DENTRO LA MENTE – L’irrazionalità prevedibile: perché sbagliamo sempre allo stesso modo (e cosa possiamo farci)
di SIMONE PAZZAGLIA ♦
Introduzione – L’economia del comportamento reale
Per lungo tempo, l’economia si è fondata su un assunto tanto elegante quanto irrealistico: quello dell’homo economicus, un decisore razionale, coerente, massimizzatore, capace di valutare alternative sulla base di preferenze stabili e piena informazione. In questo modello, il comportamento umano è il prodotto di calcoli lineari e ottimizzazione sistematica, e ogni deviazione da tale razionalità è vista come un’anomalia transitoria, un rumore di fondo.
Dan Ariely, economista comportamentale di formazione cognitiva, ha costruito la sua carriera demolendo questo mito con metodo sperimentale, ironia e precisione. In Predictably Irrational: The Hidden Forces That Shape Our Decisions (2008), Ariely ci invita a ripensare radicalmente ciò che significa “decidere”. Le nostre scelte – afferma – non sono solo irrazionali, ma lo sono in modi sistematici, ripetibili, prevedibili, e quindi scientificamente analizzabili. Non si tratta dunque di pura irrazionalità caotica, ma di pattern cognitivi strutturati che ci portano a deviare dalla razionalità classica in modo regolare.
Ariely, con l’approccio empirico del laboratorio psicologico, documenta come le persone reagiscano a prezzi, alternative, gratuità, tempo, desiderio e moralità in modi che sfidano i modelli economici tradizionali. I suoi esperimenti – rigorosi ma narrati con leggerezza – mostrano quanto la nostra mente sia influenzabile dal contesto, dalle emozioni, dalle aspettative implicite. L’economia comportamentale, in questa visione, non corregge semplicemente l’economia classica: la supera, cambiandone i presupposti antropologici.
Il libro si presenta come una guida per chi voglia comprendere – o progettare – le scelte umane nel mondo reale. È una riflessione critica sulla razionalità, ma anche un manuale per architetti delle decisioni, policy maker, comunicatori, e cittadini consapevoli. Leggere Predictably Irrational significa accettare una verità scomoda ma liberatoria: non siamo razionali, ma non siamo nemmeno imprevedibili – siamo, piuttosto, meravigliosamente umani nella nostra prevedibile fallibilità.
Il prezzo relativo – Perché non sappiamo cosa vale davvero qualcosa
Una delle prime e più spiazzanti verità che emergono dai lavori di Dan Ariely riguarda il fatto che non sappiamo davvero cosa valga un bene o un servizio. O meglio: non lo sappiamo in modo assoluto. Le nostre valutazioni sono sempre relative, ancorate a ciò che ci viene proposto come confronto, guidate da aspettative implicite e fortemente influenzabili dal contesto. Il valore economico, ci ricorda Ariely, non è una proprietà intrinseca dell’oggetto, ma una costruzione cognitiva soggetta a manipolazioni sistematiche.
Uno degli esperimenti più celebri descritti in Predictably Irrational è quello relativo all’abbonamento a The Economist. I lettori si trovavano di fronte a tre opzioni:
- Abbonamento solo online: 59 dollari
- Abbonamento cartaceo: 125 dollari
- Abbonamento online + cartaceo: 125 dollari
Ariely mostra che quando le tre opzioni sono tutte presenti, la maggior parte delle persone sceglie la terza, ritenendola un affare: due prodotti al prezzo di uno. Ma quando viene rimossa l’opzione cartacea da sola (quella apparentemente “inutile”), le preferenze si distribuiscono diversamente. Questo dimostra che l’opzione decoy – una terza scelta che nessuno vuole davvero – serve a orientare il giudizio. È un tipico esempio di “effetto esca” (decoy effect), studiato anche in teoria delle decisioni multicriterio.
Il meccanismo cognitivo in gioco è quello dell’ancoraggio: ci affidiamo a un riferimento iniziale – anche arbitrario – per valutare le alternative. Se l’abbonamento online da solo è ancorato a 59 dollari, e il cartaceo + online è ancorato a 125, allora quest’ultimo appare conveniente. L’assurdo? Lo sarebbe anche se il valore reale fosse invertito. Non giudichiamo i beni in base al loro contenuto, ma in base alle relazioni tra le opzioni disponibili.
Questa relatività del valore non è un difetto marginale, ma una struttura cognitiva profonda. È il motivo per cui la scelta tra due prodotti può essere influenzata dalla presenza di un terzo prodotto inutile, per cui le vendite aumentano se si introducono opzioni “di confronto” artificiali, e per cui le nostre decisioni economiche non sono mai davvero “razionali” nel senso classico. Ariely mostra che anche la nostra idea di “quanto costa qualcosa” è una costruzione narrativa che si adatta dinamicamente al contesto di presentazione.
