I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI

Capitolo 33 (prima parte): Le origini e la (relativamente recente) parabola della democrazia liberale.

La lunga marcia dell’Europa e del mondo occidentale verso la democrazia liberale.

   La morte di Pericle lasciò ad Atene un vuoto fatale. La guerra del Peloponneso era in corso e una classe dirigente allo sbando stava per prendere la scellerata decisione di promuovere una spedizione imperialista contro Siracusa e altre città siciliane fondate dai greci.  

   Malgrado questo ingorgo, che si sarebbe concluso con altrettante disfatte, gli ateniesi passavano il loro tempo a discutere della forma di governo. Si rendevano conto della debolezza della democrazia se dominata, senza contrappesi, dal popolo. Il sistema aveva funzionato fin quando al centro del governo di tutti c’era un «primus inter pares», come Pericle, perché l’autorevolezza costituiva principale e ineliminabile presupposto per l’efficace, equilibrata e corretta azione di governo.

   Senza autorevolezza, senza capacità di ridurre a unità gli interessi delle varie classi sociali e l’azione di governo, la democrazia scadeva a conflittualità endemica, alimentata da egoismi, rivalse sociali, addirittura vendette, pretese di perpetuare il benessere creato prima e dopo le guerre persiane a spese delle colonie, dei popoli conquistati, addirittura degli alleati.

   In quella fase tremenda, il governo della maggioranza popolare tradì la natura e la storia di Atene: esecuzioni capitali di cittadini disposte con processi sommari, l’aggressione a Siracusa, le spedizioni punitive contro le colonie e gli alleati, concluse con atroci massacri e riduzione in schiavitù di uomini e donne.

   In quel momento, cupo e drammatico, un folto gruppo di intellettuali teorizzò che l’Oligarchia fosse l’unica forma di governo in grado di salvare Atene. Finì in un bagno di sangue.

   La spedizione a Siracusa si concluse, con una disfatta, Atene perse la guerra del Peloponneso e divenne tributaria della lega, guidata da Sparta e Corinto, che l’aveva sconfitta.

   Il potere popolare si trascinò per circa settant’anni, ma ormai il dominio commerciale, produttivo e militare di Atene era finito. Dopo la battaglia di Cheronea del 338 a.C. divenne un protettorato della Macedonia di Filippo II, dovevano passare due secoli perchè diventasse una provincia romana.

   Non si spense la luce che aveva illuminato il cammino dell’umanità.

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   La Repubblica fu la forma di governo che rese grande la città di Roma.

   Certo, una repubblica aristocratica, dove le grandi famiglie esercitavano un potere esorbitante, tuttavia la dialettica politica, la ricca articolazione delle istituzioni, lo spessore dei cittadini romani fino alla nascita del Principato, rese quel sistema sostanzialmente democratico.

   Con la scelta del Principato, inizialmente concepito per dare snellezza ed efficienza all’azione amministrativa di un impero che ormai si estendeva dalla Spagna alla Siria, cambiò tutto.

   Lentamente, ma inesorabilmente il potere si concentrò nelle mani di un solo uomo, ma nessuno degli Imperatori osò dichiararsi Re. Il sistema funzionò tra alti e bassi, non sempre il destino ti mette a disposizione uomini come Vespasiano, Traiano, Adriano, Marco Aurelio, Costantino, ma durò cinquecento anni e quello fondato in Oriente, a Bisanzio, altri mille, con il grande Giustiniano che aveva in animo d riunificare l’Impero. Nessuno può dire se ci sarebbe riuscito, una terribile pestilenza glielo impedì. Probabilmente era un’impresa impossibile.

   Anche Roma illuminò il cammino dell’umanità.

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   L’Inghilterra, alla fine del Medio Evo, era la nazione più avanzata in Europa, merito anche di un oscuro francescano di umili origini, ma di vivacissimo ingegno e sterminata cultura, Guglielmo di Ockham, vissuto a cavallo del 1300, il primo a proclamare l’indipendenza tra fede e ragione, coevo del filosofo italiano Marsilio da Padova, un genio, rettore dell’Università di Parigi a 22 anni, con il quale ebbe una lunga e laboriosa consuetudine, in pratica furono i teorici del potere dello Stato, come si sarebbe affermato secoli dopo in epoca moderna.

   L’età d’oro della Regina Elisabetta I diede uno slancio formidabile allo sviluppo dell’isola.

   La Regina favorì le arti e le scienze, in particolare la letteratura con Marlowe e Shakespeare, ma furono due filosofi, Francis Bacon e Thomas Hobbes a segnare la storia inglese nei quattro secoli che sarebbero seguiti. Bacon fu un uomo multiforme, versatile, giurista, saggista, politico, di lui si dice fosse l’autore delle tragedie scespiriane, mentre il bardo di Avon sarebbe stato soltanto un attore e prestanome. Leggende a parte, i due filosofi, furono fautori della rivoluzione scientifica e del metodo induttivo fondato sull’esperienza.

   Si possono definire empiristi e liberali ante litteram e ad essi s’ispirarono altri grandissimi pensatori britannici, David Hume, John Locke, Adam Smith, gli ultimi due padri legittimi del liberalismo, che ebbero un più tardo, ma non meno grande epigono in John Stuart Mill

   Il pensiero di questi straordinari filosofi, ad un tempo economisti e sociologi, era incompatibile con lo status quo e permeò rapidamente la società inglese. I primi cambiamenti furono istituzionali.

