L’AUTOBIOGRAFIA FEMMINILE TRA LETTERATURA E TRADIZIONE ORALE – 1.2 L’autobiografia e il narrarsi, una cornice teorica

di VALENTINA DI GENNARO

Simone Giusti in “L’approccio narrativo: competenza per orientarsi nella diversità” afferma: “Una volta ammessa la possibilità da parte della scienza di individuare nuove modalità di conoscenza, e, soprattutto, una volta ammesso che l’uomo è comunque implicato in quanto osservatore all’interno di qualsiasi processo di ricerca, si è comunicato a parlare della possibilità di fornire una interpretazione narrativa della realtà.”

Lasciando passare il maschile sovra esteso che in certi testi continua a rimanere parlando di “uomo” in generale tralasciando il genere femminile, il passo che ci porta verso le teorie di Max Weber sull’agire dotato di senso, è breve.

Per Weber, infatti, il mondo umano è sempre il mondo del senso, il regno della cultura intesa come interpretazione, come significato che si attribuisce al mondo e alle sue cose e a come cambiano nel tempo.  Risulta quindi dirimente questa riflessione per lo sviluppo della dimensione narrativa nella comprensione dell’agire umano.

Se le scienze sociali si occupano di narrazioni e di racconti, l’autobiografia acquisisce a questo punto le sembianze di una forma di azione sociale, sociale e politica, dotata di senso.

Narrare è quindi dire di sé, ma anche conoscere attraverso chi parla di sé, ritornando infatti a J.S.Bruner, la forma narrativa è un principale veicolo di conoscenza, un modo in cui uomini e donne mettono in ordine e danno significato alla realtà simbolica e relazionale che le circonda. La narrazione attraverso una introspezione significativa rappresenta una produzione di senso delle esperienze passate.

Per J.S. Bruner la costruzione del significato non è, infatti, un semplice prodotto computato dal cervello, ma “un’attività interpretativa socialmente condivisibile”. Studiare come il progredire dello sviluppo narrativo, in tutte le scienze, con diversi punti di vista e da differenti angolature che hanno come oggetto di studio l’uomo e il suo agire sociale, permette di evidenziare come innanzitutto la connotazione narrativa e interpretativa di queste discipline ribadisce e che i significati che ci scambiamo quotidianamente risultano sempre condivisi con qualcuno e situati in un contesto. Sinarra con qualcuno e per qualcuno, per qualcosa.

Il pensiero narrativo, ancor più quello autobiografico, attraversa quindi diverse discipline umane, dalla letteratura, alla psicopedagogia alla storia e si rivela uno strumento più idoneo di indagine, capace di rendere conto della complessità.

Esiste quindi, come ci ricorda Barbara Poggio in “Mi racconti una storia? Il metodo narrativo nelle scienze sociali.” una forte relazione di senso tra narrazione, linguaggio e cultura.

Chi racconta quindi di sé? Come lo fa? Che nesso c’è tra cultura personale, accesso all’istruzione e possibilità di raccontarsi.

È pensiero condiviso e condivisibile che l’abilità narrativa sia presente, anche se in forme diverse, in ogni individuo e cultura. Attraverso le narrazioni e i miti, l’uomo ha fatto i primi tentativi di spiegare il mondo che lo circondava, ha cercato attraverso racconti condivisi risposte alle domande relativi a grandi perché, alle origini. Col tempo questi tentativi sono stati compiuti dalle scienze e i racconti mitici sono stati sostituiti da teorie e modelli scientifici.

Il pensiero narrativo non utilizza il linguaggio solo in termini strumentali, ma per rimanere in una cornice costruttivista, “co-nasce al linguaggio”.

Il filosofo e pedagogista John Dewey in “Logica, teoria dell’indagine” per primo negli anni Cinquanta ha evidenziato la capacità del linguaggio di categorizzare, ordinare, argomentare. Ma è lo psicologo russo Lev Vygostkij in quegli anni a definire lo stretto rapporto tra la mente umana e lo strumento linguistico. Nel testo Pensiero e Linguaggio Vygostkij spiega come le nostre parole non siano affatto neutre ma, mentre le utilizziamo, siano già connotateculturalmente da significati assegnati e trasmessi dalla comunità a cui apparteniamo. E in questo senso possiamo ricordare il nesso, teorizzato da Ludwig Wittgenstein tra linguaggio, esperienza e significato: “Ora, un linguaggio, un’immagine sembrano avere una prevalenza su tutti gli altri linguaggi, su tutte le altre immagini. Questa immagine è l’immagine logica: essa rispecchia perfettamente la realtà. E la rispecchia perfettamente non solo perché il suo fatto (anche la proposizione è un fatto = Tatsache) rispecchia perfettamente il nesso di oggetti (Sachverhalt) ma perché anche esiste un isomorfismo tra i suoi costituenti e i costituenti della realtà. Si potrebbe pensare allora che se l’isomorfismo fosse perfetto, la logica rappresenterebbe perfettamente la realtà.

Grazie alle storie e alle narrazioni, concludendo, l’uomo non ottiene solo conoscenza. Egli si inserisce in un contesto di significati, condivisi in senso intersoggettivo con la famiglia e contesti via via sempre più allargati, fino alla società e alla cultura.

J.S. Bruner stesso, riprendendo Vygostkij, descrive il linguaggio come strumento che media tra il pensiero e la rappresentazione, un mezzo con cui interpretiamo la realtà. “Ciò che rende possibile il linguaggio è la costruzione ed elaborazione di quella rete di aspettative reciproche che è la matrice, la condizione della nascita della cultura”.

La necessità di narrare è presente, in maniera più o meno pervasiva, in culture e comunità diverse: è infatti attraverso le narrazioni orali che nel corso dei secoli l’uomo ha cercato di spiegare il mondo, le sue manifestazioni, dagli eventi atmosferici, al mutare delle stagioni, alla morte, e quindi nel cercare di dare una risposta ai grandi perché dell’esistenza. Dal mito e all’epoca, tramandate oralmente, a quelle trascritte, siamo poi passati ai tentativi delle scienze e delle teorie scientifiche. E mentre alcune teorie sono state dimenticate e sorpassate dal progresso scientifico stesso, molti miti e racconti epici fanno invece parte del patrimonio culturale imprescindibile dell’umanità.

Il linguaggio e la modalità in cui si usa per strutturare un racconto, quindi, non è soltanto lo strumento con il quale lo si fa, ma acquisisce non solo un valore sociologico, pedagogico ma anche oserei dire artistico.

VALENTINA DI GENNARO                                                                                                     (continua)

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  • L’immagine di copertina è di Elisa Talentino