NOSTALGIA

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Avevamo qualcosa. Poi  ne perdemmo il possesso.

Accadde per necessità , accadde per via degli eventi , accadde per il tempo che scorre. Ma accadde.

In ogni caso rimase la spina dolorosa della nostalgia.

Il pensiero va ai migranti. Parliamo di tanti problemi,  loro e nostri. Proviamo a pensare i loro: il mal du pays, l’angoscia della privazione, la mancanza, il desiderio di patria che strugge ogni peregrinare. E la mente rimbalza  presto verso i nostri migranti d’un tempo.

“Nostalgia”!

Termine clinico seicentesco perché malattia della lontananza, gemello, per sintomatologia, a ciò che poteva produrre la rinascimentale melancholia. Il termine medico costrinse così all’oblio, nell’idioma tedesco, l’antica parola Heimweh che letteralmente significava mal di casa (Heim). Era la lingua greca a fornire il nuovo significante:  dolore( algos,άλγος) e ritorno in patria (nòstos, νόστος) dunque nost-algia.

 In seguito da sintomo clinico il termine fece irruzione nella famiglia dei sentimenti.

Nostalgia,  rimpianto,  luogo perduto, a-topia, tradizioni smarrite, in-appartenenza,  rancore dell’ospitante,  solitudine,  rigetto della gente,  saudade.

Il migrante non è solo forza di lavoro, problema da risolvere.  il migrante è anche tutto questo. Ed era  tutto questo ciò che avvolgeva, un tempo, la vita dei nostri connazionali in America, in Argentina, nelle miniere dell’Europa del nord.

L’epica classica ha da tempo descritto il dramma del desiderium patriae. Il nòstos di Ulisse è il grande mito della lontananza, del ritorno, della peregrinatio. Quando il benpensante nostrano inneggia al pericolo della contaminazione  dimentica (o, meglio,  vuole ignorare) che il Paese di cui si gloria è frutto di una enorme secolare contaminazione perché migliaia di esodi non hanno avuto il beneficio del “ritorno”, del nòstos di Odisseo.

Ma la nostalgia non riguarda solo il dolore verso lo spazio perduto.

Esiste la nostalgia del tempo. Il desiderio del ritorno ad un tempo che fu, al tempo delle verdi pulsioni.  All’innocenza, alle carezze, alla meraviglia, ai giochi, ai palpiti, agli innamoramenti tentennanti, agli amori, ai timori, al cuore trepidante, alle molteplici iniziazioni della vita, alla vita nel suo stadio etico, al germinare di nuove vite, al prendersi cura della vita in fiore.

E’ qui che la nostalgia si mostra come la reazione alla grande miseria della irreversibilità del tempo.

La senescenza non patisce solo perché ha difficoltà nel vivere immerso nella tecnica irrompente, perché non ha l’uso dello strumento innovativo . Non è così!

Senescenza vuol dire il mai più e, soprattutto, il non ancora. Vuol dire  tempo ormai consumato , inventario di occasioni perdute, esilio dalla felicità. La definizione di “dolore”, insita nel termine nostalgia,  appare in tutta la sua evidenza.

Se Ulisse è il mito del desiderio di ritorno alla patria avita, la nostalgia del tempo perduto ha in Mnemosyne il suo mito. Mnemosyne  è la dea che permette l’uscita dall’oblio. Dunque, esiste una via di uscita dal dolore nostalgico come è via di uscita dal dolore della patria lontana il ritorno ad Itaca.

Può Mnemosyne  compiere un miracolo? Può essa  offrirsi non solo come fonte di dolore ma anche di mezzo per placarlo?

Forse, ma a condizione che il ricordo non sia quel pietoso pianto a cui la mente passiva  si abbandona durante la lenta monotona processione delle ore satolle di vita.

Dalla cenere del tempo consumato può emergere il “risorto”:  l’ombra del tempo che riappare sotto le forme della ricordanza di Leopardi o della recherche  di Proust, dell’Andenken  di Heidegger.

Quest’ultimo termine merita una particolare attenzione.  Andenken  è quella forma del pensare (Denken) che non è il pensiero calcolante che ci ha abitato per tutta la vita lavorativa ma è quel  pensiero rammemorante che riesce a superare la nostalgia, dunque il dolore. L’esilio dalla felicità dell’anziano trova così un “analgesico” nel dare un senso  al passato, nel bene e nel male. Dare un senso significa trasformare il proprio passato in una “storia”, fornirlo di dignità anche se quel passato parla di una vita ordinaria, scialba, deludente. Comunque una vita è sempre un mistero che merita rispetto (Magno miraculum est homo). La senescenza ne è il momento propizio, il kàiros,  per trarre una sintesi finale (la nottola di Minerva s’invola al tramonto).

Con il fornire di senso il nostro passato la senilità non appare più solo come “la fine di un ciclo” ma esibisce uno scopo sia pur vago, confuso. Dominando la nostalgia che incombe minacciosa, la vita consumata non appare più come successione dei giorni governata dal ritmo della natura: quel nascere e morire solo per far posto ad altri e servire la legge della natura.

Il reperimento di un senso è allora la rivolta al fatto naturale che sacrifica vite senza alcun rimpianto, pur di procedere incessantemente  in avanti. L’uomo in rivolta è l’uomo che vuole sfuggire alla natura pur facendone tremendamente parte. Una contraddizione, certo. Ma questo è l’uomo! Dare un senso, farne storia, è il grido di ribellione, un grido disperato ma che è un atto di libertà contro l’impietosa natura che vede l’uomo come solo anello necessario alla catena della vita (Goethe: la vita è l’invenzione più bella della natura e la morte il suo artificio per avere “molta” vita).

Il grande dono della senilità è questa possibilità di trasformare le reliquie disanimate  del nostro vissuto, ormai irreversibile, in una storia di vita.

Questo farsi “storia” del tempo consumato, questo dono concesso, può avvenire attraverso  due differenti visioni:  accettare il dolore della esistenza che sempre è presente e lo è ancor più nel finale (la morte), oppure pensare quel dolore quale “caparra”, pegno, risarcimento in vista di un éschaton.  Il primo movimento è tutto greco, il secondo è tutto cristiano( o Dioniso o la Croce)

Ma quel dono, di cui il vecchio dispone, può esser vanificato dal torpore della malinconia, dal dramma della malattia, dall’abbandono fantastico( rêverie), dal rancore astioso, dal rilassamento della mente che segue al collasso fisiologico, dal vuoto , dalla di-speranza.

Senilità può essere sofferenza per il valore perso della vita, può essere entusiasmo per il valore conquistato sul senso della vita. Mai potrà essere pena per una incapacità di comprendere il valore d’uso delle cose che di continuo sgorgano attorno al vecchio uomo sommerso di nostalgia.

Nostalgia dello spazio, nostalgia del tempo.

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Il termine nostalgia fu coniato nel 1668 presso l’Università di Basilea.Attualmente Antonio Prete(Università di Siena)ha pubblicato un testo sulla “Nostalgia”, 2018 da cui ho potuto trarre molte indicazioni.

Per il tema della nostalgia del tempo vale sempre quel manuale di “nostalgia dell’infinito” che è costituito dal “Cato maior de senectute” di Cicerone.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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