La relazione tra fede e sport: riflessioni su un difficile rapporto.
di MASSIMO COZZI ♦
La lettura dell’articolo di Stefano Cervarelli dal titolo: “Il divino calcio”, apparso sul blog il 14 e 19 settembre u. s., ha catturato il mio interesse e mi ha offerto l’opportunità di poter argomentare alcune riflessioni riguardo alla relazione tra fede e sport, partendo dalla considerazione che è stato difficile per la teologia dogmatica (quella che riguarda le verità di fede) entrare in rapporto con un fenomeno così particolare della società qual è lo sport, a causa di un’ovvia prevalenza rivolta dalla dottrina a temi di suo più stringente e diretto interesse. Tale atteggiamento ha comportato indubbie difficoltà, da parte della teologia, a trattare, obiettivamente, i temi e le problematiche dello sport.
Una prima difficoltà può essere individuata nella riluttanza della teologia dogmatica ad assumere il punto di vista della pratica sociale.
Una serie di condizioni storiche hanno caratterizzato il movimento dello sport sia al suo nascere che nel suo svilupparsi: lo sviluppo del movimento sportivo va, infatti, inquadrato nel contesto dei cambiamenti storico- sociali.
In quanto processo di emancipazione sociale, lo sport ha consentito, nel tempo, l’avanzamento sociale e una diversa cultura del corpo e del movimento.
Durante il periodo medievale, (preso ad esempio per alcune tipologie di attività più avanti elencate, funzionali alla trattazione), gli ideali feudali e borghesi, nutriti da differenti tipi di esercizi fisici, insieme alle strategie pre-militari di educazione-esercitazione, entrarono, per via indiretta, nel codice di comportamento delle masse emergenti e favorirono la selezione di una elite, l’identificazione della nobiltà con la bellezza in sintonia con l’ideale greco di “kalokagathia” e i principi economici e morali espressi nell’ideale romano di “moderatio” e nell’ideale cavalleresco della misura.
Tuttavia gli esercizi fisici, seppure rivalutati dalla scolastica per effetto di un’influenza del pensiero greco nell’adattamento cristiano, non furono mai estesi a tutte le classi della popolazione. Il corpo ed i sensi erano visti come pericoli per la purezza spirituale, solo alcuni esercizi come la marcia, il gioco del pallone (non a caso sarà il gioco privilegiato, poi, negli oratori salesiani), la danza folcloristica ed i tornei erano permessi, perché servivano eticamente a raggiungere uno scopo o erano considerati utili per la salute psico-fisica e l’integrazione sociale.
Fino a quando la Chiesa e la teologia ebbero una posizione di guida sociale e spirituale rispetto a tutta la storia dell’occidente cristiano, costituirono una coalizione di interesse con le classi egemoni, limitando e rinviando i cambiamenti sociali. Il conservatorismo sociale si è manifestato parallelamente alla rivendicazione clericale e teologica del potere.
L’aperto coinvolgimento del movimento sportivo con la nascente cultura industriale e il radicale cambiamento sociale che l’ha accompagnato, ha costretto la Chiesa e la teologia ad una posizione, in parte, strumentale. Ciò emerge dall’alleanza tra lo sport e i movimenti nazionalistici all’inizio del ventesimo secolo, la cui rivolta era diretta contro la civiltà borghese, senza, tuttavia, mettere in dubbio né in crisi la struttura sociale borghese.
La strategia della Chiesa rispetto ai cambiamenti sociali è consistita, spesso, nel ricorso all’ordine costituito, secondo un modello di pensiero che, di volta in volta, ha usato atteggiamenti di ostilità in campo politico, etico, sociale e culturale e/o si è rifugiato nella spiritualità.
Attraverso i processi di mutamento sociale è stata avanzata una domanda di senso positivo che la Chiesa e la teologia dogmatica non sono state in grado di soddisfare. Una volta che i temi si sono, socialmente, manifestati e sono stati trasformati in ideologia dal movimento sportivo, la Chiesa non ha potuto prendere più parte alla loro formulazione senza rifugiarsi nell’apologia o nell’uso strumentale della propria presenza attiva, in ambito sportivo.
Il contatto tra la Chiesa e lo sport non è stato, cioè, il prodotto dell’articolazione di bisogni sociali autentici, ma è diventato realtà solo dopo che lo sport è stato, (in competizione con la Chiesa), istituzionalizzato e ideologizzato.
Da qui le riserve del mondo sportivo nei confronti della Chiesa per quanto riguarda la competenza e l’autorità di quest’ultima, che, tardivamente, e dopo tanti ammonimenti e giudizi morali (spesso estrinseci e di dubbia efficacia nei confronti del mondo sportivo), ha cercato di comprendere e promuovere lo sport, come mezzo per l’educazione, la formazione e la promozione dei valori cristiani.