Le implicazioni sono vaste. In ambito commerciale, il pricing psicologico è una disciplina ormai consolidata, fondata su questi stessi effetti cognitivi. In politica, la strutturazione delle opzioni in un referendum può influenzare il voto ben oltre il merito delle scelte. Nei contesti digitali, la UX e il design delle interfacce fanno ampio uso dell’effetto framing per guidare i percorsi decisionali.
Anche in ambito pubblico e amministrativo, questa lezione è cruciale: quando si disegnano incentivi, sussidi, offerte formative o sanitarie, la modalità di presentazione è tanto importante quanto il contenuto. Pensare che “una scelta ben progettata si difende da sola” è un’illusione. Le persone non scelgono in base al valore oggettivo, ma in base alla percezione del valore – e questa percezione è plasmata dall’architettura della scelta.
In definitiva, ciò che Predictably Irrational ci mostra è che la nostra mente non valuta il mondo per ciò che è, ma per come gli viene presentato. La razionalità economica, in questo senso, è una competenza debole, continuamente esposta all’influenza di cornici cognitive, ancore arbitrarie, e confronti impliciti. Comprendere questa dinamica significa iniziare a progettare contesti decisionali più equi, trasparenti e resistenti alla manipolazione.
Il costo zero e l’illusione della gratuità
“Gratis” è una parola potente. Più potente, ci dice Ariely, di quanto sia giustificato da una valutazione razionale dei costi e dei benefici. Quando vediamo un prezzo pari a zero, il nostro cervello cambia modalità operativa: smette di calcolare, confrontare, pesare – e reagisce in modo automatico, quasi viscerale. Questo è uno dei temi più affascinanti e controversi trattati in Predictably Irrational: il potere irrazionale della gratuità.
Ariely dimostra, attraverso esperimenti controllati, che l’attrazione per il “prezzo zero” è così forte da portarci a preferire opzioni peggiori in termini assoluti pur di non “perdere” l’occasione della gratuità. In un celebre studio, i partecipanti potevano scegliere tra un cioccolatino di alta qualità (Lindt) a 15 centesimi e uno di qualità inferiore (Hershey’s) a 1 centesimo. La maggior parte sceglieva il Lindt. Ma quando il prezzo di entrambi veniva ridotto di 1 centesimo (0 per Hershey’s, 14 per Lindt), la maggioranza passava a Hershey’s gratis, nonostante il valore soggettivo fosse chiaramente inferiore.
Questa dinamica contraddice le aspettative dell’economia classica: se l’utilità marginale dipendesse solo dalla differenza di prezzo, la preferenza relativa dovrebbe restare invariata. E invece no: zero ha un potere psicologico sproporzionato, che non deriva dal valore reale, ma dalla percezione soggettiva del “rischio nullo”, dell’assenza di perdita potenziale. Ariely ipotizza che il “gratis” evochi un senso di guadagno puro, privo di contropartite, e che attivi un pattern cognitivo emozionale radicato nella nostra evoluzione.
Questa irrazionalità prevedibile ha implicazioni enormi. Le aziende tech la conoscono bene: servizi “gratuiti” come social network, email, cloud, app o contenuti in streaming non sono davvero gratuiti, ma richiedono l’accesso ai nostri dati, tempo, attenzione e profilazione algoritmica. Tuttavia, l’assenza di un prezzo esplicito impedisce di attivare un confronto costi/benefici consapevole. Il risultato è che ci “abboniamo” a ecosistemi cognitivi e informativi senza una reale valutazione del valore.
Nel campo della policy, la gratuità può avere effetti distorsivi anche positivi: ad esempio, rendere gratuito un vaccino o un servizio sanitario aumenta drammaticamente l’adesione, non solo per il vantaggio economico, ma per la semplicità percettiva della scelta. Tuttavia, se usata male o in modo strumentale, la gratuità può indurre in errori sistematici: preferire servizi peggiori solo perché “non costano” in modo esplicito, ignorando i costi impliciti (tempo, inefficienza, rinuncia ad alternative).
Ariely mostra che il “costo zero” è, in realtà, una zona grigia della razionalità: lì dove il Sistema 1 prende il sopravvento sul Sistema 2, la logica lascia spazio alla reazione emotiva, e il valore diventa funzione della percezione, non del contenuto. Il nostro giudizio viene offuscato da un’euristica primitiva: “gratis = buono”, anche quando non lo è.
In definitiva, Predictably Irrational ci ricorda che non esistono pasti davvero gratuiti, e che la gratuità può essere una leva potente per indirizzare scelte – ma proprio per questo, va usata con consapevolezza, etica e trasparenza. Sapere che reagiamo irrazionalmente a “free” non ci rende immuni, ma ci aiuta a progettare contesti in cui l’attrazione del gratuito non comprometta la qualità delle decisioni.
