I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI

Capitolo 31: Il mito di Medea e la maledizione dell’uomo.

Le convulsioni e le incognite irresolubili 

   Forse era giusto che la storia si concludesse dove era iniziata. 

  La terra dove nasce uno dei miti più straordinari del genio ellenico, forse il più tragico che mente umana abbia mai concepito, quello di Medea, è bagnata dal Mar Nero. Oggi, dopo 3000 anni, ma il tempo non conta, il Mar Nero è teatro di un terribile conflitto, anch’esso emerso dall’abisso in cui si perde la mente dell’uomo.  

   Il male finisce sempre per prevalere. Cerchiamo di nasconderlo a noi stessi, ma la storia dell’uomo e di tutte le civiltà lo ripropongono, sempre eguale a sé stesso. Non è un caso che, nel passaggio forse più significativo del Padre Nostro, i cristiani chiedono al loro Dio, da migliaia di anni e per miliardi di volte, di essere liberati dal male. Lo sanno che da soli non ce la possono fare. 

   Io non sono Euripide, forse l’uomo più complicato di tutti i tempi, anche se di talento smisurato, e nemmeno il più remoto dei cantastorie, che ci ha trasmesso la solare bellezza del percorso della vita e che noi, chini su un telefonino, abbiamo smarrito. Il contastorie cantava della vita e della morte, della guerra e della pace, gli uomini del terzo millennio, invece, pretendono di cancellare la morte e la guerra ed io non posso davvero aiutarli, absit[1] mitomania nelle parole. 

   Posso soltanto interrogarmi per capire come sia potuto accadere che proprio a noi, uomini del III millennio, sia toccato di assistere alla fine della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana.

   Già che la UE non ci sente, possiamo usare queste espressioni. 

***  

   La guerra, figlia del delirio slavofilo della Russia, non sarà responsabile della disintegrazione della Europa e della civiltà occidentale, ma ne costituirà il sigillo, quasi una bolla notarile in caratteri cirillici.

   Della guerra e delle sue cause si è parlato fino allo sfinimento da quando l’Armata Rossa ha varcato i confini dell’Ucraina. Se mai avesse avuto una qualche ragione, in quel momento, Putin è passato dalla parte del torto. Quel che è successo dopo non ha nulla di razionale: un’ondata di odio senza precedenti ha investito Putin e la Russia. Vietato il confronto tra idee diverse. Chi ci provava veniva trattato come un diverso, attaccato sul piano personale, anche con il dileggio, come ai bei tempi del dopoguerra, quando un bambino rosso di capelli veniva emarginato.  

   Perché questa sospensione delle libertà di parola e di opinione? Io un’idea me la sano fatto.

   Credo che gli europei, dopo 77 anni di pace, non abbiano perdonato a Putin di aver mostrato che la guerra non era uscita dalla storia e di aver permesso che, sui loro televisori al plasma, passassero edifici sventrati e cadaveri.

   Come se Putin li avesse costretti a guardarsi allo specchio, dove scorrevano le immagini degli orrori, sempre eguali, di cui proprio loro, gli europei, erano stati protagonisti per secoli.  

   Eppure, prima dell’invasione, una guerra civile in Ucraina era in corso dal 2014, erano morte 14.000 persone, erano stati rasi al suolo innumerevole edifici. Il conflitto era scoppiato tra province russofone secessioniste del Donbass e l’Ucraina, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia.

   La Russia aveva dato un aiuto «coperto» ai secessionisti, ma gli Stati Uniti e il Regno Unito dal 2014 hanno fornito all’esercito ucraino istruttori e un fiume di armi, probabilmente impiegate contro i secessionisti.

   In Europa nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno ha parlato; siamo stati saggi, almeno quanto le scimmiette di un famoso tempio giapponese. Nessuna commozione, non abbiamo visto niente e poi quei morti in gran parte parlavano russo, non interessano a nessuno. Attenti, disse qualcuno, quel conflitto rischia di trasformarsi in guerra e l’Ucraina e alle porte dell’Europa. Nessuna paura, risposero i pochi che avevano ascoltato, se non abbiamo visto niente vuol dire che niente è accaduto.  

   Eppure, a una colonna della NATO, la Turchia, guidata da un satrapo che ha imprigionato decine di migliaia di uomini e donne solo perché di etnie diverse o perché chiedevano frammenti di libertà, è stata data licenza di sterminare curdi e yazidi, i primi erano serviti soltanto a combattere il Califfato, i secondi, almeno quelli scampati al genocidio perpetrato dall’Isis, solo perché di religione non islamica; bombe al fosforo, a grappolo, chimiche, non importa, non si può andare per il sottile quando Erdogan fa pulizia, e poi non possiamo rimproverarlo, fornisce agli ucraini droni che hanno affondato l’ammiraglia russa, Moscowa, nel Mar Nero, scatenando la “ola” dei nostri giornalisti più attenti, potremmo dire «sul pezzo». Nessuna commozione.  

   Eppure, in Africa, l’unico rimedio per evitare la crescita della popolazione, è il massacro sistematico dei cristiani nel Sudan Sud, in Mali, nel Sahel, in Nigeria, senza molta fatica, peraltro, basta dar fuoco alle loro povere capanne e, per ottimizzare il tiro a segno, alle chiesette non meno povere, dove quegli screanzati si rifugiano; 50.000 morti all’anno, si può parlare di persecuzioni? Se non dice nulla Papa Francesco, perché dovremmo farlo noi? Nessuna commozione.        