Una seconda difficoltà può essere individuata nella questione del dualismo corpo/anima: la concezione e la visione del corpo e dell’anima dell’uomo come entità separate l’uno rispetto all’altra, considerato che il cristianesimo ha, sempre, professato la dottrina della salvezza dell’anima, a scapito del corpo, che è stato sempre subordinato alle sue funzioni spirituali.
Il deprezzamento del corpo e una relativa tendenza verso l’ascetismo risulta dall’escatologia cristiana delle origini, benché nel Vecchio Testamento non ci sia traccia della concezione dualistica di corpo e anima, che è, invece, conseguenza dell’accettazione della filosofia greca da parte della teologia cristiana. Così, seguendo gli argomenti degli Stoici e dei Platonici, l’allenamento del corpo finalizzato alla competizione, al piacere del movimento, del gioco e per il puro diletto, è stato rifiutato come concessione alla natura sensuale dell’uomo, mentre l’esercizio fisico avente finalità educative, pre-militari, salutistiche ed igienico-sanitarie è stato approvato come elemento di educazione, esercitazione, benessere psico-fisico e di elevazione spirituale.
Anche se non è stato possibile mantenere a lungo l’identificazione dell’antropologia cristiana con le opinioni dei denigratori del corpo, a causa dei risultati della ricerca storica e teologica, non si può negare che gli studi religiosi e la liturgia della Chiesa abbiano dato priorità all’anima e scarsa importanza al corpo. Altamente sintomatico della scarsa rilevanza data al corpo e allo sport, nella scala dei valori dei concetti e dei temi teologici, è il fatto che le parole corpo e sport, salvo in rare occasioni, non vengano mai menzionate nel lessico cattolico, almeno fino a metà degli anni cinquanta del Novecento.
La teologia cattolica è rimasta, per molto tempo, rigorosamente fedele a considerazioni antropologiche e teoriche, prive di qualsiasi ricaduta costruttiva sulla condizione della corporeità, del movimento e dello sport.
Molti teologi hanno messo in rilievo, in modo troppo unilaterale, gli aspetti etici comuni allo sport e alla vita cristiana, mentre hanno posto scarsa attenzione alle potenzialità interiori consentite dalla pratica sportiva come esperienze sociali di massa, recupero della fisicità, riappropriazione della corporeità.
Si è parlato, a ragione, di corpo sociale, cioè del corpo come espressione di pratiche sociali: per essere prodotto di una cultura sociale, la corporeità, però, non ha perso il carattere di elemento costitutivo dell’identità personale, che è stata costruita di pari passo con le relazioni sociali, per questo il fenomeno sportivo si è definito, nel tempo, come “fatto sociale totale”: soggetto a trasformazioni continue, in stretta connessione con le dinamiche del mutamento culturale e sociale.
Bisogna, tuttavia, riconoscere che, ancor prima che si sviluppasse lo sport moderno, il tema della cura del corpo e dell’esercizio fisico era presente nella consapevolezza di alcuni autorevoli, illuminati esponenti del mondo cattolico: si pensi a Don Bosco (1815-1888), che ha dedicato la propria opera all’educazione dei giovani svantaggiati delle periferie urbane ed esperienziali, intuendo, sotto tale profilo, l’importanza del gioco, in generale, e del gioco del calcio, in particolare, permesso già nel Medio Evo cristiano.
L’oratorio nasce come esigenza pedagogico – educativa e rappresenta il luogo dove organizzare diverse e diversificate attività: giochi, teatro, musica, formazione e avviamento al lavoro. Don Bosco ha utilizzato il gioco del calcio come strumento educativo, ha intuito che il calcio potesse insegnare ai giovani valori importanti come il rispetto, la disciplina, la cooperazione e lo spirito di squadra, utilizzando il calcio come mezzo per attrarre i giovani, togliendoli dalla strada e dallo sfruttamento minorile, verso l’oratorio, dove potevano ricevere un’istruzione formale, etica e religiosa ed acquisire una qualifica e la pratica per svolgere un mestiere.
C’è voluto, però, qualche tempo perché l’interesse ufficiale della Chiesa trovasse qualche eco in teologia, sono emersi, così, in modo evidente, i progressivi mutamenti dell’atteggiamento teologico cattolico verso il corpo e lo sport, tutti nella direzione di una “riabilitazione” dell’esperienza della corporeità regolata, considerata utile a raggiungere un obiettivo educativo, spirituale, di salute psico-fisica e di integrazione sociale.
La fine della seconda guerra mondiale oltre a significare una cesura militare e politica, facilitò lo sviluppo nelle relazioni delle Chiesa cattolica e della sua dottrina con lo sport. In Italia, dopo la dittatura fascista, si ricostituì un poderoso associazionismo, insediato nelle tradizionali sub-culture popolari: socialista e cattolica. Si produsse così un dialogo sempre più intenso tra le organizzazioni sportive ecclesiastiche e quelle laiche. E questo, a sua volta, basandosi sull’esperienza filosofica e religiosa dei circoli ecclesiastici, li spinse a chiarire la loro posizione riguardo alle questioni e ai problemi dello sport.
