AUTOBIOGRAFIE DI DONNE DEL NOVECENTO: STORIE DI CORPI E MENTI DIFFORMI: Rivoluzionaria professionale -Teresa Noce- Parte 2 e 3.
di VALENTINA DI GENNARO ♦
VII EPISODIO
3.1 “Rivoluzionaria professionale” Teresa Noce”
Teresa Noce nel 1943 venne arrestata e, dopo alcuni mesi di carcerazione, deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbrück, poi in Baviera a Flossenbürg e infine a Holleischen, campo cecoslovacco in cui furono deportati molti prigionieri quando, nell’autunno del 1944, il lager bavarese fu chiuso.
A Holleischen fu adibita a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico, nella quale tentò di sabotare l’industria bellica tedesca, diluendo la vernice destinata alle munizioni con acqua.
Il suo racconto del campo di concentramento di Ravensbrück, campo di concentramento completamente dedicato alle donne deportate, è denso di immagini di torture e descrizioni delle fatiscenti condizioni igieniche:
“E cominciò anche per noi la vera vita di Ravensbrück. Alle cinque del mattino la sveglia e la corsa frenetica ai pochi e schifosi gabinetti per i nostri bisogni, poi altra corsa agli scarsi lavandini per lavarci.
Poi c’era l’appello, il terribile appello. Spesso durava ore e ore, e noi dovevamo rimanere in piedi sull’attenti, sotto l’occhio vigile delle SS e delle Kapò. Le più deboli rischiavano sempre di cadere per lo sfinimento. Voleva dire la fine per loro, perché sarebbero state subito mandate alle camere a gas. Cercavamo di stringerci l’una all’altra per sorreggerci a vicenda, ma se le Kapò se ne accorgevano, erano bastonate per tutte”.
Ad Holleischen, Teresa aspetta la fine della guerra, in questa fabbrica di munizioni per l’approvvigionamento bellico tedesco, in una situazione di “letti immondi e torture indicibili” Teresa e le sue compagne erano d’accordo, comunque, nel preferirlo a Ravensbruck.
In questo pagliericcio, almeno un singolo giaciglio per ogni detenuta, Teresa sistema le foto dei suoi figli, da anni ormai a Mosca.
Una volta liberato il campo, si accoda ad un camion di detenuti francesi per essere rimpatriata, riuscirà dopo mesi a varcare, via Marsiglia, il confine italiano, è finalmente di nuovo in Italia.
“Adesso che ero libera, potevo riprendere a pensare alla mia famiglia, a Longo e ai ragazzi. Di questi ultimi, avevo avuto notizia una sola volta: a Holleschein avevo ricevuto una cartolina della Croce Rossa svizzera, la quale informava Jeanne Pinelli che i figli di Estella stavano bene e studiavano. Quando avevo letto la cartolina, la sola e unica mai ricevuta, la vista mi si era annebbiata e per la prima volta in vita mia ero svenuta; ero stata subito soccorsa dalle
compagne prima che le -aspirine- se ne accorgessero. Al campo mi ero ripromessa di non pensare ai ragazzi e a Longo, per non indebolire la mia capacità di resistenza. Ma ora potevo rivolgere la mia mente e il mio cuore e dare sfogo al mio desiderio di rivederli.”
“Dove vi sono i comunisti, vi è la mia famiglia” così si intitola il capitolo dell’autobiografia di Estella che racconta il suo rientro in Italia, in un’Italia che non vede da tanti anni, ma finalmente libera. Appena giunta a Ventimiglia, cerca la redazione dell’Unità, dove è sicura troverà un collegamento, un modo per avere notizie.
Trova un alloggio per la notte e il giorno dopo fu accompagnata a Milano, alla redazione dell’Unità, dove la aspettava un affettuoso Pajetta, avvisato dai compagni liguri, che la informava che Longo la aspettava in via Filodrammatici alla sede del partito dell’alta Italia.
Il loro fu un incontro affettuoso, ma abbastanza formale, a Teresa, Luigi Longo, sembra tenerla più in considerazione, lei invece è intimorita dalle molte cose che ancora non conosce, quasi dispiaciuta di non essere stata a Milano nei concitati momenti della Liberazione.
“Dopo i primi abbracci, mi chiese se desiderassi sapere che cosa avesse fatto durante gli anni della mia forzata assenza. Lo guardai e gli risposi: – Mi pare che non ci sia stato nulla di grave, il resto non conta e non lo voglio sapere- (mi accorsi poi, molto più tardi, che il nostro ritrovarci
in quel modo era stato un equivoco, un’illusione, e che le parole tra noi scambiate avevano significati diversi per me e per lui).”
