I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI

Capitolo 40 (prima parte): La Marcia irresistibile del Belpaese verso il gradino più alto del podio. Il vuoto lasciato
dagli anticorpi del conformismo e della stupidità: Ennio Flaiano, Leo Longanesi. Un verso di
Omero anticipazione del sogno. Il rifiuto di quelli che ci vogliono controllare e punire per il nostro
bene. Il destino della civiltà occidentale legato ai cantastorie, che ci hanno regalato momenti di
felicità in una bella serata di luglio a Via Monte Grappa, strada storica di Civitavecchia?

Il Belpaese  

   La deriva, a mio parere, è generale e presenta connotazioni analoghe, ma la velocità di crociera della discesa non è uniforme. L’Italia, ad esempio, ha preso la pool position e non l’ha più lasciata.   

   Dal 1992! 

   Ne ho parlato fin troppo in precedenza e, a pioggia, più volte nella terza parte di questo libro.   

   Che resta da dire?  

   Forse un pizzico di filosofia potrebbe esserci d’aiuto. Scherzo. Proverò soltanto a mettere a fuoco i segni che si manifestano quando una civiltà volge verso la sua parabola discendente.  

   All’improvviso, la comunicazione, i messaggi, persino gli impulsi subliminali, che la classe dirigente scambia con i componenti della comunità, fino a quel momento semplici, immediatamente percepibili, si fanno oscuri, difficilmente decifrabili.  

   In quello stesso momento, svanisce la fiducia che la gente comune nutre per la propria classe dirigente, fatta di politici, sindacalisti, professionisti, insegnanti, magistrati, dirigenti di sistemi complessi.  

   La fiducia è come un vaso Ming, se cade in terra, va in mille pezzi e non lo ricomponi.  

   Churchill, con linguaggio diretto, scarno, drammatico, preparandosi a fronteggiare la mostruosità del regime nazista, diceva ai suoi connazionali che dovevano essere pronti a morire in terra, per mare, sulle spiagge, nelle strade, nelle proprie case, sulle colline, dovevano combattere fino all’ultimo e, alla fine, la vittoria sarebbe stata ineluttabile. 

   Quando il grande figlio della democrazia liberale britannica faceva quel discorso, Londra era sotto i bombardamenti della Luftwaffe e gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra, ma i connazionali capivano quello che diceva, gli credevano, si giocavano la vita sicuri di vincere, ed erano certi che i datori di lavoro li avrebbero rispettati, che i figli avrebbero frequentato scuole sempre migliori.  

   Ecco, prendete Giuseppe Conte, mettetegli in mano un microfono della BBC, non avrà finito il preambolo e la guerra sarà … finita.  

   L’eccezionalità, tuttavia, era e resta tale. Oggi la gente comune avverte la sua classe dirigente ostile, estranea e non la riconosce. Teme che il suo voto non conti nulla, che il suo rapporto con la classe dirigente potrà soltanto peggiorare: il medico lo ascolterà solo al telefono, se va bene, l’insegnante tirerà a campare, non perderà tempo a spiegare ai suoi figli che la conoscenza è tutto, il sindacalista non avrà voglia di battersi per lui, le società di servizi, ormai enormi e minacciose, sono disumanizzate, se manca la luce o tardi a pagare una sola bolletta sei nei guai.    

   Non c’è dubbio che più una società è complessa e più emargina, pur non volendo, fasce crescenti della popolazione. La digitalizzazione ha fatto il resto, se non t’impadronisci di quei meccanismi sei perduto, nella migliore delle ipotesi dipenderai da qualcuno, che, nella vita convulsa che abbiamo inventato, non sempre avrà il tempo per aiutarti.  

   Stiamo assistendo, insomma, all’evaporazione della democrazia liberale, facendo esattamente il contrario di quello che sarebbe necessario: educare alla consapevolezza. 

   Una comunità, che voglia perpetuare la sua presenza in un mondo sempre più ostile e complicato, dovrebbe discutere del proprio destino, pretendere di avere uno stato efficiente, una pressione fiscale equilibrata e non predatoria, conti pubblici in ordine, una scuola d’avanguardia, perché non vuole sparire dopo una o due generazioni.  

   Finita l’elaborazione capillare per il tramite dei grandi partiti politici, usciti dal dopoguerra, non è finito il mondo. Nella cornice, le istanze e i principi generali, per quanto complessi possano trovare spazio, la democrazia ha sempre potuto contare sulla stampa, feroce e intransigente cane da guardia del potere.  

   Purtroppo, i giornali vengono letti sempre meno, i possenti cani da guardia sono stati sostituiti da cagnolini da passeggio e quando si tratta di mettersi di traverso al mainstream nazionale o europeo sono docili, i più scostumati dicono conniventi55, la dialettica – si fa per dire – si consuma nei social network o nei talk show, questi ultimi, ormai, non dissimili dalla RAI e da ogni altra Azienda pubblica, funzionali, cioè, a sé stessi, al personale, conduttore in testa, agli ospiti pagati, una compagnia di giro deprimente. 

   Questa coltre di fatuità maleodorante spiega come non faccia notizia che il 25% dei giovani in età solare abbandoni la scuola e non ci voglia rientrare, che a filmare le condizioni oscene del centro di prima accoglienza dei migranti a Lampedusa sia un siriano salvatosi dal mare, non un giornalista.  

   Siamo fatti così, i ragazzi si dovranno divertire o no? I migranti? Sono nostri fratelli. Brutte quelle immagini, ma non succederà più. Grande commozione quando quei poveri diavoli sono in mare, li prendiamo per mano quando sbarcano, ma finisce lì, i corni del dibattito sono sempre gli stessi: «sono troppi, non possiamo accoglierli tutti; ne abbiamo bisogno, gli italiani non fanno più figli». Poi arriviamo al Centro di raccolta e chi sene frega. Mai una volta che si parli della loro sorte una volta sbarcati, perché non succeda quel che sta succedendo in altri paesi europei come la Francia, il Belgio, la Svezia, dove, per favorire il multiculturalismo e non già l’integrazione, con guasti irreparabili, siamo a un passo dalla creazione di uno stato nello stato.  

   Nessuna indignazione, nessuna vergogna. Annaspiamo nello stesso putrido stagno, catturati come tanti ebeti davanti ai teleschermi per il racconto epico su Di Maio minuto per minuto (in quale formazione del centro politico porterà il suo gregge?), sull’ex avvocato del popolo e presidente del consiglio per caso, Giuseppe Conte (farà o no cadere il governo?), la cronaca vittoriosa della guerra contro Putin, i successi contro l’inflazione, contro i gradi del condizionatore, testimoniati da milioni di italiani al mare «a mostra’ le chiappe chiare», come recita un’indimenticabile canzone romanesca.  

EZIO CALDERAI                                                                               (continua)

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