   Vi risparmio altri eppure, ma ce ne sono quanti ne volete.  

   In realtà, lo strabismo, da cui sembrano affetti gli europei rispetto a fenomeni identici, mi ha fatto di nuovo pensare a “La Fattoria degli Animali” di George Orwell. Lì gli animali erano tutti eguali, ma i maiali erano più eguali degli altri; da noi le persone sono tutte eguali, ma se bianche, e le donne con splendide code di cavallo biondo oro e telefonini di ultima generazione, pur nella tragedia ucraina, sono più eguali dei loro simili.   

   Non sono un fanatico dell’accoglienza, credo che le migrazioni debbono essere disciplinate, ma non si può in Italia sentire un servizio della televisione del servizio pubblico che ci parla di preoccupazione per i 19.000 migranti sbarcati in cinque mesi, quando in Europa, in un mese e mezzo, sono stati accolti 4,5 milioni di ucraini, e paesi, come la Polonia e l’Ungheria, che non vogliono accogliere neanche un migrante dall’Africa o dal Medio Oriente, ora ne hanno accolti a centinaia di migliaia. «» 

   Le anime belle del club della «pornografia della virtù»[2] hanno una doppia morale, quindi, nessuna morale: il cambiamento che c’è stato in Europa sull’accoglienza ai migranti e rifugiati ha rivelato un fondo acre di razzismo, i fuggitivi dall’Africa, dalla Siria e dall’Afghanistan sono stati fatti morire di freddo al confine tra Polonia e Bielorussia e nessuna nazione in Europa voleva ospitarli, con gli ucraini è stato diverso, persino l’Ungheria ne ha accolti a centinaia di migliaia.

   Prontamente il coro si attiva: «ma no, nessun razzismo, ora abbiamo accolto milioni di donne e bambini in pericolo di vita»; giusto, sacrosanto; quei poveri diavoli, venuti dall’est e dal sud del mondo, però, non è che abbiano rischiato, alcuni sono proprio morti di fame e di freddo, in mezzo alla neve, «una tragedia, ma che ci sono andati a fare in Bielorussia, dovevano saperlo che lì c’è un dittatore oltretutto amico di Putin».

   A lungo, si è parlato del battaglione Azov e delle Acciaierie Azovstal. l soldati si sono arresi dopo 80 giorni di resistenza in condizioni disperate e meritano rispetto. Il Battaglione, famoso per ostentare simboli nazisti, dalle uniformi ai tatuaggi, in Donbass si è distinto per la ferocia contro i secessionisti; i soldati tengono sul comodino il Mein Kampf di Hitler. Forse questa realtà, che in altri casi è una stigmate d’infamia, andava quanto meno contestualizzata. Invece no, siccome sparavano sui soldati russi, il coro è tornato in azione: «sono ragazzi, quando eravamo giovani non ci mettevamo le magliette con i Beatles o Fred Mercury? E poi, ora sono eroi di guerra».

   Appunto, una doppia morale.

***

   Un’occasione perduta.

   I “se” e i “ma” sono l’esercizio più stupido che uno storico possa fare, siccome, però, storico non sono, mi azzardo. Se nel 1993, alla caduta dell’Unione Sovietica, Europa e Stati Uniti avessero porto la mano a Eltsin, offrendogli di entrare nella UE e addirittura nell’Alleanza Atlantica le cose sarebbero potute andare diversamente, quanto meno il declino dell’Occidente avrebbe potuto essere ritardato.

   Charles de Gaulle sessant’anni fa aveva detto che l’Europa o era dall’Atlantico agli Urali o non era, Carol Wojtyla, il futuro Giovanni Paolo II, che pure era stato una spina nel fianco del regime sovietico, sosteneva che il destino della Russia era in Europa. Era il pensiero di due uomini che non potrebbero essere eguagliati neppure se mettessimo insieme tutti i leader occidentali degli ultimi trent’anni.

   Non andò così: gli occidentali, specie gli americani, trattarono Eltsin come un cane bastonato e, dopo di lui, con non minore sufficienza, Putin, anche se, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, proprio Putin fece di tutto per guadagnarsi la fiducia degli americani, arrivando addirittura a offrirgli le sue basi nel Caucaso per dare la caccia ai terroristi, autori dell’attacco più spaventoso mai effettuato.

   Indagarne le cause è ancor più stupido che usare i “se” e i “ma”, comunque, gli americani pensarono che era comodo tenersi qualcuno con cui prendersela, all’occorrenza, gli europei si chiesero quanto l’entrata della Russia nell’Unione Europea, che allora, come oggi, contava come il due di coppe con briscola denari, potesse influire sugli equilibri tra gli Stati membri; ci fu anche chi, ex post, forse influenzato dalle legioni di spie rifugiatesi a Mosca, nel corso e dopo la guerra fredda, sostenne che le élites filosovietiche, ancor’oggi egemoni in Europa, non perdonarono mai a Eltsin di aver messo alla porta il Partito Comunista dell’Unione Sovietica.       

EZIO CALDERAI  (Continua)

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[1] Libera strumentalizzazione di una locuzione latina: sia assente la mitomania dalle mie parole.
[2] Ho rubato questa meravigliosa espressione a un giornalista; ulteriore reato non ho preso il suo nome.