A TE COMPAGNO SOLLECITO E PREMUROSO
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Sono giunto a tarda età per attirare su di me odio e rancore?
E’ così. Non posso fare altrimenti. Non posso, in verità, perché lo voglio .Ma lo voglio anche perché lo devo.
Lo devo per riconoscenza verso chi mi fornito di felicità. Lo desidero per l’avversione che covo verso chi ha oltraggiato la vera felicità.
Per anni, per decenni ho sempre ho tentato di capire, di farmi medesimo del miserrimo. Ho ammirato, non lo nascondo, la tenacia con cui il compassionevole indugiava, anzi si ostinava, con estrema pervicacia in quella insulsa aspirazione nicotiniana priva di aromi, di umori forti, acidula e di scarsissima memoria olfattiva.
Erano i sigarettomani la mia croce, il mio rovello.
Ammirato, attendevo trepidante, negli anni della mia adolescenza, nel pronao mentre all’interno del tempio esalava l’odore intenso prodotto dai molti turiboli. Quel tempio fantastico era la stanza di mio nonno avvolta in un nembo di fragranza.
Toscano!
Ultimo desiderio del condannato a morte. Esibizione di intolleranza verso i deboli. Asilo sicuro contro il fumo compulsivo del sigarettomane. Specchio di perfezione. Simbolo di sapienza. Avvocato consolatore delle angosce. Stella vespertina che accompagni la fine di un lauto desinare.
Ci fu un tempo, narra il mito fondante, che la pioggia improvvisa irruppe in una giornata agostana nella Firenze dell’Ottocento. Il segno di Dio si era così espresso. Lesto macerò tutto il fogliame giacente nel cortile di una manifattura di tabacco ed alte le imprecazioni si levarono verso il cielo silente, ma il segno non aveva ancora concluso il suo effetto. Fermentò quel fogliame al caldo solleone del cortile. Il segno divino, allora, si diresse nel cuore di chi poteva decidere e si decise la vendita alla povera gente d’Oltrarno.
E fu luce, che squarciò la tenebra. Lo chiamarono il “fermentato” di Sant’Orsola ciò che conquistò i cuori dell’umile gente.
<< Oh “sacro ripieno” che sei avvolto dalla sola “fascia” abbandonando per sempre la vezzosa “sottofascia”. E’ per questo che la tua forma è rozza e non armoniosa, ruvida e nerboruta. Ma è nell’aroma che risiede la tua sostanza e per questo che, senza alcuna pena, hai ceduto gli squallidi accidenti denudandoti a fronte dei lussuosi e putulenti cubani >>.
Dalla povera gente, contadini, bifolchi, butteri, caporali, guitti, carbonari, macellai, beccai, maniscalchi, fabbri, facchini, carrettieri, facocchi, barrocciai, caciari, manovali, conciatori, la contaminazione aveva operato e s’era diffusa tra fattori, vergari, massari, sensali, mercanti di campagna, avvocati, commercianti, conti e marchesi, deputati. Tutti esprimevano la giusta devozione al di là del censo, al di là dell’idioma.
Sovrano incontrastato aveva saputo ben modulare il canone evangelico: i poveri siano di esempio ai ricchi!
Poi, d’un tratto l’imprevisto accadde.
Era d’inverno.
Era a quel pallido sole che il cielo si tinse nuovamente di nero: qual gramigna in ubertoso campo di grano, ecco spuntare la rivale, ella!
Correva l’anno 1914.
La volgare, vezzosa quanto stupidina, “spagnoletta”! Absit iniura verbis: è così che si chiamava!
Al torbido apparire della neonata il re dei sigari acquisì, in segno di rispetto per il genius loci, il nome dalla terra che lo aveva generato grazie al segno divino, ed ella, infante già perversa in culla, tramutò il nome d’origine (che aveva una certa ispanica dignità) in un anonimo diminutivo, imbarazzante vezzeggiativo, forse dispregiativo, certo indicativo del suo squallore: sigaretta! (nomina sunt omina).
La moda, questo infame segno dei tempi, questo viver “inautentico”, questo esser-per-lo-squallore costellato dai “si dice”, “così si deve fare” etc. etc., finì per entusiasmare le masse incolte ed in parte quelle ìnclite.
Il grande sigaro italico finì per essere ciò che il divino lo aveva pensato in principio. Riserva elitaria! Elitaria non per genìa ereditata ma per cultura acquisita.
Il Toscano rimase, dunque, simbolo e non segno.
Segno è la “spagnoletta”che suole mostrare di sè un sol verso: l’ossessivo , irrefrenabile, compulsivo comportamento sintomo di malessere psichico e sociale, segno di affaticamento neuronale, emblema di languore, orma del tedioso avvicendarsi dei giorni.
Il Toscano, al contrario, è simbolo, plusvalenza di significati, rimando continuo a stati benessere, tripudio festoso e continuo ad una vita sapienziale, quiete assoluta.
Una volta che la cattura del neofita è avvenuta esso, il Toscano, sembra effondere ciò che il miosotide, fiore caro a Davide Herbert Lawrence, ripete con canto monotono: nontiscordardime!
