Ciao amore ciao

di VALENTINA DI GENNARO ♦

Caro Carlo, l’occasione di parlare di amore, fede e delle lettere di Paolo è una di quelle imperdibili. 

“L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno. […]Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la piú grande di esse è l’amore.”   

In greco: ἀγάπη, agápē, in latino : caritas significa amore disinteressato, immenso, smisurato.   

Per diventare virtù cristiana, quindi neotestamentaria, ecco che diventa “carità”, non più amore, mai più Eros. 

Già nell’Odissea, ἀγάπη, è usata per definire l’amore di moglie di Penelope. 

« αὐτὰρ μὴ νῦν μοι τόδε χώεο μηδὲ νεμέσσα,οὕνεκά σ᾽ οὐ τὸ πρῶτον, ἐπεὶ ἴδον, ὧδ᾽ ἀγάπησα » (Omero, Odissea, XXIII, 213-214. Traduzione di G. Aurelio Privitera.) 

« Non essere, ora, adirato, non essere offesose non t’ho detto, appena ti vidi, il mio affetto » Nel percorso del Nuovo Testamento invece le parole di Paolo sanciscono definitivamente il passaggio a fondare questo ideale di ἀγάπη/amore/caritas.   

L’inno all’amore paolino diventa così il testo di riferimento per dogmi e dettami della dottrina della fede, verginità, capo velato, delle tre virtù, la carità, quella che si ottiene con l’esposizione e il perdono.   

Ma Paolo è a tutti gli effetti il patrono, un padre socratico, del cristianesimo e della evangelizzazione.   

Lettere le sue, che hanno sempre un grande intento pedagogico e non dottrinale.  

Un Giudeo destinato e condannato alla diaspora, educato a Gerusalemme, Paolo è «religiosamente ebreo, culturalmente greco, politicamente romano»: dunque «all’incrocio di tre mondi». 

Nella lettera ai Galati: «Non c’è piú Giudeo né Greco, ne schiavo né libero, né uomo e donna, perché tutti siete uno in Cristo Gesú» (Gal 3,28). 

In realtà questo essere uno rimarrà in orizzonte. 

Dopo i suoi viaggi missionari, attentamente pianificati con obiettivi ambiziosi, raccontati con dovizia di particolari e per placare gli attriti con Luca.  

Paolo è di fatto l’apostolo delle nazioni, l’apostolo dei popoli, colui che per prima parla un linguaggio nuovo, che da traduzioni nuove e riferimenti nuovi.   

Paolo fa migrare il cristianesimo. In barba a chi parla di radici cristiane dell’Europa, Paolo e il suo amore ci insegnano che il cristianesimo nasce invece in perenne ricerca dell’accoglienza.  

Quello della fede è un dono che non ho ricevuto. Rifuggo però dall’idea della “facilità” di chi vive la vita affidandosi alla religione. Io credo nella possibilità che in alcuni e alcune possa albergare l’idea di un Dio creatore, benevolo, che quando nella Genesi dice “E’ cosa buona” prevede, sappia, accolga tutti e tutte.  

Se con Francesco il gioco è più facile, con Matteo e i suoi vangeli, più profondo, le lettere di Paolo insegnano.  

Infine, un passo indietro, nel Vecchio Testamento, nel mio profeta preferito Isaia, il profeta del Messia. Il profeta poeta. L’unico che parla anche di una profetessa. In Isaia 49,15: “Una donna dimentica forse il bimbo che allatta, smettendo di avere pietà del frutto delle sue viscere? Anche se le madri dimenticassero, io non dimenticherò te. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani.” Amore. Essere amato ed averne la rassicurazione e la certezza. 

Ciao amore ciao.
 
                                                                             
                                                                          RISPOSTA DI CARLO FALZETTI

Cara Valentina

la brevità della risposta è un imperativo al quale mi sottopongo per il rispetto del lettore ma, in modo principale per affrontare un tema alla volta evitando di disperdermi nel vasto mare delle argomentazioni paoline.