“Di Vittorio mi riporta i figli”
In occasione di un viaggio di Togliatti e Di Vittorio a Milano, Teresa Noce sapeva che presto lo stesso Di Vittorio si sarebbe recato presto a Mosca e gli chiese se, in occasione di quella trasferta, le avrebbe potuto riportarle i figli in Italia.
Sapeva dalla poca corrispondenza del padre, che Gigi, il maggiore forse si era sposato con una ragazza conosciuta in Crimea, che avrebbe voluto combattere nella Seconda Guerra Mondiale, ma che il governo russo, dopo la morte di un figlio della Pasionaria, non aveva acconsentito, per non rischiare di perdere un altro figlio di un dirigente comunista affidatogli durante il conflitto.
Il minore, Putisc, Giuseppe, invece studiava all’istituto dell’aeronautica.
Di Vittorio le promise che avrebbe fatto l’impossibile.
“Mi furono narrate, in seguito, tutte le difficoltà che Di Vittorio aveva dovuto superare per portare i ragazzi con sé. Numerose erano state le pratiche burocratiche da smaltire: Gigi e Putisc, poi, erano apolidi, avevano momentaneamente la cittadinanza sovietica. Come farli venire in Italia? Come Italiani? Come apolidi? O come sovietici? Putisc, poi, era nato a Parigi.
E Di Vittorio, che si assumeva la responsabilità dei ragazzi, non era neppure un loro parente. Era stato necessario rivestirli, farli visitare e vaccinare. Infine, trovare loro i posti sull’aereo, che era già al completo. Ma Di Vittorio si era talmente impuntato, che per fare posto a Gigi e a Putisc erano stati fatti scendere due militari sovietici in partenza per l’Italia, Caro il mio Di Vittorio!”
“Putisc, aspettando il momento di iscriversi a scuola, si era messo a studiare l’italiano. Sapeva ancora bene il francese imparato a Parigi e a Mosca aveva imparato perfettamente il russo, ma l’Italiano non l’aveva mai imparato, anche perché da piccolo, a casa, parlavamo solo il piemontese.”
Una madre e un figlio separati da così tanto tempo da non parlare nemmeno la stessa lingua.
Il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea costituente italiana; insieme con Maria Federici (DC), Nilde Iotti (PCI), Rita Montagnana (PCI), Lina Merlin (PSI), Ottavia Penna (Uomo Qualunque) fu una delle cinque donne entrate a far parte della Commissione speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula, divenuta nota col nome di Commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini, già presidente del Consiglio di
Stato.
Inizia così l’esperienza, dell’Assemblea Costituente prima e parlamentare poi, di Teresa Noce. “Ero la sola donna dirigente sindacale nell’Assemblea Costituente, anche se in questa le donne erano complessivamente di più di quelle elette in seguito nelle diverse legislature, ma i quadri sindacali, già scarsi tra gli uomini, si può dire che allora non esistessero tra le donne, perciò il Partito acconsentì alla mia richiesta, e io mi trovai a far parte della Commissione dei 75, la “commissione dei Soloni”, come venne poi scherzosamente chiamata.”
VIII EPISODIO
3.1 “Rivoluzionaria professionale” Teresa Noce
Teresa Noce, dopo l’esperienza dell’Assemblea Costituente viene eletta segretaria nazionale della FIOT, il sindacato delle operaie tessili, anche se, come è possibile recuperare dalle interviste rilasciate dai suoi colleghi, svolse un vero e proprio lavoro di segretario generale ombra della CGIL.
Nel 1948 viene eletta quindi nella prima legislatura del parlamento repubblicano, nel quale si distinse come proponente della legge 26 agosto 1950 n. 860 per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” che, sostituendo la precedente normativa in materia del 1934, costituì la base della legislazione sul lavoro femminile fino alle leggi degli anni ‘70 sulla parità tra donne e uomini.
“Questo fu il primo progetto di legge di “iniziativa parlamentare” presentato al Parlamento della Repubblica Italiana. Ciò avvenne infatti il 2 giugno del 1948, cioè proprio all’inizio della prima legislatura. Ma, assai più che di iniziativa parlamentare, sarebbe giusto chiamarlo di “iniziativa popolare”. Esso infatti fu il primo, se non l’unico finora, a essere elaborato dalle lavoratrici interessate, discusso da esse articolo per articolo, corretto e rielaborato in grandi assemblee di donne e di madri, redatto poi definitivamente da una commissione eletta dalle stesse.”
