“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – IL DIVINO CALCIO (parte 1)
di STEFANO CERVARELLI ♦
Sul quotidiano Il Giorno del 3 gennaio 1971, Pier Paolo Pasolini scriveva: ”Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione”.
Come non dire che queste parole contengono ancor oggi una indiscussa attualità? Anzi quello che allora poteva sembrare una visione “intellettualistica” del calcio, oggi ha assunto un significato che oltre ad essere di uso comune, racchiude ancor meglio le tante sfumature di quella che, a tutti gli effetti, è divenuta una relazione tra sport e fede, una relazione tanto occulta ma, nel contempo, quanto esibita.
Perché occulta? Perché c’è molta gente che pensa che il rapporto tra questi due mondi si materializza, e si esterna soltanto attraverso le bestemmie dei tifosi e dei calciatori, e purtroppo poco si fa per estirpare questa incivilissima abitudine. Occulta, anzi da occultare, poi lo è per i vertici del calcio mondiale, poco disposti ad ammettere messaggi di fede (o peggio: politici) dentro i recinti sacri del dio business.
Perché esibita? Perché, lo è in tanti modi diversi, dagli omaggi indirizzati dai calciatori all’Onnipotente dopo una rete segnata, ai tatuaggi in mostra sui loro corpi, come quello di Olivier Giroud, centravanti del Milan, che sull’avambraccio destro ha incise le prime parole del Salmo 22.
Gli aspetti citati non sono che quelli epidermici della questione.
Se lo sport, come viene sovente ribadito, è lo specchio della società, di questa ne riflette anche gli aspetti e fenomeni religiosi che si manifestano al suo interno.
Allora il calcio sarebbe una religione?
Se la religione è un fenomeno che riguarda una collettività riunita, ritualmente, attorno a qualcosa di sacro verrebbe da rispondere di sì, stando a quanto spiegato dall’antropologo francese Marc Augè, in un saggio dal titolo:”Football- il calcio come fenomeno religioso”.
Anzi a questo proposito verrebbe da aggiungere che il “calcio è la sola religione del mondo che ho intorno” rifacendosi a un verso della canzone COME STAI di Brunori Sas.
Ma qual’è il senso di tutto questo ?
Leggiamo le parole di Daniele Bardelli, docente di storia contemporanea alla Cattolica e studioso del ruolo sociale dello sport: ”Il calcio è una religiosità tutta laica che si esprime in una morale che non ha riferimenti trascendenti”.
E ancora Riccardo Brizzi, docente della stessa materia a Bologna e coautore del volume Storia della coppa del mondo di calcio (1930-2018): ”Il calcio non è un credo nell’aldilà, ma una religione laica della società contemporanea, riscontrabile nei suoi fedeli, i tifosi; nell’oggetto della loro fede, la squadra; nei loro luoghi di culto, gli stadi; nell’esaltazione degli eroi sportivi e dei loro corpi divinizzati; nei colori, ostentati come segni di appartenenza ad un credo. Una religione che, come ogni altra, non è immune dal virus del fanatismo e dell’intolleranza”.
Dunque queste le parole di due esperti studiosi dell’argomento; viene da pensare che se la situazione è tale non stupisce poi troppo che il credo del pallone tenda ad assumere forme messianiche.
Il pensiero a questo punto corre spontaneo al caso più esemplare: quello di Armando Diego Maradona, la sua figura a Napoli è oggetto di vivo culto che si manifesta oltre che nelle gigantografie di cui è tappezzata la città, nelle tante piccole edicole votive che accostano i volti di Gesù, Maria e Diego (e non sempre in quest’ordine di importanza), mentre il Murales, eseguito sulla facciata di un caseggiato dei quartieri spagnoli, è meta di un vero e proprio pellegrinaggio, e non solo di napoletani.
Di questo ne sono stato testimone oculare in un recente viaggio a Napoli; è stato davvero sbalorditivo vedere quanta gente percorse le strette vie del quartiere, raggiungeva il luogo “sacro” del Murales, riempendo la piazzetta antistante e fermandosi in una ammirazione, quasi rapita, dell’immagine del campione dove la parola “Diez” il numero di maglia dell’argentino, si muta nella parola ”Dios”. Vogliamo poi dire di quelli che vanno in giro vendendo piccole immagini di Maradona alla stregua di santini?
D’altra parte non dimentichiamo che negli anni ottanta il campione fu già oggetto di una venerazione tale da spingere Giulio Andreotti ad affermare che il culto di San Diego aveva oscurato quello di San Gennaro.
A nessun altro giocatore, che io ricordi, è mai successo niente di simile. Nè a Ronaldo, 163 milioni di followers su Facebook, nè a Messi, 114 milioni di seguaci sui social.
Un tentavo di innalzare un giocatore a “divinità” c ‘è stato nel momento del congedo di Ibtahimovic
quando i tifosi hanno esibito uno striscione con scritto “GodBye”.
C’è poi, più nascosto, un secondo livello di apporti tra calcio e fede.
Tutti sanno che ai tempi di Olimpia lo sport era sacro; molti di meno ricordano che per buona parte del ventesimo secolo calcistico, pallone e religione hanno camminato a braccetto.
Spesso, inoltre, il primo è stato un’appendice della seconda.
In Francia un club come l’Auxerre, fondato nel 1905 dall‘abbè Deschamps aveva la maglia bianca e blu in omaggio ai colori della Vergine.
Ci sono stati poi casi in cui i club sono stati una vera e propria incarnazione degli scontri confessionali. In Scozia, a Glasgow una rivalità acerrima ha diviso, e divide, i cattolici del Celtic, club fondato da fratel Walfried, padre marista, ed i protestanti dei Rangers.
Per tornare nelle nostre terre, basta pensare a quelle vere proprie fucine di club, e più ancora di campioni, che sono stati, fino a qualche decennio fa, gli oratori della penisola.
E proprio da un oratorio, quello salesiano di Ferrara, che nasce la Spal, storica società.
Ed è proprio da lì, su quei campi dove si giocava alla “Viva il Parroco” che generazione dopo generazione, sono cresciuti centinaia di ragazzi divenuti poi campioni.
Citarli tutti, ovviamente non è possibile e anche se lo fosse non sarebbe questa la sede, ma sgranare qualche nome si può: Gianni Rivera, Gaetano Scirea, Marco Tardelli, Franco Baresi, Roberto Mancini, Gianluca Vialli.
A proposito di quest’ultimo sentite cosa dice don Massimiliano Gabbricci, dal 2006 al 2022 cappellano della Fiorentina e della Nazionale (Si, molte squadre sono dotate di un cappellano): “Di Gianluca ricordo la fede, non banale, che aveva e un rapporto con Dio diventato sempre più profondo per poi affinatosi nella malattia”.
Quel mondo compatto e “ tutto cattolico” non c ‘è più da tempo.
Come è mutata la geografia delle fedi, così si sono trasformati i suoi riflessi calcistici: globale il mondo, globale il pallone, globali le sue religioni.
Ma di questo parlerò la prossima volta.
( continua)
STEFANO CERVARELLI
