbe smentirmi immerso come è in questa desolata situazione?

Vorrei, dunque,  provare a percorrere un sentiero diverso che ci conduca verso una meta più tranquilla, verso il regno dell’ utopia toccando note forse troppo “alate” per i più ma certo ben lontane da quelle “cattedrali della stupidità” che il mondo dei “social” ora rappresentano. Ben lontane dalla banalità del momento e dallo sconvolgente spaesamento degli animi.

L’inizio ha sempre qualcosa che apre alla novità. Qualcosa scaturisce, si rivela, esce dall’ombra.

C’è un inizio di anno, un inizio di mese, un inizio di giorno. Sono tanti gli inizi, punti di partenza collocati nello scorrere del tempo.

Ad alcuni di questi punti noi attribuiamo un  valore specifico. La data di nascita è un punto del tempo che acquisisce grande significato soggettivo  ma anche oggettivo pensando a quante volte noi ricorriamo a quella data considerata un parametro identificativo. Così è per il Capodanno. Così è per tutte le liturgie.

L’inizio, dunque, è una sorta di “segnatempo”: nasce e muore nel momento della sua rimembranza. Ma non tutto è o dovrebbe essere solo inizio,  semplice punto del tempo. Può accadere, seppur con difficoltà, che l’inizio acquisisca uno spessore diverso, una forza di fondo influenzi ciò che verrà, una potenza  contamini ciò che andrà a seguire.

Ed è allora che il termine initium deve cedere il posto ad un termine più appropriato, principium. Il principio è un “inizio perdurante” che non si esaurisce nel presente ma che domina il futuro.

Il giorno della fine di una guerra, ad esempio,  è un principio non un inizio: la sua ombra eccitante ricopre un arco di tempo esteso.  Qualcosa di intenso ha trovato compimento perché l’attesa è terminata e ciò che doveva compiersi si è compiuto.

Ma principio è anche qualcosa che conduce ad un cambiamento di paradigma politico, sociale, scientifico. Si comprende bene da questi pochi accenni quanto raro sia attribuire ad un inizio il crisma del principio.

Ma ciò su cui vorrei riflettere è che a livello individuale esisterebbe la possibilità di costellare la vita di principia trasformando meri inizi in qualcosa di profondo. Parlo di pura possibilità che,  in un mondo come il presente,  rasenta l’estrema utopia. Eppure, la possibilità esiste nonostante una probabilità di accadimento estremamente flebile (a ciò siamo ridotti!).

Questo il contenuto della brevissima riflessione.

 

Ogni giorno esiste una sola volta!

Ogni giorno, se ci fosse concesso di riflettere, se le pene del quotidiano fossero sopite, se l’affanno delle ore fosse domato, se il tedio cedesse alla eccitazione, se il sarcasmo che ci protegge come una scorza  fosse deposto, se l’impossibile accadesse, ogni giorno sarebbe segnato dalla gratitudine dell’ esserci.

 Ogni giorno è qualcosa che non tornerà più.

 Qualcosa di unico che non tornerà più: noi non saremo  più in quel punto del tempo.

 Svegliarci dal sonno notturno ed aprirci al giorno non dovrebbe essere un inizio, un punto del tempo, un monotono punto ripetitivo e banale. Il risveglio dovrebbe essere principio nel senso della gratitudine verso l’esistenza. L’accoglienza di un nuovo giorno di vita che il destino ci porge.

Comprendo che il poetico sembra invadere la fredda razionalità. Ma il sovraccarico degli anni può permetterci questo debordare. 

Per un solo attimo, per la durata dell’istante, pensiamo a riflettere sull’implacabile scorrere del fiume esistenziale. E tentiamo di dare valore all’esistenza per ciò che essa è e non per ciò che essa dovrebbe essere per le nostre attese, per le nostre pene, per le nostre paranoie.

Esserci, nel senso di essere consapevoli.  Per taluni quell’esserci  apparirà dono per altri semplice accadimento naturale. Ma, comunque, nell’uno o nell’altro caso, l’importante, in questo soliloquio, dovrebbe consistere nell’esserne consapevoli, nella “interiore certezza di sé”, nel comprendere che quel piccolo e sommesso inizio di tempo è un principio di vita, un atto del ringraziare per l’ essere qui ora , per l’esserci  seppur nell’angoscia dell’animo e nello spasmo della carne che il tempo impietoso ci infligge.

Tutto questo, forse, potrebbe evitare quello struggente rimpianto che ratto ci coglie nell’attimo fatale della fine della speranza quando il pensiero sorvola il passato e rammenta con strazio i giorni stratificati della nostra vita, la vita che “abbiamo smarrito vivendo”(Eliot), le occasioni perdute, lo “scialo” dell’energia vitale, il dispendio delle possibilità della felicità vera, l’alienazione del nostro vero essere all’interno della vicenda della vita.

 Non lasciamoci turbare dal futuro, da questo futuro. Almeno proviamoci. Ogni giorno accettiamolo come un tratto di tempo chiuso, slegato dal passato, non avvolto dall’incubo del futuro, dipendente dal caso che disporrà come crede.

Dico al lettore- ma in verità è un dire a me stesso- convinciti, per un attimo almeno, che il presente , questo istante in cui stai leggendo sia l’unico tempo che ha realtà.

“Cogli il presente sperando il meno che puoi nel futuro” .

Una amara concezione stoico-epicurea questa, valida per chi ha perso la speranza del futuro. Citando ciò che Ivano Dionigi ha detto martedì scorso alla Camera nella sua lectio magistralis noi in verità avremmo tanto “ bisogno di fare pace col tempo e di risarcire i giovani, ai quali abbiamo staccato la spina della storia confinandoli in un eterno presente”.

Tutto ciò detto, buon anno!

CARLO ALBERTO FALZETTI

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* L’immagine di copertina è stata generata con intelligenza artificiale ∙ 25 gennaio 2024 alle ore 2:04 PM