Dunque, pongo a fuoco la tua espressione, che ben condivido, “Rifuggo dall’idea della facilità di chi vive la vita affidandosi  alla religione”.

Concetto, questo, che sostanzia tutta la tua precedente disamina sull’éros e sull’ágape.

Paolo rafforza un concetto che certo era apparso in precedenza, nel contesto greco da te citato ma anche nella letteratura veterotestamentaria con il Cantico dei Cantici (che qui, certo, non possiamo approfondire).

Tento di riassumere la differenza fra  le due categorie approfondendo le tue osservazioni.

Cinque potrebbero essere  gli attributi che caratterizzano le due categorie dell’éros e dell’ágape.

L’éros è desiderio, tensione verso l’esterno, aspirazione ad essere riconosciuti riconoscendo. Auto-affermazione dove l’io prevale. Movimento dal basso vero l’alto. Conquista umana.  Attrazione del bello.

Per ciascuna di queste cinque costatazioni possiamo affermare cinque affermazioni che ad esse si oppongono e che costituiscono l’essenza dell’ágape.

L’ágape è donazione verso l’altro, non desiderio. L’ágape  è amore senza interesse, non una auto-affermazione. L’ágape è movimento di Dio verso l’uomo, non il contrario. L’àgape è grazia, non conquista dell’umano. L’ágape  , infine, crea valore nell’amato, non è determinato dalla bellezza dell’amato.

Questa contrapposizione non impedisce che le due categorie non si intreccino nelle vicende umane. E, a questo punto il Cantico dovrebbe conquistare una posizione rilevante che rimandiamo, però, al futuro.

Ma veniamo alla tua espressione dopo questa breve premessa definitoria.

Se con Paolo la caritas, ovvero la versione latina dell ágape è cifra del cristianesimo quale imitatio Christi, la sequela ordinata costituisce un valore per pochissimi. Tentiamo di sviscerare meglio l’argomento.

Qualunque atto il cristiano (sedicente tale) compie, dice Paolo, se non c’è carità l’atto è inutile. Meglio, se il cristiano, qualunque atto eroico faccia, se è senza carità il cristiano è nulla!

Ne deriva che l’atto deve possedere due cose: l’intenzionalità e l’atto di bene effettivamente compiuto. Basta l’assenza di uno dei due perchè la carità non scaturisca. Un esempio può chiarire meglio.

Se decido di spendermi per liberare dalla prigione egiziana uno studente ingiustamente recluso, l’intenzione è ottima ma se poi pongo in atto una scena di accoglienza all’aeroporto  tutta finalizzata alle telecamere ed alla mia pubblicità da spendere politicamente, dov’è la carità e le sue regole sopra esposte? Eppure moltissimi sono gli atti contaminati dall’esistenza di un centro di gravitazione che collude con la definizione sopra esposta.

In conclusione, la carità, se intesa come Paolo la intende nelle sue Lettere, richiede l’assenza di un “centro di gravitazione specifico”, un interesse personale, affettivo, egocentrico. La carità vuole la “libertà assoluta” da qualsiasi attrattore, una perfetta gratuità, un assenza  di interesse. Troppo facile essere caritatevoli con il prossimo quando questo prossimo è il “totalmente vicino”. Essere liberi finanche da se stessi!

Di più, una libertà da ogni vincolo significa essere liberi anche da Dio: troppo facile compiere il bene per redimere l’anima, per contrarre una “polizza di salvezza”.

Che Dio mi liberi da Dio! Ha detto meravigliosamente Meister Echkart.

Questo il sentiero della caritas!

Penso di aver riflettuto sulla risibile facilità d’esser cristiani che tu hai fatto rilevare.

Molti sono i punti che abbiamo di fronte nel pensare il pensiero di Paolo.

Ti abbraccio, Carlo.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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