Questi contributi della Chiesa furono parimenti promossi da un nuovo sviluppo della dottrina teologica cattolica, che favorì, anche in religione, il riconoscimento della centralità dell’uomo.
Anche se la teologia non poteva essere trasformata in dottrina sociale senza mettere in discussione il proprio ruolo e il proprio scopo, il dover venire in contatto con l’uomo moderno ed aiutarlo a risolvere i suoi problemi ha favorito un atteggiamento di presenza più attiva e più intensa nella vita reale e, quindi, anche nello sport. Ciò ha prodotto un imponente lavoro di riconversione concettuale.
Si è affacciata, con il Concilio e il post-Concilio, l’idea che lo sport rappresentasse un settore specializzato, che dovesse fondarsi su organizzazioni e su principi metodologici del tutto autonomi. Certamente non è questa la sede per analizzare i discorsi dei vari Papi che si sono succeduti al soglio pontificio da Giovanni XXIII in poi, tutti orientati a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dello sport (si ricorda, per tutti, il documento sulla Chiesa nel mondo: “Gaudium et spes” del Concilio vaticano II).
La Chiesa cattolica ha voluto essere dentro lo sport, inteso come “sport per la persona” e, quindi, come spazio in cui sviluppare: amicizia, dialogo, uguaglianza, rispetto, solidarietà.
Il contributo della teologia al tema dell’esercizio fisico è stato, in questo senso, importante, perché lo sport rinvia, sempre, ad un contesto più ampio. Di conseguenza, una comprensione appropriata, e, in particolare, una visione unificata dell’uomo ha reso più articolato e stimolante il tema del corpo, del movimento e dello sport, ed è anche in forza degli orientamenti vaticani post-conciliari che la critica laica e sociologica all’atteggiamento della Chiesa verso lo sport sia scemata, lasciando il posto a riflessioni che hanno permesso di affrontare problematiche più articolate e complesse in tema di innovazione, tradizione e mutamento sociale.
MASSIMO COZZI

Ringrazio Massimo di questo contributo importante. Da tempo la ricerca sociale invita a considerare come lo sport non sia “soltanto” lo sport. Investe i sistemi di relazione a più ampio raggio, genera emozioni collettive, produce identità (nel bene o nel male…) e sollecita una riflessione sul corpo libera da pregiudizi. Una riflessione che auspico prosegua nel nostro blog raccogliendo le suggestioni (non del tutto convergenti) di Massimo e di Stefano.
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Ringrazio Massimo per il suo squisito intervento nel quale delinea quelli che sono stati i non sempre semplici rapporti tra fede sport, senza comunque tralasciare quelli che, nel corso del tempo, sono stati i contatti che la Chiesa ha avuto con l’attività sportiva (in particolato modo quella giovanile) riconoscendone l’importanza ed i valori.
E a tale proposito molto bene ha fatto Massimo a ricordare l’opera di don Bosco, così come quella di tutti gli altri innumerevoli oratori nel nostro tessuto sociale.
Comunque, come dice Massimo se per la teologia dogmatica, per la sua natura stessa, ci sono state difficoltà nell’entrare in rapporto con un aspetto così particolare della società come lo sport, ritengo che negli ultimi anni la visione dello stesso da parte della Chiesa sia cambiata, soprattutto per merito di Papa Francesco.
Una svolta all’approccio di una nuova visione senza dubbio è da collocare temporalmente nella famosa intervista che Sua Santità rilasciò alla Gazzetta dello Sport circa due anni or sono durante la quale passava in rassegna, alla luce del suo magistero, i vari aspetti dello sport, le sue problematiche e i rapporti di questo con la società.
Dichiarazioni quelle di Francesco accostate da brevissime riflessioni, collegati con avvenimenti reali, di don Marco Pozza, maratoneta e ciclista che ha fatto della teologia dello sport la sua missione.
Questa intervista fu accompagnata dalla pubblicazione che fu definita a ragione “L’Enciclica laica sullo sport sport” con il titolo LO SPORT SECONDO FRANCESCO (2 gennaio 2021).
Di questa intervista io ne feci materia di articoli per il nostro blog, ricavandone, spiace dirlo, non molto interesse.
Costituisce ,comunque un buon spunto di riflessione, per chi volesse approfondire certe tematiche che nelle rispeso di Papa Francesco, nono si limitano ovviamente al solo argomento sportivo.
Riguardo poi “le suggestioni non convergenti” lo si deve al fatto che io e Massimo abbiamo trattato argomenti differenti, seppure all’interno dello stesso tema. Massimo ha approfondito il suo pensiero sul rapporto nel corso della storia tra teologia e sport, mentre io mi sono limitato a far conoscere di come viene vissuta la religione, e quale siano i suoi rapporti, gli effetti nel mondo del pallone, dove se ne vedono di tutti i colori fino a don Camillo che rivolgendosi al Signore a proposito di un partita di calcio gli dice:” No Signore tu non capisci…”
Stefano Cervarelli
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