Lettera ad un amico
di ENRICO IENGO ♦
Caro Helmi,
ti scrivo dopo tanti, troppi anni di silenzio fra noi. Eravamo insieme alla scuola di specializzazione in Neurologia nei primi anni 80. Tu venivi da Hebron, una città dell’attuale Cisgiordania. Eri in Italia grazie ad un accordo fra il nostro Paese e il governo palestinese che consentiva ad un certo numero di medici palestinesi di accedere alle scuole di specializzazione italiane.
Mi ricordo il tuo faccione sorridente, la bonomia che esprimeva, la saggezza millenaria nelle tue parole. Avevi un debole per il mio primo figlio, ci giocavi e forse immaginavi la tua prossima famiglia. Non hai mai esitato per quanto riguardava il tuo futuro: saresti tornato in Palestina e lì avresti aiutato il tuo sfortunato popolo con le armi che avevi acquisito con la tua professione: la perizia medica e i principi di umanità e solidarietà.
Parlavamo spesso della tua terra: tu lo facevi sempre con apparente distacco, ma sentivo che dietro la denuncia dei soprusi subìti dal tuo popolo c’era tanta sofferenza. Non rabbia, sofferenza. In quel momento intuivo che pensavi alla tua famiglia, ai tuoi amici rimasti là e con i quali anelavi ricongiungerti, sebbene consapevole delle asprezze che la vita ti avrebbe riservato in quei luoghi.
Parlavi spesso di libertà per il tuo popolo e sentivo tutto il significato e il peso che quel termine aveva per te. “Ecco” mi dicevi “voi non avete consapevolezza di cosa significhi vivere sottomessi, ristretti nei propri diritti civili, derubati della propria terra. Tenetevela cara la vostra libertà!”.
Ad un certo punto le nostre strade si sono divise per sempre: tu sei tornato in Palestina, realizzando il tuo sogno.
Mi viene da pensare in questi giorni drammatici al tuo popolo. Mi chiedo quanta sofferenza, quanta disperazione ha provato in questi anni, consentendo ad un gruppo di fanatici sanguinari di approfittarne e prendere il potere. E quanta responsabilità ha l’ignavia dei governi occidentali, ma anche dei paesi arabi nel permettere una tale sofferenza.
I loro ipocriti appelli al “buon senso” da parte di tutti hanno avuto negli anni un sapore beffardo se paragonato alla complessità della questione palestinese.
Così i Palestinesi che erano un popolo laico, forse il più laico fra la gente araba, laico come orgogliosamente rivendicavi di essere tu, si trovano assurdamente oggi ostaggi di un gruppo fondamentalista islamico che nulla ha a che vedere con la democrazia e la conquista dei diritti civili.
Avrai sicuramente visto come me le immagini raccapriccianti di giovani, con la sola colpa di volersi divertire, uccisi e deportati con violenza inaudita. Negli occhi di quella ragazza che implorava piangendo gli aguzzini si rifletteva non un popolo che lotta per la libertà, ma un ideale mortifero di “cupio dissolvi”.
Non riconosco in quelle immagini lo spirito di un popolo così come si palesava nei tuoi discorsi. Un popolo di combattenti per la libertà, ma con ideali di giustizia, di democrazia che avevano conquistato i movimenti progressisti di tutto il mondo.
So benissimo le nostre colpe, le ipocrisie di un mondo occidentale che vi ha lasciato soli, costretti in parte in una sottile striscia che è stata definita una prigione a cielo aperto, dipendenti da Israele per luce, acqua, cibo e in parte in un territorio progressivamente derubato dall’arroganza e della avidità di coloni appoggiati dai vari governi di Israele.
Ma, pur comprendendo le ragioni, sono sicuro che tu non hai accettato il disumano accanimento sui corpi, morti e in vita, di persone innocenti, che stai pensando con umana solidarietà alle prigioniere e ai prigionieri rinchiusi in luoghi che eufemisticamente sono definiti prigioni; la loro sorte ti mette angoscia come la mette a me.
Rimango convinto che il giovane medico conosciuto tanti anni fa disapprovi questa barbarie; ti immagino chino sul tuo lavoro a riflettere su come è cambiata la tua gente, specialmente i giovani, a provare un immenso dolore per le sue sorti ed a prevedere un cupo futuro.
Sappi che io ti sono vicino, sono vicino al tuo sfortunato popolo schiacciato tra radicalismo fanatico e protervia cieca di un potere tanto arrogante quanto forte. Ma quelle morti, caro Helmi, gridano al mondo giustizia. Purtroppo non ci sarà giustizia, ma solo vendetta, altre morti ingiuste e tanto dolore per un popolo forte e fiero, ma dall’animo sfibrato da una sofferenza che attraversa il tempo e le generazioni.
Non ti arrendere Helmi, spero che i tuoi ideali di giustizia, di eguaglianza, di democrazia, insieme alla tua professione abbiano dato e continuino a dare un senso alla tua vita e a quella del tuo popolo.
Tu mi hai fatto conoscere la Palestina e i Palestinesi e te ne sarò sempre grato.
Spero di rivederti un giorno caro amico.
Enrico
ENRICO IENGO
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Autore della foto di copertina: Alisdare Hickson
Questa toccante riflessione di Enrico mi ha fatto tornare alla mente le parole che Bertoldt Brecht mise in bocca a uno dei suoi personaggi: “…volemmo un mondo fatto per la giustizia e non potemmo essere giusti, volemmo un mondo fatto per la bontà e non potemmo essere buoni…”. Era una sorta di laico atto di fede di un rivoluzionario del Novecento. Costituiva però un implicito riconoscimento dell’etica machiavellica e del suo tragico “realismo politico”. Forse è tempo che, in presenza di tanti orrori e delle devastanti minacce della tecnologia bellica, si pensi a un’etica diversa per una civiltà, la nostra, che (non dimentichiamolo) è la prima a possedere l’arma dell’autodistruzione totale.