Il mito dell’autocontrollo – Perché falliamo nei nostri progetti
Ogni gennaio, milioni di persone stabiliscono obiettivi razionali e ambiziosi: smettere di fumare, risparmiare denaro, iniziare una dieta, leggere di più. Eppure, entro poche settimane – a volte pochi giorni – la maggior parte di questi propositi viene abbandonata senza una vera spiegazione apparente. Perché falliamo nel seguire ciò che decidiamo? Perché il nostro sé del presente è così debole nel tenere fede al sé del futuro?
Dan Ariely affronta questo tema con una chiarezza disarmante: il problema non è la cattiva volontà, ma la struttura cognitiva della nostra mente, che tende a sovrastimare le ricompense immediate rispetto a quelle future – un fenomeno noto in economia comportamentale come temporal discounting. In pratica, il futuro vale sempre meno del presente, anche quando sappiamo razionalmente che quel futuro sarà migliore. È per questo che scegliamo la torta alla frutta invece del risparmio calorico, o posticipiamo ancora una volta l’iscrizione in palestra.
Ariely dimostra, attraverso esperimenti, che la distanza temporale altera la nostra capacità di giudizio, e che la forza di volontà, da sola, è una risorsa limitata e fragile. Lo conferma anche la psicologia di Kahneman e Baumeister: il Sistema 1 (impulsivo, veloce) tende a dominare quando il piacere è a portata di mano, mentre il Sistema 2 (riflessivo, lento) richiede tempo, energia e motivazione per entrare in azione.
Ma se l’autocontrollo fallisce, possiamo progettare strumenti per aiutarci a decidere meglio nonostante noi stessi. Ariely propone una soluzione interessante: i commitment devices, ovvero strumenti di auto-vincolo volontario. È il caso dei pazienti diabetici che firmano contratti di auto-monitoraggio, dei risparmiatori che bloccano una parte del proprio stipendio in conti non accessibili, o degli studenti che stabiliscono scadenze irrevocabili per i compiti. In tutti questi casi, il sé razionale “progetta” barriere contro il sé impulsivo.
Questa strategia è in linea con le teorie di Richard Thaler sul problema del self-control: l’individuo non è una sola entità, ma una coalizione di sé temporali in conflitto, e la buona decisione dipende dalla capacità di progettare contesti che facilitino il lungo termine rispetto al breve. Ariely estende questa idea con un tocco narrativo: se non possiamo contare sempre sulla nostra forza di volontà, allora dobbiamo progettare il nostro ambiente per proteggerci dalle nostre debolezze.
Il fallimento dell’autocontrollo è anche un problema sociale. Le politiche pubbliche che presumono agenti perfettamente razionali rischiano di ignorare il fatto che l’accesso al benessere dipende dalla capacità di gestire l’impulso, il rinvio e la ricompensa differita. Ariely suggerisce che un buon design della scelta – che includa scadenze, reminder, default intelligenti – può migliorare la salute, il risparmio e l’educazione molto più di mille appelli alla disciplina individuale.
In sintesi, Predictably Irrational ci invita a riconoscere che non esistono decisioni neutrali nel tempo: ogni scelta è il frutto di una negoziazione interna tra versioni diverse di noi stessi. E se vogliamo avere una vita più coerente con i nostri valori, dobbiamo progettare strategie cognitive e ambienti di scelta che aiutino il sé del futuro a vincere sul sé del presente.
L’onestà flessibile – Perché mentiamo (ma non troppo)
Uno degli aspetti più sorprendenti del comportamento umano, secondo Ariely, è che non siamo fondamentalmente onesti, ma nemmeno radicalmente disonesti. Ci muoviamo, invece, entro un margine morale elastico, che ci consente di imbrogliare “un po’” senza compromettere la nostra immagine di persone perbene. In Predictably Irrational, questa dinamica viene analizzata attraverso esperimenti raffinati, che mostrano come le persone modifichino il proprio comportamento etico in funzione di fattori cognitivi, simbolici e contestuali, spesso in modo del tutto inconsapevole.
In uno degli studi chiave, Ariely e il suo team somministrano un test matematico in cui i partecipanti possono auto-correggere le risposte e dichiarare il proprio punteggio per ricevere un premio in denaro. I risultati mostrano che una percentuale significativa “gonfia” i propri punteggi, ma raramente in modo eclatante. Non si mente per guadagnare il massimo, ma quel tanto che basta per sentirsi furbi senza sentirsi disonesti.
