QUELLA PORTA ACCANTO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Quando i ricordi cominciano a stratificarsi ed affollano l’animo.

Quando il deserto conquista sempre più spazio.

Quando il passato ti invade e la vita si conta in mesi.

Quando il corpo si fa sempre più estraneo.

Quando non sei più portatore sano di futuro.

Accade che una domanda ti scuota.

Ma, dove va il tempo che passa?

In quale luogo?

Dove si accumula tutta questa enorme energia?

Decenni e decenni di energia.

Se non può distruggersi andando contro il principio di conservazione dell’energia, allora

in quale luogo va a nascondersi? Forse si dilegua?

Tutto il nostro passato potremmo riaverlo, un giorno?

Pensare che quel passato sia semplicemente passato, ovvero dissipato come un fumo nell’aria,

si dice è pensare con i piedi a terra. Come tutti pensano.

Inutile dar spazio alle illusioni. Che cosa può essere l’avvenire di una illusione!

Tuttavia. …Tuttavia esiste un ospite inquieto: la fantasia!

Già!  La fantasia! Non l’intelligenza, ci distingue dagli altri esseri del mondo.

Ed allora: dove va il tempo che passa?

Diamo, dunque ali al fantastico e, per un attimo solleviamo da terra quei piedi.

Immaginiamo che esista una dimensione che noi non possiamo percepire ingabbiati come siamo nelle tre dimensioni familiari.

Ebbene, il tempo che passa affolla questa dimensione:  tutto il passato si va a depositare in questo mondo non-euclideo.

La morte non sarebbe la fine di tutto ma l’entrata in questa dimensione, in questa porta accanto, nel mondo 2.

Nulla si perderebbe perché , come non si uscirebbe dal nulla, non si ritornerebbe nel nulla. Semplicemente si esce di scena, si esce dal cono di luce del mondo e si dimora in un regno per noi umbratile.

Una dimensione che accoglie il tempo  trascorso mantenendo, ciò che un tempo era massa, in una energia cinetica della quale nulla sappiamo. Potrebbe esser questa l’idea del “multiverso”. E, andando avanti con la fantasia, potremmo pensare che questa dimensione non sia collocata lontano, in un empireo evanescente ma sia accanto al nostro universo. Una dimensione che non può essere oggetto di percezione per chi vive nella nostra condizione tridimensionale. Noi , in tal senso, vivremmo accanto al passato, che ci sfiora invisibile. Il mondo 1 sarebbe diviso dal mondo 2 da una “parete adiabatica” che isola due mondi che sono comunque a contatto.

Ritroveremmo al termine della vita, nell’altra dimensione, il passato accumulato con ordine che ci accoglie e noi ripercorreremmo la vita forse nel verso contrario: da vecchi a giovani, dalla morte alla nascita. Un ordine inverso a dispetto della irreversibilità del nostro mondo che presenta il tempo come una freccia orientata sempre avanti.

O se volete inizieremmo un eterno ritorno che ci permetta di rivivere ciò che vivemmo nel mondo 1.

E’ questo il grande simbolo ancestrale dell’uroboros, il cerchio sempiterno.

Nulla sarebbe perduto, affetti, gioie, dolori, atrocità, pene ed amori (la morte come reditus, ritorno).

Una porta accanto che potremo aprire solo alla fine.

Astolfo deve giungere sulla luna per poter recuperare il senno di Orlando perché è su quel satellite che si depositano le cose perse sulla terra. Il senno degli uomini è custodito in stato gassoso in ampolle.

Perché non potremmo fantasticare che in luogo della luna esista una sorta di “multiverso” che ospita il passato che è passato ma non dissipato? E perché non dovremmo fantasticare che saremmo tutti degli Astolfi alla ricerca del tempo perduto?

Non era forse questa la grande illuminazione che Nietzsche ebbe un giorno nei boschi di Sils Maria in Engandina? Il grande cerchio dell’eterno ritorno.

Ma il lettore sorride a tutto questo! Penso che io debba fermare il volo.

E’ vero! Non esiste alcuna circonferenza, la vita è solo arco , non circonferenza.

L’arco della vita è la realtà, noi siamo cerchio incompiuto dove inizio e fine non coincidono. Ciò che abbiamo provato a fare con la fantasia è opporre, disperatamente, all’arco la circonferenza dove inizio e fine coincidono.

Un sogno ad occhi aperti. Ma è per questo che siamo umani!

La lingua greca, nella sua terrificante verità, ci inchioda a terra. Il greco dice vita bìos, e dice arco biòs! Soltanto un lieve spostamento di accento distingue i due lemmi!!

La vita è arco, un inizio che ha sempre la sua fine.

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Si narra che due vecchi signori emigrati passeggiavano oziosamente in un vialetto di Princeton nei primi anni Cinquanta. Ad un certo punto l’uno chiese all’altro: “Dove va il tempo che passa?”. Di colpo si fermarono incrociando gli sguardi nel più profondo silenzio. Ignoriamo se seguì una risposta.

Colui che pose la domanda si chiamava Einstein, l’altro Gὄdel.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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