I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 38: I nuovi cavalieri dell’Apocalisse: demografia, educazione e sapere, migrazioni, religioni.

Eppure, ci sono snodi epocali, che aspettano l’umanità.

La crisi demografica è uno di essi. A fronte di studiosi, per lo più filosofi, che invocano addirittura il permesso di procreare, assumendo che la crescita della popolazione non è insostenibile in termini assoluti, ma per il modo di vita[1], divoratore di risorse, i demografi sono unanimi nel ritenere che, già in questo secolo, assisteremo a un calo sensibile della popolazione mondiale e che la decrescita demografica sarà il problema più grave nei decenni a venire.

La storia insegna che gli uomini sono ossessionati dalla scarsità del cibo e, conseguentemente, dal numero degli individui che se lo debbono dividere. Nella prima fase della piccola era glaciale, iniziata alla fine del medio evo, nella difficoltà, quasi insormontabile, di coltivare cereali, la denatalità fu una piaga; poi gli uomini impararono a conservare meglio le riserve alimentari, a diversificare le diete e la popolazione tornò a crescere.

Poi venne Hitler, il quale aveva strane idee su chi tra gi umani meritasse di vivere. Fortunatamente, la disfatta di un simile mostro diede vita alla più grande esplosione demografica di tutti i tempi.

Più recentemente, nell’ultimo scorcio del secolo scorso, il Partito Comunista cinese avviò la politica del figlio unico; scelta demenziale, che provocò un genocidio di bambine mai nate, decine e decine di milioni, sull’altare della preferenza del maschio. Lo squilibrio tra i sessi determinò guasti sociali che solo un regime totalitario poteva soffocare. Solo da pochi anni quella politica è stata abbandonata.

Ora, però, gli esperti ci dicono che nel giro di trent’anni tutti i paesi d’Europa, chi più chi meno, fatta eccezione per la Francia che da trent’anni ha introdotto politiche serie a favore dell’infanzia e delle famiglie, perderanno quote cospicue della propria popolazione, un fenomeno che toccherà tutte il mondo, a cominciare dalla Cina che perderà in 80 anni quasi la metà dei suoi abitanti.

Il dato è costante, man mano che migliorano le condizioni di vita, che si relativizza l’importanza del matrimonio, che l’aborto da eccezione diventa normalità, si fanno meno figli. Solo gli africani continueranno a far nascere bambini, ma quando raggiungeranno analoghi livelli di vita, il declino demografico interesserà anche loro.

La demografia condizionerà tutte le attività dell’uomo nel secolo in corso e in quelli a venire, eppure hai la sensazione che i governanti non se ne preoccupino, attenti a esercitare il potere giorno per giorno, regolandosi sui sondaggi a 15 giorni.

Ognuno di noi vorrebbe fare una domanda ai grandi della Terra: «ma tu guidi il Paese più potente del mondo, che fai, guardi allo stagno del tuo mandato o ti preoccupi anche dei nostri nipoti? Come fai a programmare politiche energetiche, ambientali, infrastrutturali, di adattamento nelle città del futuro, di mobilità urbana, di educazione, di accoglienza, se non sai quanti saranno gli abitanti tra vent’anni? Programmi, portandoti dietro i pregiudizi che hai nel miserabile scorcio di tempo in cui sei qualcuno?».

Non ti risponderà nessuno, neppure l’ultimo golpista del Mali.

Credo che l’ultimo uomo, che abbia concepito un’opera nella consapevolezza che non ne avrebbe visto la fine, sia stato Antoni Gaudi, il genio catalano che, ideando la Sagrada Familia, ha eguagliato i costruttori delle cattedrali gotiche del basso medioevo. Tanto per dire della civiltà occidentale.

Le conseguenze della decrescita demografica non siamo neppure in grado di prevederle, ma ce n’è una che conosciamo, essendo già in corso: lo spopolamento dei piccoli paesi e dei borghi.

Il XX è stato il secolo dell’inurbamento. Sono cresciute in modo smisurato città come Il Cairo, Lagos, New Delhi, Sao Paulo, Shanghai e innumerevoli altre. Anche l’occidente è stato interessato dal fenomeno, ma le dimensioni sono state più accettabili.

Nei prossimi anni, tuttavia, anche le città occidentali rischieranno di esplodere. La vita diventerà sempre più difficile, ma nulla di paragonabile a quella stentata di cittadine lontane dai grandi centri, dei paesi, dei borghi. Rimarranno gli anziani, restii a rinunciare alle proprie abitudini e, più spesso, non sapendo dove andare.