   L’Inghilterra aveva una lunga traduzione parlamentare e fin dal 1215, con la Magna Carta, i sovrani limitarono i propri poteri sui sudditi. Uno dei limiti, il divieto di riscuotere tasse senza il consenso del Parlamento, denota un grado di civiltà, sconosciuto ai nostri tempi. Il parlamento venne convocato dal Re per la prima volta nel 1264. Pochi anni dopo assunse sostanzialmente la sua conformazione attuale: una Camera alta (dei Lord) di nomina regia, una Camera bassa (dei comuni) a base territoriale.

   Per secoli il sistema funzionò, anche per una naturale sudditanza dei deputati, ma quando, per la prima volta, il Parlamento si mise per traverso, il Re ci lasciò le penne, in senso letterale.

   Carlo I venne giustiziato nel 1649 al settimo anno della rivoluzione cd. puritana, nella sostanza una vera e propria guerra civile tra il partito dei lealisti e quello dei parlamentaristi. Fu quest’ultimo, guidata da Oliver Cromwell, ad avere la meglio.

   L’influenza, anche nei secoli a venire, di Cromwell fu enorme. Rivelatosi capo militare di capacità eccezionali, dichiarò il primato del Parlamento sulla Corona, la libertà di culto, la tutela dei cittadini dai soprusi del potere esecutivo. Padrone della situazione, fece votare dal Parlamento la condanna a morte del Re e la soppressione della Camera Alta e proclamò la Repubblica. I suoi metodi furono spietati, ma riuscì a unire all’Inghilterra l’Irlanda e la Scozia. Gli offrirono la corona, che rifiutò, accontentandosi del titolo di Lord Protettore, ma nessuno prima di lui nell’isola aveva avuto un potere tanto assoluto.

  La Repubblica non sopravvisse alla sua morte, la restaurazione fu immediata e la sua salma, riesumata, subì l’umiliazione dell’esecuzione postuma. Ormai, però, la breccia non poteva essere richiusa. Il sentimento popolare considerava finito il potere assoluto del Re e sentiva che solo il Parlamento fosse legittimato a governare il Paese.

   Il compimento di questa straordinaria conquista democratica, lontana le mille miglia da quanto accadeva in Europa, si ebbe nel 1689, quando Guglielmo III d’Orange firmò la Dichiarazione dei Diritti, con la quale attribuì al Parlamento, in pratica alla sola Camera dei Comuni, tali e tanti poteri da svuotare quelli della Corona.

   Nel Settecento la Gran Bretagna era già padrona dei mari, le innovazioni nell’agricoltura e nelle attività industriali diventavano sempre più numerose, ma non è escluso che la tela tessuta dai filosofi, dai condottieri, da un popolo intraprendente e coraggioso sia stato l’ordito della Rivoluzione industriale, che attribuì alla Gran Bretagna un vantaggio di almeno cent’anni sul resto del mondo.

   La libertà e la democrazia ne furono il carburante. La prima democrazia liberale, dopo quella inglese, fu quella americana, proclamata 90 anni dopo, nel 1776. Bisogna saltare all’Ottocento per vedere le prime, timide conversioni dei popoli europei alla democrazia liberale.

   Oggi la democrazia liberale è la forma di governo assolutamente prevalente in tutto il mondo. 

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   Questa breve e sommaria digressione non è inutile. Ci dice dell’evoluzione delle forme di governo e dell’importanza che esse hanno per le condizioni di vita, complessivamente intese, dell’umanità.

   La democrazia liberale è stata un acceleratore smagliante del miglioramento e in molti hanno avuto l’impressione, o l’illusione, che essa avrebbe avuto una progressione lineare, eterna. Non a caso quando crollò la forma di governo concorrente, l’autocrazia comunista dell’Unione Sovietica, il politologo ed economista americano Francis Fukuyama parlò di Fine della Storia. Era il 1992.

   Una conclusione figlia dell’ottimismo, sulla quale l’autore stesso è criticamente tornato, che non teneva conto di una serie di fattori: 1) la democrazia richiede molto di più del diritto di voto, non dobbiamo mai dimenticare che Hitler e Putin, anche se tra i due faccio un radicale differenza, hanno vinto le elezioni in competizione con altri partiti e nessuno affermerebbe che sono democratici da imitare; 2) con la fine dell’Unione Sovietica le autocrazie non sono scomparse e, a parte quelle di despoti autoreferenziali, l’ideologia comunista domina una grande parte del mondo, tra cui la Cina, potenza che si candida alla leadership mondiale; 3) le democrazie non sanno come affrontare la ideologia islamista, che si realizza nella storia non come forma di governo, ma come teocrazia, che dai fedeli/sudditi pretende solo sottomissione; 4) con il tempo l’aggettivo liberale, che sembrava in simbiosi con il sostantivo, democrazia, è sbiadito; 5) il mutamento dei costumi ha fortemente influito sul carattere e sulla qualità della rappresentanza politica.

EZIO CALDERAI                                                          (CONTINUA)

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