Il suo primo atto da deputata è quindi, la legge, che prevede assistenza, riposo, congedo, stanze per l’allattamento e asili nido per le donne madri e lavoratrici. Per lei, che clandestina, militante e partigiana, aveva sempre considerato la sua dedizione, un lavoro, una professione, tanto, infatti, da intitolare la sua autobiografia proprio così.
“Con la battaglia per la legge sulla maternità avevo dimostrato che, pur non accettando di dedicarmi al lavoro femminile, mi battevo strenuamente per difendere i diritti delle donne.”
Questo sarà un nodo fondamentale, un discrimine destinato a durare per decenni, la distinzione tra le donne che militavano all’interno del PCI, o comunque nei partiti organizzati, che vedevano nell’attivismo per il “riscatto della classe operaia” il fine ultimo, che in qualche modo inglobasse anche le tematiche femministe, che nella visione, per esempio di Teresa Noce, facevano già parte della lotta più grande e ampia al capitalismo. La lotta al patriarcato,
quindi, in subordine rispetto a quella al capitalismo. Le donne appartenevano prima ad una classe, invece che ad un genere. Teresa Noce, come molte donne del partito Comunista si definivano, in primis, comuniste.
Anche quando, come nel caso della legge per la tutela delle madri lavoratrici, la tematica era decisamente di carattere di genere.
I femminismi italiani, che sbocceranno alla fine degli anni sessanta, e che avranno come filo conduttore l’autodeterminazione della donna, la necessità di liberare i corpi femminili dalla tendenza millenaria a “normare” i corpi delle donne e, anche se, spesso queste rivendicazioni erano finalizzate alla conquista dei diritti come quello della salute riproduttiva o al divorzio, quasi mai hanno trovato pieno asilo dentro ai partiti organizzati. Forse proprio per incapacità di vedere nel movimento femminista questo sguardo diverso, questo punto di vista divergente, che sovverte equilibri di potere.
Oggi, questa nuova e potente ondata dei femminismi italiani, viene chiamata transfemminismo, sia per il carattere intersezionale delle tematiche affrontate nell’ottica di genere, il diritto al lavoro, alla salute, il riconoscimento del lavoro di cura, i diritti delle donne migranti, sia per la necessità di non tenere al centro del dibattito il sesso biologico ed inserire la categoria più ampia del genere.
Quello che sicuramente destò interesse e fece scalpore, all’epoca, comunque, durante l’approvazione della legge, furono le continue delegazioni di donne incinte che organizzò Estella insieme alle altre della delegazione femminile del PCI.
L’impegno sindacale portò Teresa Noce a ricoprire l’incarico di presidente dell’Unione Internazionale Sindacale dei Lavoratori tessili e dell’abbigliamento (UISTA) con sede a Varsavia e, da quando nel 1955 lasciò la segreteria della FIOT, divenne segretaria dell’UISTA stessa la cui sede venne spostata a Milano.
In seguito, dopo anni di una separazione di fatto, Teresa Noce annunciò a Longo la sua volontà di separarsi in modo consensuale, il divorzio in Italia ancora non era possibile, ma considerato che Longo aveva già una nuova compagna fissa Bruna Conti, dopo la relazione con Caterina Picolato, era il modo per evitare inutili ed ulteriori pettegolezzi.
Iscritte ed iscritte al Partito scrissero decine di lettere per convincere Teresa Noce a non rinunciare al suo ruolo di moglie dell’allora vicesegretario del PCI (destinato a diventarne segretario dopo la morte di Togliatti), e nel rispondere a tante di queste, Teresa spiegava come, per lei, la separazione consensuale fosse la scelta anche più coerente per dei dirigenti comunisti.
Finché un giorno, nel 1953, in un trafiletto del Corriere della Sera, Teresa legge che Luigi Longo aveva ottenuto l’annullamento del matrimonio a San Marino presentando un documento che, evidentemente, non essendone Estella al corrente, conteneva una firma contraffatta di Teresa Noce.
Nelle sue memorie riporta che avere appreso di questo fatto da un quotidiano per lei rappresentò un evento «grave e doloroso più del carcere, più della deportazione». La sua decisione di rivolgersi alla Commissione Centrale di Controllo del PCI, con l’intento di denunciare il comportamento di Longo, fu considerata inopportuna da una parte del gruppo dirigente del Partito e questo determinò la sua esclusione dalla Direzione.