Questa realtà sta già percorrendo la Francia, dove i piccoli centri sono spesso molto lontani dalle grandi città. Da questi piccoli paesi i giovani se ne sono andati, nelle strade, le grida dei bambini, la musica più bella che gli uomini siano riusciti a creare, non si sentono più. Senza giovani e bambini le scuole, i mercati, le guardie mediche, i servizi sono spariti, anche le chiese hanno chiuso i battenti.

Sentivo un sindaco di un paesino francese, che raccontava cosa fosse rimasto della loro vita: furgoni     che vengono una volta la settimana per vendere alimenti, indumenti, se qualcuno sta male si chiama l’ospedale più vicino, che manda un’ambulanza, nella speranza che non rimanga per strada per le condizioni sempre più degradate del fondo stradale.

Forse la Chiesa avrà altri territori per le sue missioni.

***

Altro caposaldo pericolante l’educazione. In Europa, solo con la Rivoluzione francese, la scuola diventa obbligatoria, gratuita e pubblica, ma solo con la colossale riforma napoleonica si attua il disegno di una scuola, che rappresenta il passato, il presente e il futuro dello stato.

Già Atene e Sparta avevano creato scuole per tutti i bambini da sette anni in su. Addirittura, più completo l’insegnamento a Roma, dove raggiunse livelli d’eccellenza e completezza tra la fine della Repubblica e l’inizio del Principato. L’impianto romano, mutuato in epoca medievale, soprattutto grazie agli ordini religiosi, si affina sempre di più, tende a universalizzarsi, tanto da culminare nella nascita delle Università, le prime a Bologna, Parigi e York.

L’insegnamento fu uno degli strumenti usati dagli europei per ingraziarsi le popolazioni, che venivano assoggettate, nei secoli, non edificanti, della colonizzazione. Per la verità questo compito venne affidato agli ordini religiosi chiamati a convertire gli indigeni, Con altro spirito e con altri mezzi le missioni continuano a fare, specie in Africa, quel che nessuno altro vuol fare, come i Comboniani[2] nel Ciad e nel Sudan.

La scuola, l’educazione e l’insegnamento sono stati i più formidabili ascensori sociali, che l’uomo abbia mai concepito, consentendo a ragazzi e ragazze, privi di futuro e speranze, di raggiungere i vertici della scala sociale.

Paradossalmente, nelle nostre società, che dedicano alla scuola parte cospicua dei loro bilanci, la scuola ha perduto la funzione di ascensore sociale. In un paese come l’Italia, e temo che non sia un caso isolato, la scuola non è funzionale al compito, che deve svolgere, forse il più delicato di una comunità, ma a sé stessa. Quello che conta è il personale, lavorando nella Pubblica istruzione oltre un milione di persone. Stessa cosa per Alitalia, per la RAI, per ogni iniziativa gestita dallo Stato.

Sempre in Italia, quest’anno, il 25% dei ragazzi in età scolare ha lasciato la scuola e non intende rientrarci, sintomo di una situazione disperata, di cui incredibilmente si parla poco o per niente.

La scuola italiana è ferma da 60 anni, non è adatta a formare ragazzi all’altezza dei tempi, ha perseguito il mito demenziale dell’eguaglianza, dove tutti dovranno esser promossi, scoraggia gli allievi che si distinguono, che sono più bravi perché studiano, si sacrificano.

La società dei nostri tempi ha due volti. La stragrande parte dei diplomati non riesce a entrare nel mondo del lavoro perché non ha le conoscenze per applicarsi a processi complessi, quelli che i nostri tempi richiedono, né c’è la sensibilità nelle istituzioni pubbliche di aiutarli a recuperare il tempo perduto. Per altro verso i genitori, che, nel periodo del lockdown, in buona compagnia con i giornalisti, gli psicologi da talk show, si lamentavano non perché figli perdevano le lezioni, ma gli apericena, la discoteca. Del futuro dei ragazzi di oggi non frega niente a nessuno.

EZIO CALDERAI                                                                                                                              (continua)

[1] Naturalmente nel mirino ci sono sempre i paesi occidentali e gli uomini bianchi ed eterosessuali.
[2] Le gesta e le azioni di questa congregazione di missionari del Sacro Cuore di Gesù, fondata dal vescovo Daniele Comboni nel 1867 sono leggendarie. Il preposto dell’Ordine molti miei amici l’hanno conosciuto a Civitavecchia quando organizzai un concerto per la raccolta di fondi. Ricorderanno quell’uomo, semplicemente eccezionale nella sua umiltà.

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