Questo comportamento, apparentemente illogico, diventa comprensibile alla luce di due forze in tensione: da un lato, il desiderio di ottenere un vantaggio materiale; dall’altro, la necessità di mantenere una narrativa morale positiva su se stessi. Mentiamo, ma solo finché riusciamo a razionalizzare il nostro comportamento. È qui che entra in gioco il concetto di “fudge factor”: una zona grigia che ci permette di reinterpretare l’illecito come trascurabile, comprensibile, persino inevitabile.
Ariely mostra che la distanza psicologica dal danno reale influisce enormemente sulla probabilità di barare. Le persone sono meno inclini a rubare denaro in contanti, ma molto più propense a portarsi via oggetti (penne, dolci, gadget aziendali) che possono essere facilmente razionalizzati. Inoltre, il contesto simbolico conta: se prima del test si richiede ai partecipanti di firmare un codice etico, o di ricordare i Dieci Comandamenti, i tassi di disonestà crollano. Non per paura della punizione, ma perché la salienza della norma morale viene riattivata.
L’onestà flessibile, dunque, non è una caratteristica immutabile dell’individuo, ma un comportamento modulabile, fortemente sensibile all’architettura del contesto. Questo ha profonde implicazioni per le istituzioni, le aziende, la pubblica amministrazione. Sistemi troppo permissivi o ambigui possono favorire piccole trasgressioni diffuse; ambienti trasparenti, in cui la responsabilità è visibile e le regole sono interiorizzabili, tendono invece a contenere le deviazioni.
Ariely sostiene che per migliorare l’etica pubblica non servono solo controlli o sanzioni, ma strategie psicologiche che rendano la norma etica cognitivamente accessibile e narrativamente integrabile. La presenza di simboli morali, l’esplicitazione dei valori, la trasparenza nei processi decisionali – tutti questi elementi possono ridurre significativamente la propensione alla frode “moderata”, che è di gran lunga più diffusa e dannosa, nel lungo periodo, delle grandi truffe isolate.
Infine, c’è un tema educativo: se vogliamo formare cittadini, studenti, professionisti capaci di comportamenti etici solidi, non basta parlare di regole – dobbiamo progettare ambienti che coltivino la coerenza tra valori dichiarati e azioni reali. In questo senso, Predictably Irrational è anche una guida di “ingegneria morale”, che ci mostra come l’etica non sia una qualità astratta, ma un comportamento situato, sensibile alle strutture, ai simboli e alle narrazioni che lo circondano.
Conoscere i nostri errori per diventare più liberi
Predictably Irrational è un libro che smonta le illusioni più profonde della razionalità umana, non per ridicolizzarle, ma per renderci più consapevoli, più umili e – paradossalmente – più liberi. Se comprendiamo che le nostre decisioni sono guidate da meccanismi prevedibilmente distorti, allora possiamo iniziare a costruire strategie, contesti e abitudini capaci di contrastare quei distorsioni. La libertà, in questa prospettiva, non è assenza di condizionamenti, ma capacità di riconoscere e governare i condizionamenti più profondi e invisibili.
Dan Ariely ci mostra che l’irrazionalità non è una patologia cognitiva, ma una caratteristica strutturale della nostra mente. È sistematica, replicabile, misurabile. Ma proprio per questo è anche maneggiabile, trasformabile, progettabile. Le implicazioni sono vaste: dal design dei prodotti alla formulazione delle politiche pubbliche, dalla gestione del tempo alla promozione dell’etica, fino al modo in cui comunichiamo, persuadiamo e costruiamo fiducia.
Nel mondo contemporaneo, dominato da informazioni frammentate, interfacce persuasive, promesse immediate e architetture opache, la lezione di Ariely è di straordinaria attualità: se vogliamo migliorare le nostre scelte, non basta volerlo – dobbiamo costruire ambienti cognitivi che facilitino il pensiero riflessivo, la coerenza morale, e il rispetto dei nostri stessi obiettivi a lungo termine.
Per chi desidera approfondire, si consigliano letture complementari che arricchiscono il quadro offerto da Ariely:
- The Upside of Irrationality (Dan Ariely) – per un’estensione del ragionamento in chiave sociale ed emotiva;
- Scarcity: Why Having Too Little Means So Much (Sendhil Mullainathan & Eldar Shafir) – sulla deprivazione cognitiva e il suo impatto sulle scelte;
- Invisible Influence (Jonah Berger) – sulle forze sociali che plasmano il comportamento individuale;
- Nudge (Thaler & Sunstein) – sulla possibilità di progettare scelte più razionali rispettando la libertà individuale;
- Behavioural Insights (OECD) – per applicazioni istituzionali dei principi comportamentali.
In definitiva, comprendere la prevedibilità della nostra irrazionalità non è una resa al determinismo, ma una presa di responsabilità epistemica: sapere dove e come tendiamo a sbagliare è il primo passo per sbagliare un po’ meno, e decidere un po’ meglio.
SIMONE PAZZAGLIA

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