LASCIA LA SPINA COGLI LA ROSA

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Di una bellezza partenopea.

 Il sangue della storia che aveva contaminato la città in tanti secoli, mescolando varie genie, riusciva in taluni momenti  del tempo a far emergere arditamente  immagini  umane insolite rispetto alla massa. Dorata nella chioma, maculata nel volto roseo di tenui  asteroidi ocra e dotata di due luci verdi come solo il mare può esserlo, procedeva risoluta  lungo via Toledo.

Nell’incrociarla fissai lo sguardo nella sua “vucchella,  nu poco pocurillo appassuliatella”.

Il tempo, tracotante molestatore, aveva iniziato il lento impietoso oltraggio. Ma la fierezza del suo portamento riusciva a  tener ben a freno l’invidioso nemico .

Gli orecchini riprendevano l’oro dei capelli e tradivano, nella loro vistosità, la sua natalità napoletana.

La seguii. Un filo sottile, invisibile mi legava  a quel corpo di luce. La mia volontà  sembrava alienata, ogni diversa possibilità appariva ormai sospesa.

Giungemmo a Piazza del Plebiscito. Lei si fermò davanti al Palazzo reale. Io ero a pochi metri da lei, di fronte al Gambrinus. Il cuore palpitava. Temevo che aspettasse qualcuno, il suo uomo. Ero nel  pieno della inquietudine.

Ma nulla di impietoso accadde. Un taxi la inghiottì togliendola al mio sguardo.

Quando la rividi, pochi giorni dopo, eravamo in un bar di via Caracciolo. Stavano suonando “Caruso” di Dalla. Qui dove il mare luccica e tira forte il vento….

Morgana. Ecco il suo nome, questo doveva essere il suo nome e non altri!. Non era un nome a caso. A questo nome Giordano Bruno aveva dedicato il Candelaio, in pratica la sua autobiografia negli anni giovanili passati a Napoli nel convento di San Domenico. Ed io ero  in questa città perché dovevo pubblicare un testo sul giovane Bruno.

Superato ogni imbarazzo  il coraggio mi aveva permesso di avvicinarla. Iniziammo a prendere il tè insieme quasi ogni giorno.

Aurora ,questo il suo vero nome, era attirata dai miei racconti su Giordano che narravo ad ogni incontro. E ad ogni incontro lei, maestra di musica, mi parlava del suo Handel, del trionfo del tempo e del disinganno: se la bellezza perde vaghezza. Il tempo la tormentava, era la sua spina, il suo passato opprimente, la sua colpa antica.

“Quando vengo da te, sempre parla il sole, parla il vento, tutto ciò che vedo mi spinge ad esser presto con te. Quando vengo da te tu sei nel mio cuore e io sono parte di te”.

Spacciavo fantasiosi versi che il Nolano poteva cantare a Morgana-Diana, alla Natura amata, mentre erano voci che io rivolgevo a lei, alla dorata Diana partenopea.

Vicino a te tutte le cose diventano immagine di te. Io non posso più fare a meno della tua luce”.

La via era aperta, i nostri cuori erano pronti a confessare tutto ciò che poteva costituire dolore, tutto ciò che poteva magnificare la nostra tenerezza.

Era di maggio, fresca era l’aria di fronte a San Domenico. Dovevo assaporare l’ambiente del giovane prete ribelle che da questo punto si era un giorno distaccato con furore eroico  per migrare in tutta Europa mai pago di tranquillità, nomade irrequieto. Ci baciammo.

Toccai con le mie labbra la sua vucchella, ed il verso affiorò immediato,  pareva ‘na rusella.

“Sai Aurora, per Giordano la sua Morgana  non era solo una figura del suo immaginario. Era una donna in carne ed ossa. Come lo sei tu, mia Aurora-Morgana . Doveva aver avuto con lei un rapporto intenso. Io penso che tu ne sia la reincarnazione. Ero alla ricerca di tracce della sua vita ed ho trovato te, umbris idearum  d’ Amore”.

Avevo terminato il mio lavoro. Dovevo lasciare Napoli. Dovevo curare la stampa del testo.  Una intera primavera aveva maturato il nostro rapporto in una misura così intensa.

Quanti ostacoli superati.

L’incertezza dei primi tempi, la ferita degli sguardi estranei, la petulante curiosità della gente .

Ma era deciso: avremmo seguito l’istinto fino al termine del tempo che ci era concesso di vivere.

Ricevetti da Aurora una lettera.

Ogni sua parola confermava il nostro proposito di condividere l’esistenza. Così mi scriveva:

“Da quando sei divenuta realtà il mondo si è rivestito di te. Sfioro le cose e mi sembra di lambire la tua veste. Tutta la vita si è colorata con altre tonalità. La gioia di rimirarti, di perdermi in te mi soffoca. Non posso stare lontana . Sento lo strazio dell’attesa insopportabile. Sono gelosa del tuo Giordano, voglio  che tu sappia che tutto il mio io ti appartiene. Vorrei che fosse per te lo stesso, non sopporto nessun intruso. Ricorda sempre la terra che mi ha originato!  Per anni non ho visto,non sapevo vedere. Tutto mi era era tedioso, insulso. Ma, un giorno i miei occhi si sono abituati alla luce ed ho visto la bellezza accanto a me. Posso dire, solo ora lo posso, di sentire di amare .Il passato l’ho superato, vivo solo di futuro.

Ricordi quando mi parlasti per la prima volta del tuo Giordano, del mio rivale? “Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa muta, nulla s’annichila, uno solo è eterno” .Così dicevi di lui, quel giorno.

Vorrei  poter dire di te, mia Alessandra, che il nostro legame non sarà mai come un fiore appassito, come una spiga tagliata a morte . Le stelle non muoiono mai. Noi apparteniamo ad una costellazione”.

Che cosa posso aggiungere d’altro che non danneggi  la melodia fin qui svolta?

Solo questo.

La mia risposta ad Aurora.

“Ad Aurora la sua Alessandra. Lascia ch’io pianga, ch’io pianga la nostra seppur breve lontananza.  Lascia che io pianga la nostra sorte ma, per un solo attimo. Lascia la spina, cogli la rosa.  Ricorda, basta una tenue immagine di bellezza a rendere felici quando si ama. Il tuo cuore è la mia porta dorata verso lo spazio illimitato. Tornerò presto. La tua rosa senza spina.

P.S.  Ti comunico che il libro, finalmente, è stampato: Un ardente furore, Alessandra Ghisalberti. La dedica è, naturalmente: a Morgana rediviva”.

.   .   .

Handel-Il trionfo del tempo e del disinganno (Lascia la spina cogli la rosa)

Handel-  Rinaldo (Lascia che io pianga)

D’Annunzio- (‘A vucchella)

Dalla- (Caruso)

Giordano Bruno- (Il Candelaio) 

CARLO ALBERTO FALZETTI

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