A modo di conclusione: I tempi che ci attendono sono incerti. E’ vero. Viviamo il rischio, abitiamo il malessere. Perché, dunque, aggiungere turbamento al turbamento?
Esiste ancora spazio per la conversione. Sigarettomani, ascoltate! Abbiate rispetto di voi e degli altri. Il fumo fa male? Ma di certo!
Ma con una sottile precisazione: il fumo fa male, ma il male è il fumar male!
Nel contempo, attendendo querele e lamentazioni , ire ed insolenze di variopinta umanità di genere e di virtù, mi avvio ad accender di fuoco quel grande costruttore di olfattiva memoria.
Naturalmente , per chi mi dovesse contrastare, anathema sit!
. . .
Dedicato a:
Vittorio Emanuele II, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Arturo Toscanini, Amedeo Modigliani, Alberto Franchetti, Carlo Bo , Carlo Levi , Fausto Bertinotti, Pier Ferdinando Casini, Pietro Germi, Rossella Sleiter, Nada Malanima, Mario Soldati, Totò, don Luigi Giussani, Antonio di Pietro, Pier Luigi Bersani, Gianni Brera, Alberto Abruzzese, Vincenzo Visco ,Francis Ford Coppola, e tanti altri dimenticati.
Dedicato alle:
migliaia di donne addette alla manifattura, l e così dette” sigaraie”.Il pesante sfruttamento a cui erano sottoposte subendo i soprusi dei maschi dirigenti e dei guardiani furono la ragione del loro ribellismo. Nel 1898 abbandonano il lavoro durante le Cinque Giornate di Milano. Per timore di ruberie dovevano lavorare in locali ben chiusi e respirare continuamente il tabacco. A Lucca le sigaraie erano oltre 2.000 (1921). A Firenze quasi 1.000.Erano sottoposte alla “fruga” ovvero ad essere perquisite prima di uscire
La vulgata che narra l’arrotolamento sulle coscie nude è leggenda semplicemente tratta dalla Carmen di Mérimée musicata da Bizet. Il lavoro manuale era invece un meccanico, incessante, massacrante lavoro di routine.
Che altro c’è da aggiungere?
CARLO ALBERTO FALZETTI
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Fantastiche le immagini del nonno e della Firenze operaia al femminile.
Il rollare delle foglie di tabacco sulle cosce delle ragazze richiama la “mamma”, la dipendenza presente anche nei fumatori di sigarette.
Il fumo di nicotina ha molti significati, è una lotta continua tra il principio del piacere e il principio di realtà.
Grazie Carlo.
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E dedicato pure a mio marito tabagista, che oggi porta di qusto piacere tutti i segni, anzi le stigmate… La nostra generazione ha ripreso daglu attori del cinema americano anni trenta tutta la mitologia del fumo e del rito che lo accompagna: la voluttà della spirale , il piacere orale, il richiamo sessuale. E la costruzione nell’immaginario è stata così forte e capillare da divenire costume permanente contro cui poco o nulla pissono le pecette allarmistiche poste sulla fonte del piacere stesso. Anzi. Il tuo racconto Carlo sublima con la solita suggestivita’un’abitudine e una consuetudine sociale, ma soprattutto il modello maschile del forte e tenebrose e quello femminile della maliarda.Roba da boomer per i nerd.
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Chissà perché mi è tornato in mente quel passaggio, a suo modo predittivo, de ” La coscienza di Zeno”, quando Zeno a 20 anni si ammala di forte mal di gola e febbre per il fumo e il padre che “andava e veniva col suo sigaro in bocca” lo incoraggia a stare ancora qualche giorno senza fumo per agevolare la guarigione.
Quando si dice l’esempio!!
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“Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.”
Svevo, ovviamente, ma vorrei ricordare Bogart, Garbo, Dietrich, Grant, Moravia, Visconti, Camilleri, Pannella, Falcone, Borsellino, De Beauvoir e altri vissuti, come me, nello squallore e nella nevrosi.
A ogni modo, nella nuvola di fumo del toscano di nonno è toccato a me crescere quando lui si mise in testa di insegnarmi a leggere e scrivere a tre anni 🙂
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Io ho avuto, fra i tanti, un Preside accanito fumatore, accendeva la nuova con il mozzicone ancora tra le dita. Io non fumo, il fumo mi dà fastidio…Quindi immaginate il mio disagio nello stare necessariamente accanto al Preside,io che ero vicepreside. Tanto che un giorno, esasperata ,mi sono alzata dalla poltrona in presidenza e con stizza ho spalancato una delle finestre alle sue spalle, faceva freddo. Lui mi fa :”Uhè, professorè, tenite le caldane?!” e io, di rimando:”No, anzi ho freddo, ma lei fuma troppo, sarebbe pure proibito a scuola…”. Mi risponde, senza fare una piega:” Non mi costringa a scegliere tra lei e la sigaretta, a mia moglie ho bruciato un paio di coperte e qualche tenda, si è arresa…E poi, lei non fa volontariato ai tossicodipendenti? Ecco, mi consideri drogato!”.
Che dire?
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