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È innegabile che esiste un forte squilibrio tra i due popoli che si contendono un pezzo di territorio ma è anche innegabile che far difendere le proprie ragioni da una componente radicale islamica non aiuta la causa; Troppe guerre in giro per il mondo e quanto è diventato difficile vivere anche per noi tutti
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Arroganza, prepotere e realismo politico nella dichiarazione congiunta dei leader europei e degli USA nel ” fermo e unito sostegno allo Stato di Israele ( e la condanna di Hamas e dei suoi atti di terrorismo). E la “questione palestinese”, che da più di quaranta anni ho fatto conoscere ai miei studenti?
L’Ambasciata di Palestina in Italia si appella alla comunità internazionale, e in particolare all’ Italia, perché stia dalla parte della giustizia, e si assuma le proprie responsabilità: Gaza è una prigione a cielo aperto, con il terrorismo dei coloni armati e delle forze di occupazione in Cisgiordania, con incursioni sulle loro proprietà, sui loro raccolti ( gli ulivi!) e sui loro luoghi sacri, non solo musulmani, ma anche nelle chiese cristiane.
Sono stati fatti migliaia di appelli al mondo perché non si chiudano gli occhi di fronte ai crimini contro l’ umanità a cui è soggetta da più di settant’anni la popolazione indigena della Palestina.
Alla grande Maya multiforme dei nostri governi , della televisione italiana che fabbrica pseudo interpretazioni e pseudo soluzioni sulla Palestina e sui miti della nostra democrazia ” occidentale” ricordo le parole di Gesù :” Conoscerete la verità ed essa vi renderà liberi”; Gesù che i Palestinesi chiamavano ‘ Isà figlio di Maryam’.
Paola Angeloni
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Durante un congresso nazionale di Rifondazione Comunista, ci fu un intervento di Nemer Hammad che portava i saluti di Arafat dal suo assedio a Ramallah. Furono parole strazianti. Lo stesso rappresentante della OLP piangeva e non riusciva a parlare. La causa dei Palestinesi non sta solo a cuore, è elemento fondativo di chi si sente antifascista e anti colonialista. Generazioni e generazioni si sono succedute e hanno manifestato e urlato le stesse parole, gli stessi slogan. Dello stato palestinese rimane una lingua di terra e chissà a breve cosa rimarrà. Ci sono posizioni scomode da prendere, come lo è l’antifascismo, che non è un pranzo di gala o un incontro in doppiopetto, non è a corrente alternata.
La ferocia inammissibile di Hamas è figlia di tanta disperazione. Va condannata assolutamente nel modo più fermo.
Il terrorismo ci tappa la bocca, non dobbiamo permetterlo. Non dobbiamo permettere al terrorismo di indebolire la posizione vicino ai palestinesi.
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Valentina
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E’ giunto il momento. Ogni ritardo potrebbe essere doloroso. Dopo ciò cui stiamo assistendo da anni stiamo per varcare le soglia. Che cosa è “Occidente”?
Occidente non è una espressione geografica, uno spazio con bordi precisi. Occidente è una visione del mondo, un modo di essere. Questo modo di vita ha ormai una chiara caratteristica: assenza di ideali, di metastoria, di speranze, di utopia. Per secoli l’Occidente ha vissuto di utopie, religiose e laiche, rivoluzionarie, salvifiche, coinvolgenti. Ora vive solo l’ingordigia di tecnologie. E’ la tecnica a regnare. La tecnica non ha visioni, non persegue scopi. La tecnica “funziona”e basta!!
In queste condizioni di estrema povertà culturale ed ideologica come farà l’Occidente ad affrontare il mondo terzo in cui la speranza, la metastoria è in pieno regime? Come farà a dialogare se non usando la tecnologia di guerra di cui è ben dotata. L’assenza di ideali, di speranza e dunque di etica è il problema del momento.
Va bene discutere sui drammi del momento: chi ha ragione e chi ha torto.
Ma è giunto io momento di riflettere da parte dell’Occidente. Il pericolo è di essere schiacciati sul presente (destra-sinistra, buoni-cattivi, aggrediti-aggressori…..) e di non considerare che sia giunto il “momento opportuno”per la riflessione.
In un mondo dominato dalla tecnica, come il nostro, quale tipo di etica dovremo perseguire dal momento che la tecnica dissolve ogni etica, ogni finalità del vivere sociale e fonda solo un principio: il risultato (l’oggetto, lo strumento, il telefonino, la bomba. il missile….)
Venerdì cercherò di essere meno passionale.
carlo alberto
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Caro Enrico, mi auguro che il tuo amico provi orrore per quello che è accaduto e non stia dalla parte di Hamas. Ma resta il fatto che i terroristi, nemici de facto della causa del loro popolo, sembrano godere di consensi non solo a Gaza (dove probabilmente il consenso è forzato), ma anche in Cisgiordania. La cosa più preoccupante è il possibile, e fino a ieri difficilmente immaginabile, fronte unico sciiti-sunniti in funzione anti Israele, con scenari che si prospetterebbero terrificanti, non solo per il Medio oriente.
Giustamente è stato sottolineata, in interventi precedenti, la nostra debolezza valoriale rispetto all’energia anche distruttiva di altri popoli. La democrazia occidentale appare sempre meno in grado di proporsi come modello universale: è come se fosse rapidamente invecchiata in un progressivo svuotamento etico, come se si perdesse in piccolezze di principi senza solidi fondamenti di idee.
Dice bene Carlo: è giunto il momento della grande riflessione, del ripensamento globale del nostro modello.
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Ettore
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Ettore
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