“Non potevo comprendere né avallare con il mio silenzio un’azione che, oltre a essere indegna nei miei confronti, era palesemente contraria alla line politica del Partito Comunista. Decisi di battermi ricorrendo alla Commissione centrale di controllo. Seppi che non tutti i compagni erano stati d’accordo con quel modo di procedere, così come tutti non furono d’accorso quando venne decisa, senza neanche portare la questione nei suoi veri termini al Comitato Centrale, la mia eliminazione dalla Direziona Nazionale del Partito.”
Il PCI, infatti, da sempre favorevole al divorzio, era però contrario all’annullamento del matrimonio, ritenendola una pratica borghese, di pulizia della reputazione, oppure di una costosissima pratica per poter scavalcare l’impossibilità del divorzio.
“Noi comunisti eravamo sempre stati contrari a questi annullamenti borghesi, di classe, riservati a chi ne aveva i mezzi, e che si risolvevano sempre con accordi truffaldini, inventando pretesti poco puliti e spesso offensivi per l’una e per l’altra parte. Per di più, qualsiasi annullamento dichiarava ufficialmente il matrimonio come non avvenuto, il che era un non senso. Poco male che tornassi nubile, ma Gigi e Putisc cosa sarebbero diventati? Figli naturali? Figli naturali riconosciuti, ma non legittimi? Non lo sapevo e mi rifiutavo anche solo di esaminare qualsiasi possibilità del genere? Era anche per queste considerazioni che noi comunisti ci schieravamo a favore del divorzio e contro gli annullamenti di comodo.”
Inizialmente Teresa Noce scrive una smentita al giornale, rimarcando, appunto, che i comunisti sono contrari agli annullamenti, ma riceve un ammonimento dal partito invece, per essersi rivolta alla “stampa borghese”.
Una volta appreso della veridicità del tentativo dell’annullamento del matrimonio da parte di Longo, con firma falsa, presso San Marino, Estella fa ricorso al Comitato Centrale per il Controllo, ma questo le costò il tanto meritato posto nella Direzione Nazionale.
Nel 1954 si allontanò dalla politica attiva ritirandosi gradualmente a vita privata, ma dal 1959 si impegnò nel CNEL quale membro della CGIL; nel 1974 pubblicò questa sua autobiografia, “Rivoluzionaria professionale”, che racconta, insieme alla sua storia personale, la vicenda del partito comunista italiano dalla sua fondazione.
Scrisse anche un libro per bambini, “Layka, cagnetta spaziale”, il nome della cagnetta lanciata nello spazio dai sovietici, ricordando la sua passione condivisa ai tempi parigini, con Emilio Sereni per la letteratura di fantascienza. Ed ebbe anche molto successo.
Luigi Libero Longo, lavorò per anni come segretario ed interprete del corrispondente dell’Unità al Cremlino.
Giuseppe Longo, detto Putisc, è stato professore associato di fisica generale presso il Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Bologna.
Teresa Noce morì a Bologna, all’età di 79 anni, il 22 gennaio 1980, ormai bisnonna, e pochi anni dopo aver divorziato da Longo che regolarizzò la sua situazione con la nuova compagna, Bruna Conti, sposata al municipio di Genzano e scomparsa nel 2000, dalla quale ebbe un altro figlio maschio, Egidio Longo, fisico nucleare.
Cosa deve aver significato nei primi anni ‘20 iscriversi al Partito Comunista d’Italia, nei partiti comunisti in generale nei primi anni del Novecento per una giovanissima donna?
Sicuramente, non solo una scelta di collocazione politica, ma una scelta radicale di cambiamento, di postura, di comportamento. L’adesione ad una famiglia che era una comunità internazionale ed internazionalista, che travalicava i confini nazionali, quelli di classe e, per quell’epoca, anche quelli di genere, anche se come abbiamo avuto modo di analizzare, all’interno del Partito Comunista d’Italia ancora il cammino sarebbe stato ancora arduo.
Nelle prime pagine del libro “Rivoluzionaria Professionale”, l’autobiografia che ripercorre gli anni della sua giovinezza fino al dopoguerra e ai primi anni dell’impegno parlamentare, l’iscrizione al partito viene descritta come la necessità delle donne comuniste di sentirsi a pieno titolo parte del movimento operaio.
VALENTINA DI GENNARO
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L’immagine di copertina è di Elisa Talentino
